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Commenti al testo proposto da Redazione LaRecherche.it
Liberare la poesia: ma da che cosa?

Sei nella sezione Commenti
 

 Stefano Saccinto - 30/03/2012 18:30:00 [ leggi altri commenti di Stefano Saccinto » ]

Secondo me la vera sperimentazione, oggi, si fa sul web, nelle piccole nicchie nascoste in cui i poeti non accademici si sono rintanati, quasi spaventati dalla critica situazione della poesia odierna. E anche della letteratura in generale. Su alcuni gruppi si parla di Inquietantismo come nuovo movimento letterario/poetico, su altri addirittura nascono forme d’espressione in versi che tentano il superamento della poesia. Ne è in corso una sperimentazione sul gruppo Poeti Moderni nel sito aNobii.it che vi invito a seguire. Il web permette uno scambio diretto e immediato, una critica subitanea e il saldarsi di un manifesto comune, tramite le influenze tra i membri di uno stesso gruppo. Se considerate che il gruppo del poeti Beat era un circolo di amici e che nel periodo del decadentismo, i poeti si incontravano nei bar per recitare i loro versi e scambiarsi pareri, vi accorgerete come non c’è una poetica comune se non c’è incontro. E con la frenesia della vita attuale, l’unico incontro possibile è quello tramite il web. Bisogna trovare i siti giusti in cui v’è ricerca vera.

 Domenico Morana - 28/03/2012 21:51:00 [ leggi altri commenti di Domenico Morana » ]

Non ho letto l’articolo e non credo che lo farò, ma ho apprezzato le parole di Maria (su cosa? Considerato che non ho letto l’articolo di cui sono un commento? Poco m’importa).

M’è subito tornato in mente un cattivo pensiero di Paul Valéry che ricopio: "Per un certo genere di appassionati, leggere poesie non è altro che un esercizio di malevolenza. Sono sicuri - e ci godono - di trovare la stupidaggine, l’improprietà, la banalità che le difficoltà dell’arte seminano in ogni poesia. Sentono quanto sia improbabile la costante riuscita. Ogni poesia è qua e là, inevitabilmente oscura, o esagerata, o ridicola, o indifferente..."

Ecco, a questo preferisco tenermi stretto e al gran cuore di Maria (non è un caso che abbia scelto questo nom de plume).

Musik! Sono con te!

 Maria Musik - 28/03/2012 21:32:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Premetto che questa non è una valutazione negativa dell’’articolo perchè vi ho trovato tante opportunità di riflessione ed, anche, molti punti di piena condivisione: è solo un pensare ad alta voce dopo tante letture sull’argomento e mi si perdonino quelle che potrebbero apparire generalizzazioni: non voglio assolutamente fare di tutta l’erba un fascio.
Devo dire che, ultimamente, tutte le volte che mi lascio tentare dalla "critica" alla poesia (o dalla critica alla critica della critica) dopo, mi viene male. Perchè, in fondo, un po’ ovunque, persino in un articolo come questo che esprime idee che condivido, trovo frasi quali "...il pubblico di livello mediobasso si appaghi della lubrificazione oculare massificata, del prodotto eterodiretto dei propri dotti lacrimali azionati a comando".
La Poesia si diversifica in base a chi la “produce” e in funzione del palato di chi la gusta. Allora, perchè mai snobbare la poesia sentimentalistica e etichettare chi se la gusta come un minus habens? A me non piace ma non considero un paria chi la trova commovente. Probabilmente, anzi certamente, sarà pure eterodiretto ma lettori e poeti medio-alti, alti o altissimi potranno, con onestà intellettuale, dire al “lettore medio-basso” "leggi robaccia che ti viene imposta senza che tu te ne sia accorto", solo quando avranno fatto tutto quello che è in loro potere per "trasmettere" conoscenza, contagiare con il buon gusto, darsi "in pasto" a questo “volgo ignorante”, combattere con tutte le forze perchè la scuola di Stato abbandoni finalmente l’impostazione gentiliana e si metta, sul serio, a trasmettere cultura e strumenti di autopromozione culturale e se, come in alcuni casi avviene, costoro occupano posizioni “influenti” dal punto di vista politico sarebbe ora che si adoperassero per il tanto auspicato innalzamento delle competenze di lettura e del conseguente affinamento del senso estetico.
Insomma, è ora che i poeti scelgano: vogliono onorare la propria arte seguendo la propria scelta stilistico/estetica e la propria esigenza di sperimentazione senza doversi preoccupare di chi potrà o non potrà leggerli? Accettino, anzi, godano dell’esser letti da un pubblico selezionato ma, per ovvie ragioni, limitatissimo. Questo è un male? No, è una semplice conseguenza. E non comprendo il motivo di lamentarsene o di attaccare chiunque abbia successo fra i “comuni mortali”.
I “poeti del cuore” saranno sempre considerati minori e non verranno mai invitati nei luoghi della “cultura alta”? Si rassegnino e si godano i guadagni ed il plauso del pubblico. Questo è un male? Forse, sì, ma è pur sempre una conseguenza addebitabile non solo a loro ma anche all’elite di artisti che non si preoccupa minimamente del pubblico più ampio. Promoteo rubò il fuoco agli Dei e lo donò agli uomini: costoro cosa ci portano in dono?
Quanto a me, lettore medio, leggo di tutto e, a volte, trovo godibili autori “di massa” e assolutamente incomprensibili poeti che la critica enfatizza e, senza far nomi (ed escludendo i citati nell’articolo), quando mi succede lo affermo perché non ho paura di dire che “il Re è in mutande” e se questo mi fa cadere nel baratro del popolino, la compagnia non è sempre delle peggiori.
Liberare la Poesia: sì, dalle troppe diatribe e dalla poca disponibilità ad “offrirsi”. Forse ci sono più poeti egocentrici che poesie dell’ego.

