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La danza delle parole, dal diario di Lea

di Elvira Scognamiglio
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Pubblicato il 28/03/2012 20:29:44

Ogni età è quella giusta per scrivere. E le parole indicano sempre qualcosa di nuovo e inaspettato. Ciò che mi piace fare è solitamente un gioco: mi concentro su una parola e associo almeno tre pensieri per ogni parola, uno per ogni età della vita. Un pensiero della Lea di dieci anni, un pensiero della donna di trent’ anni e un pensiero della signora di ottant’anni. Alla mia età ormai abbraccio un’epoca, inglobo generazioni di figli e nipoti, posso ricordare e usare le parole a mio gusto e piacere. Facciamo qualche esempio.

Arcobaleno

Lea10. Il maestro mi ha spiegato come si forma un arcobaleno. Questo esperimento mi è piaciuto molto, vorrei tanto riprovarlo a casa con calma ma temo che la mamma non sarà d’accordo. “Il disordine è il presupposto di un lavoro maggiore” mi ripete il babbo molto spesso. Ed io credo proprio che una bacinella d’acqua potrebbe essere disordine nella mia camera.

Lea30. E’ incredibile ritrovare dopo dieci anni di matrimonio quel magnifico biglietto d’auguri. “I tuoi occhi sono per me l’arcobaleno”. Dopo qualche mese chiese la mia mano. La storia d’amore che stiamo vivendo, i figli, i dispiaceri, tutto il resto, è stato scatenato dalle lacrime che versai nel leggere quel biglietto.

Lea80. L’arcobaleno coi suoi colori già da un po’ di tempo lascia il passo nella mia vita a due sole tinte percepibili. Il bianco e il nero. A volte li mescolo, altre volte faccio in modo che il mondo abbia un solo colore invece che due. Allora la vita è tutta nera. Oppure, in altri giorni, la vita è tutta bianca. Soltanto l’altro giorno mi sembrato di nuovo di vedere tutti i colori, quando mia nipote Lea è salita in camera mia e ha aperto le sue mani mostrandomi il sole nei suoi occhi. Il suo bagliore mi è rimbombato dentro come un fascio di luce dopo tanta pioggia. E fu l’arcobaleno nel gelo del mio cuore.

Ecco il mio gioco preferito. D’altronde chi ascolterebbe più le parole di una povera vecchia? Oggi è tutto così semplice. Le parole scorrono via sui tasti del computer, volano in internet velocemente e tutti possono leggerti dove vogliono e quando vogliono. Al contrario io ho imparato a leggere e scrivere macchiando il quaderno.

Preghiera

Lea10. Stamattina il parroco mi ha rimproverata perché non ricordavo la preghiera del mattino. Caspita. Non mi venivano proprio le parole, mi sono vergognata così tanto. Gli altri bambini mi guardavano ed io rimanevo zitta in silenzio e non riuscivo a pronunciare l’inizio del verso seguente. Mi sono fatta tutta rossa quando Padre Luigi mi ha detto che non avrei potuto fare la prima comunione se non imparavo tutte le preghiere. Sto aspettando da tanto tempo il giorno in cui avrei indossato l’abito da principessa che ha preparato la zia Lucia per me. Mi ha anche detto che mi avrebbe messo una coroncina di fiorellini nei capelli perché quel giorno sarei stata una vera principessa, una piccola sposina. E invece stamattina ho dimenticato la preghiera e me ne stavo tutta zitta, impalata, davanti a tutti. La suora mi incitava, ma a me proprio non venivano le parole. Non so come ho fatto a dimenticarla così velocemente, eppure mamma me la ricorda sempre. Ogni sera dice che è importante pregare perché così si va in paradiso. Io non  ho ancora ben capito cosa sia il Paradiso. Pare che lì sia andato il mio cane Bar quando non lo trovavo più. Spero proprio che sia un posto dove andrò presto così lo rivedrò e staremo ancora tanto tempo insieme a giocare.