 Rosemary Liedl - 23/03/2012 07:29:00 [ leggi altri commenti di Rosemary Liedl » ]

Poesia e poetica
Chi negli ultimi due o tre anni, che paiono decisivi, si è impegnato nello scrivere versi cercando mete inconsuete, si è trovato di fronte ad alcuni problemi, di varia natura. Il vuoto apertosi con l’affondamento in gruppo della quarta generazione erede di un Montale male interpretato o attenta solo alla superficie degli eventi «sociali», senza che qualcuno riuscisse a calarsi nella realtà: la mancanza di un linguaggio penetrante, nel deserto delle forme disossate; la constatazione dello smarrimento generale venuto dallo sgomento per la gran mole di fatti e di impulsi nuovi che si agitavano un po’ dappertutto, nutrendo germi di sviluppi futuri: tra questi, forse il più importante, l’avvertire la necessità della partecipazione ai movimenti e agli sconvolgimenti della società (vedremo dopo come, ma, in ogni caso, salutare opposizione alle ostentazioni dell’io, continuamente ricucinate e servite come piatti di primo ordine mentre venivano rifiutate d’istinto); una sfiducia generale nella letteratura, isolata e inascoltata, e nei compiti dello scrittore, cui ha contribuito il neorealismo con il suo bilancio fallimentare. Compiti, appunto, che si son dovuti rimeditare per accorgersi, con minor smania di risultati immediati, di quanto sono complessi e pesanti da assumere, e quanto estranei alla prassi politica.
Al quadro generale è, poi, indispensabile aggiungere situazioni più personali, come la mancanza di assistenza critica, di contatti liberi e disinteressati, di convergenze necessarie alla operazione poetica; proprio da questo «meno» ha preso consistenza un secondo tipo di problemi, che può essere definito di soluzione, ristretto al piccolo gruppo, che è poi il solo che conta, inutile scandalizzarsi, degli amici che scrivono nel modo che approviamo.
Base negativa ai problemi di soluzione, in parte irrazionale, è l’avversione per il poeta-io, quello che ci racconta la sua storia. Per costui ciò che gli capita è, proprio per questo, estremamente interessante. Egli fa parte di quella schiera di neo-crepuscolari che si fanno fotografare con il profilo un po’ appuntito sullo sfondo di emblematici fiumi.
Non si creda sia la normale avversione per i padri e di amore per i nonni: anche i nonni non ispirano simpatia; forse solo gli avi lontanissimi. Sotto l’apparenza irrazionale sta il motivo adeguato, la causa necessaria: si è capito che per far poesia si deve partire da altri luoghi, chiedere altra sostanza (senza negare l’importanza delle spinte derivanti dalle reazioni personali, problema a volte vitale nel momento di mettersi a scrivere, risolto da un’indispensabile consapevolezza che fa scegliere certe direzioni e non altre, ovviamente). Si è avvertita, insomma, l’importanza dell’evento esterno, da cui sentiamo colpita la comunità e non più, soltanto, la persona del poeta isolato: e lì ci si misura, noi, uomini. E’ utile precisare che si vuole, appunto, definire le immagini dell’uomo o degli uomini, delle cose e dei fatti che operano all’esterno e all’interno dell’esistenza.
In questo senso si è interpretata la poetica degli oggetti, la poesia in re, non ante rem. Gli oggetti e gli eventi rilevati e composti in un unicum ritmico, riescono a calarci nella realtà.
Naturalmente, sia detto tra parentesi, non si parte mai pensando alla «poesia». E’ probabile, si pensa, che la «poesia» si trovi dopo, in versi che abbiano forza e densità, autentica violenza, struggimento o risentimento.
Direttamente alla poetica degli oggetti si riallaccia il problema del vero e della verità, in simbiosi con la ricerca delle immagini e il bisogno di penetrazione. Qualcosa si vuol trovare, alla fine. Le cose che manovriamo o che ci manovrano, i fatti che determiniamo o che ci determinano, sono certamente in relazione con la verità: proprio per avvicinarla ci serviamo del vero, cercandolo negli oggetti e negli eventi. E’ per questa via che si può delineare la nostra immagine e, magari, intuire la verità. Per ben servirsi del vero è necessario raccogliere una corona o una linea di scoperte, ampliando le ricerche in tutte le direzioni possibili, mettendosi in aguato da molti punti di vista, rifiutando l’univocità del poeta neo-classico.
Gli eventi, gli oggetti, gli emblemi del vero, sono poi materia da lavorare in modo quasi artigianale: quasi, perché entrando direttamente nei problemi d’espressione, nelle ricerche di linguaggio, si vuole sottolineare il fatto che, assumendo senza riserve la metrica accentuativa, non si dà a questi problemi soltanto il valore dell’ordine o della «misura». La metrica accentuativa è soprattutto un metodo di penetrazione. Il variare del numero degli accenti è il variare dello spessore e della profondità di lavoro di una trivella, il variare del ritmo è il variare della lunghezza d’onda che si sente idonea.
Per questo, dunque, si è scelta la metrica accentuativa. Essa lascia, inoltre, un certo margine di libertà, ormai necessario, e funziona come uno strumento d’espressione, mobile e penetrante, come le nostre ricerche, evitando approssimazioni e arbitrio fonico, dispersioni di significato. Dà anche vigore al verso, necessario ad uno strumento di penetrazione, perdutosi con la banalità degli epigoni novecenteschi. Scegliendo per una poesia i tre o i quattro accenti o i cinque, si potranno usare mezzi ritmici diversi, funzionanti a strati diversi.
Ribadendo questa direzione di ricerche si deve sottolineare la necessità del poeta-oggettivo, sia nel senso eliottiano del termine, sia nel senso di un impegno costante verso gli altri, per un’arte eteronoma. Di qui la creazione del personaggio, del protagonista che, muovendosi tra le parole, si muove come noi idealmente ci muoviamo nella sfera della realtà, come vediamo che tutti si muovono, consapevoli o meno. Se questi personaggi risultano complessi e contraddittori, ambigui e inafferrabili, dipende dal loro modo di essere: specchi fedeli di una situazione contemporanea.
Così complicano il linguaggio, soprattutto la sintassi, che è come la rete che li cattura definendoli, nello sforzo di aderire alla verità; non il tuffo ingenuo, inutilmente temuto, nel mare dell’oggettività, ma l’articolarsi del conoscere, nel nostro ora.

(1960)
Antonio Porta

* Di questo testo, apparso in una versione diversa e con diverso titolo (Dietro la poesia) nella plaquette La palpebra rovesciata e poi riproposto con il titolo Poesia e poetica in I novissimi. Poesie per gli anni ‘60, a cura di Alfredo Giuliani, Rusconi e Paolazzi Editori, Milano, 1961. Si dà nella versione definitiva comparsa nel 1965, con data 1960, sull’antologia I Novissimi, edizione Einaudi, Torino 1965, poi 2003, pp. 193-195.
Ora in Tutte le poesie, Garzanti, Milano 2009, pp. 609-612.

 Luciana Riommi Baldaccini - 22/03/2012 22:51:00 [ leggi altri commenti di Luciana Riommi Baldaccini » ]

Sono d’accordo con Sonia Caporossi, in sintesi: "io parteggio per il sistema aperto, via via perfettibile proprio perché includente. Come del resto è la natura del linguaggio."