Lea30. Ho avuto il coraggio dopo tanti anni di entrare in Chiesa. Era già da un po’ di tempo che ci pensavo, eppure ogni volta che passavo qui davanti, avanzavo la camminata come se il Signore non potesse vedermi, sentirmi o chiamarmi. Il problema è che io avevo bisogno di fare ordine dentro me prima di parlare con qualsiasi sacerdote, prima di entrare in Chiesa e inginocchiarmi alla sua presenza. Così ho compiuto tante e tante volte lo stesso gesto: rallentavo la camminata, mi fermavo a sbirciare dentro, mettevo il primo piede sul gradino, poi un dettaglio, un particolare, un quid qualsiasi, anche un rumore, mi distoglieva dall’intento. Così proseguivo la passeggiata verso la scuola, verso casa, verso qualsiasi altra meta che non fosse la Chiesa. Ma stamattina no. Non ho avuto il coraggio di passare oltre e il mio piede sul gradino ha avuto la forza di salire e portare con sé l’altro. E così ho fatto tutto d’un fiato la scalinata fino all’ingresso. L’orologio toccava le nove del mattino e Lulù già era a scuola da circa un’ora. La immaginavo tra i suoi quaderni, con i suoi capelli color del fuoco, con gli occhietti concentrati sull’ennesima poesia di Petrarca. Da qualche mese l’aiutavo nei compiti e ogni volta era esilarante vederla cercare accuratamente il significato di ogni singola parola delle liriche di Petrarca per poi chiedersi ad alta voce cosa volesse dire quella poesia o quell’altra. Mi bastava guardarla per comprendere che senza di lei la mia vita sarebbe stata terribilmente triste, monotona, insignificante. Mi bastava specchiare i miei occhi nei suoi per cogliere la stessa volontà di essere una persona diversa dalla folla, il desiderio sfrenato di distinguersi semplicemente per il caratterino disarmante e il musetto inquietante che mostrava in giro. Così ho spinto con leggerezza la porta e ho guardato furtivamente all’interno. Sono stata investita dalla consueta aria silenziosa della mia parrocchia, quella stessa chiesa che frequento da quando ero piccina. Ho segnato la mia fronte col segno della croce, ho abbassato gli occhi e ho cercato conforto nel crocifisso che vedevo stamattina come per la prima volta. Lo guardavo e gli dicevo che in fondo tutto il mondo è paese e la mia posizione non era tanto distante dalla Sua. Poi ho preso posto dinanzi all’altare e guardandomi intorno mi sentivo osservata da tutti i santi e le madonne che mi giacevano da un lato e dall’altro. In silenzio. Ho cercato il rosario nella mia borsa e ho fatto appena in tempo a concentrarmi sulle prime cinque ave maria quando mi sono detta che era giunta l’ora e avrei dovuto fare ciò che volevo fare da un po’ di tempo. Confessarmi.

All’angolo destro della Chiesa c’era una piccola fila di vecchiette che attendevano il loro turno affinchè il vecchio Padre Vincenzo desse loro l’assoluzione dopo aver fatto finta di aver ascoltato i loro peccati. Mi sono avvicinata con discrezione, giusto per non perdere il turno e uscire dalla Chiesa senza aver ottenuto il perdono. E così piuttosto che pensare alle parole che avrei utilizzato, ai dieci comandamenti, alla richiesta di perdono che avrei dovuto fare, mi concentravo sulle signore e pensavo che probabilmente avrebbero confessato di non aver preso parte all’ultima celebrazione eucaristica. Oppure avrebbero detto di quel litigio con la signora del piano di sotto. Giusto per pulire la loro anima e presentarsi tutte baldanzose la settimana seguente dinanzi all’altare per prendere il pane del perdono. Il pane quotidiano. Nel frattempo si sono alternate almeno cinque o forse sei anziane donne che poi, uscite dal confessionale, si sono inginocchiate nella parte della Chiesa destinata alla penitenza e hanno pregato per ringraziare il Signore di aver cancellato i loro peccati. Io ancora ero in attesa. Finalmente è arrivato il mio turno.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Ho tradito mio marito. E continuo a farlo, ogni fine settimana.

E via con le mie confessioni. Il tempo sembrava fermo agli istanti precedenti, come se nel confessionale non ci fosse la necessità di far rintoccare le lancette dell’orologio poiché il tempo interiore è ben diverso da qualsiasi tempo esteriore.

Il Signore assolva i tuoi peccati. Pronuncia un atto di dolore e ripeti per penitenza dieci volte la Salve Regina.

Il peso dei peccati non era andato via. Sebbene io avessi pronunciato in poche parole quello che da mesi continuava a tormentare i miei pensieri, notte e giorno, i miei peccati non si erano volatilizzati trasformandoli in parole. Ero pienamente convinta che avrei di nuovo commesso gli stessi errori e di nuovo avrei peccato. Avrei tradito. Avrei continuato a farlo, anche perché ormai ero perdutamente innamorata di un uomo che non era mio marito. Così seduta e incurvata sulla panca della zona penitenza della Chiesa ho provato a pronunciare con convinzione l’atto di dolore. E poi sono passata alla Salve Regina. L’unico problema è che non ero mai stata in grado di imparare quella preghiera a memoria. Provavo a ripetere a bassa voce le prime parole e poi mi fermavo. Alla fine non sono riuscita a pronunciare tutta la penitenza. La preghiera, quella preghiera, non l’ho mai imparata.

 

Lea80 – Di lunedì aspetto che arrivi presto la domenica poiché allora mio figlio verrà a trovarmi, mi troverà già pronta e improfumata e mi accompagnerà fuori. Non vado molto lontano perché mio figlio deve rientrare per l’ora di pranzo a casa. Mi accompagna in Chiesa. Gli ho fatto credere che non riesco a camminare in modo autonomo per arrivare fino alla Chiesa e così lo costringo a darmi il suo braccio e a passeggiare lentamente in modo da far durare circa venti minuti un percorso che a stento dovrebbe durarne dieci. Ma è l’unico modo per avere qualcosa per me, per sentirmi ancora amata e stimata. A volte mio figlio ha da fare e non riesce a liberarsi per uscire con me, allora mi metto con il naso attaccato ai vetri della finestra e penso che è davvero brutto diventare vecchi. La debolezza delle ossa ti toglie perfino la voglia di pregare che è sopraggiunta con l’avanzare del tempo, come se le parole potessero allungare i nostri giorni. Se non mi va di uscire, mio figlio viene lo stesso, prende posto accanto a me e guarda fuori dalla finestra, mentre continua a chiedermi se deve chiamare il dottore, cosa mi sento e così via. Che sciocco. Se non mi va di uscire, non è detto che io non stia bene. Semplicemente ho dormito male, non ho la foza di prepararmi per camminare oppure ho litigato con Dio e non voglio parlargli.

 

Ciclamino

Lea10 – Oggi ho accompagnato la nonna al cimitero perché dovevamo andare a trovare il nonno. Non ho mai capito il motivo per cui bisogna andare a trovare i morti, se sono morti. Eppure la nonna ci tiene così tanto! Si veste di tutto punto di nero per l’occasione e tira fuori il cappellino dall’armadio. Poi mi aggiusta il fiocco tra i capelli e finge di riabbottonarmi il cappotto che io so chiudere benissimo. Prima di uscire mi fa tutte le raccomandazioni del caso e mi affida qualche soldino per comprare dei fiorellini da appoggiare sulla tomba del nonno. Scegliere i fiori per un morto è davvero una tortura per me. A me piacciono i colori accesi e comprerei rose rosse, tulipani gialli e garofani colorati. E invece finisce sempre che devo comprare certi fiori bianchicci-giallognoli che non sanno di niente. Il nonno sarà veramente triste, penso ogni volta che esco dal magazzino. Come si può regalare a un nonno un mazzetto di fiori così brutti e senza neppure un briciolo di profumo? Anche oggi la scenetta si è svolta allo stesso modo. Ho tentato di indicare i fiori che più mi piacevano, ho puntano ben bene il ditino e contato i soldini nella mano destra. A quel punto ho sentito lo strattone della nonna e la mano dei fioraio prendere il consueto mazzolino di crisantemi bianchicci-giallognoli. Ho pagato a malincuore e mi sono avviata all’uscita. L’ha fatta franca anche stavolta, ho pensato. Tra una chiacchiera della nonna, un saluto al signor Giacomino e un mio sbuffo, siamo arrivati dinanzi alla foto del nonnino. Gli avevano scelto quella bella foto in cui sorrideva perché io avevo compiuto un anno e non volevo spegnere le candeline. La nonna fa un giro di perlustrazione. A me tocca il compito di stare in piedi ad aspettare che termini la loro conversazione di amorosi sensi per toccare la foto del nonnino e dirgli che mi manca tanto. Forse gli dirò anche che sto studiando e leggendo, così come lui mi diceva sempre di fare. E che proprio la matematica non è il mio forte, e che se ci fosse ancora lui, probabilmente anche le scienze sarebbero uno spasso. Così, mentre mi fingo pensierosa, non posso fare a meno di scorgere un particolare. A destra, proprio accanto alla lapide del nonno, nel terriccio umido per la pioggia della notte, è cresciuto un ciclamino fucsia. La nonna non ci ha potuto fare niente e il fiorellino è cresciuto più forte che mai. E sembra proprio che stia lì per rincuorare il nonno e per dirgli che la natura è contenta che lui sia lì e che è pronta a colorargli un pezzo di morte, visto che la moglie vorrebbe fargli vedere tutto bianchiccio-giallognolo. Sono contenta anche io e abbozzo un sorriso. Prima che mi veda la nonna.

Lea30 – Così la mia vita si è tinta di ciclamino. ho preso mio figlio per la mano e l’ho accompagnato in un campo di fiori. Non potevo immaginare che un giorno tutto mi sarebbe stato rovesciato addosso come un tubetto di colori a tempera. Camminavo lentamente tenendo il passo e concentrando tutto il mio pensiero su di lui perché lui è da molto tempo l’unica persona che riesce sul serio ad amarmi e su cui riverso ogni giorno il mio profondo amore. Stanotte non sono riuscita a dormire. Ieri notte non sono riuscita a dormire. Sono settimane in cui dormo poche ore per notte. La chiamano insonnia. La curano con ceri farmaci strani. Pare che debbano rilassare i pensieri e farti addormentare. Cosa strana. Io non dormo. Non ci riesco più. Perché ho bisogno di vegliare, di non regalare neppure un momento di tregua a tutte le mie ansie. Galleggio nelle mie nuvolose occhiaie e corro dietro alle mie parole farfugliate. Dove vado. Da dove vengo. Annaspo nei miei pensieri. Cosa volevo da lui. Cosa voleva da me. Tutto è già scritto. Ma finalmente ho preso mio figlio per mano e l’ho portato nel campo di fiori, dove tutto ha un senso, dove tutto si è colorato di ciclamino. Ho specchiato i miei occhi in quelli del mio bambino e i nostri colori erano gli stessi.  I miei pensieri erano i suoi. I suoi non pensieri erano miei. Ed erano di colore ciclamino.

 

Lea80 – L’altro giorno è venuto mio figlio per portarmi in Chiesa. Ha usato con me le stesse parole di sempre, gli stessi gesti, le stesse ampollosità. Quelle smancerie che io per prima gli ho insegnato e che mio marito ha apprezzato in me. Eppure nel suo guardo qualcosa mi sfuggiva. Così all’uscita della Chiesa, dopo la Santa Messa, mi ha riaccompagnato a casa e io gli ho offerto la solita tazza di caffè.

Mamma, domani vengo di nuovo a prenderti. Prepariamo una borsa perché ho intenzione di farti visitare da un professore di Milano.

Ma non voglio uscire anche domani. Non si può rimandare la visita alla settimana prossima? Così forse questi disturbi verranno meno.

Non andranno via. Sono mesi che non vanno via ed è giunto il momento che qualcuno si prenda cura di te seriamente.

Io riesco ancora a prendermi cura di me stessa, tesoro mio. Cosa stai dicendo?

Questo non è realistico. Stai dimagrendo soltanto a vederti. Forse non mangi e non riesci neppure più a prepararti il pranzo e la cena. Ti trovo sempre scompigliata e questo non è da te.

Ti impressioni. Semplicemente mi sento un po’ più stanca del previsto. Farò una cura di ferro e mi riprenderò.

Domani tornerò e ti accompagnerò al Ciclamino. Ho già preso appuntamento, non è possibile rimandare oltre. Presto dovrò partire per NY e voglio essere tranquillo che sarai in mani sicure.

 



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