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A chocolate brownie

di Elvira Scognamiglio
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Pubblicato il 10/05/2009 10:21:52

1946, Londra.

Sedeva su uno sgabello, sorseggiando un caffè, mentre il sole tramontava lentamente dall’altra parte del vetro. Lo sguardo sul libro, la mano destra sulla tazza. Alzò la testa per un attimo e ascoltò a occhi chiusi la pioggia contro i vetri del locale. Da anni ormai giocava cercando di disegnare su un pentagramma i rumori che sentiva nel mondo. I passi di una persona, il cinguettio di un uccello su un albero, il vicino di casa alle sette del mattino, la macchina da scrivere dell’impiegato dell’ufficio affianco al suo: rumori che lo rendevano parte integrante di un mondo apparentemente vuoto, una scatola di latta contro cui tutti cercavano di procurare rumore con ogni mezzo. Tutti tranne lui. Aveva sempre vissuto pensando di poter usufruire del rumore altrui, del fracasso della strada, della rivoluzione dello stupido del momento. Si aggiustò gli occhiali sul naso, ma era ancora troppo presto per andar via. Sarebbe tornato a casa e si sarebbe ritrovato negli occhi della sua donna, le avrebbe dedicato un pezzo di Chopin, avrebbe versato un bicchiere di vino da tenere sul pianoforte e avrebbe lavorato su quel pezzo fino al giorno dopo. Come ogni sera, le avrebbe accarezzato la fronte e l’avrebbe coperta con il suo cappotto sorridendo in silenzio, dopo che per l’ennesima volta si era addormentata sul divano accanto al pianoforte. Alzò gli occhiali e si strofinò gli occhi. Cercava di concentrarsi sul via vai della gente, sui loro ombrelli scuri, sulla ragazza dietro al bancone dei dolci, su quel pezzo di torta al cioccolato che proprio avrebbe voluto avere sul suo tavolo.
Mi scusi signore, posso sedermi qui?
Sorrideva. Non l’aveva vista entrare, non l’aveva vista scegliere accuratamente la sua cioccolata calda, non aveva sentito la sua richiesta di doppia panna, non aveva visto neppure che quella fetta di chocolate brownie era finita proprio lì, sul suo piatto. E ora sul suo tavolo. E gli rideva in faccia.
1, 2, 3.
Prego.
Non era donna da gesti cortesi. Prima del suo consenso, aveva appoggiato piatto e tazza sul tavolo e si era arrampicata su quello sgabello troppo alto. Era troppo tardi per imbarazzarsi, per guardarsi intorno e cercare via di fuga. Era lì e doveva finire il suo caffè prima che tramontasse il sole. Prima possibile.
Ho letto il tuo racconto.
Spezzettò la fetta di torta e ne mise un pezzo in bocca. Che beffa. Se soltanto si fosse alzato e avesse chiesto quel pezzo di torta, probabilmente l’avrebbe vista di sfuggita e avrebbe deciso di mangiare altrove, senza avere la rottura di palle di dover tenere un chocolate brownie sotto il naso e non chiederne un morso. Con lei davanti. All’improvviso, guardò il suo dito affogare nella panna e arricciare il naso per l’imbarazzo.
Mi è piaciuto tanto.
1, 2, 3.
Il tuo racconto, dico. Mi è piaciuto tanto.
Alzò lo sguardo dalla tazza e gli sorrise con aria beffarda, mentre il dito sporco di panna le dondolava davanti al naso. Erano anni che non la guardava negli occhi. Sentiva gli occhiali scendergli sul naso, ma non aveva il coraggio di rompere l’idillio del suo silenzio. Deglutì per non chiederle di poter assaggiare la sua torta. Infondo, l’avrebbe mangiata domani. No, stasera. Sì, meglio stasera, altrove. Non lì. Non ora. Un veloce sorso di caffè e l’avrebbe salutata in un baleno.
1, 2, 3.
Ti vedo invecchiato…
La vita lo aveva corrugato. Le responsabilità, le notti al night club, il freddo e la fame lo avevano reso una persona diversa, ma non pensava di doverle spiegazioni. Il suo sorriso lo indispettiva. Il suo finto imbarazzo determinava in lui una rabbia tale che avrebbe fatto finta di urtare fatalmente il tavolo per vedere il suo vestitino bianco sporcarsi di cioccolata. I suoi capelli legati a onda, la sua collana di perle, il suo orologio d’oro, le sue scarpine nere. La vita non l’aveva cambiata. L’aveva trasformata, ma lei era ancora quella di un tempo. Buffa e insensibile. Furba e sagace.
1, 2, 3.
Insomma, che ci fai qui? Vedi di tornartene a Varsavia quanto prima.
Ma io sono a Varsavia…!
E sorrise ancora, abbassando gli occhi nella tazza.
Si coprì la testa con le mani con un gesto di rassegnazione. Non aveva che dire, non sapeva cosa fare, ma capì che avrebbe dovuto trovare una soluzione in pochi istanti. Aggiustò i capelli come uno che stava per fare un grande discorso, e in quel momento si accorse di essere rimasto solo al tavolo. La tazza scomparsa. La torta sfumata. Lei. Lei non c’era più. Si girò di scatto per guardarsi intorno. Tutto era come prima. Prima della tazza, prima della sua risata, prima dell’imbarazzo. Prima di lei. Si sentì stralunato, ma aveva ben chiara la sua serata. Si aggiustò la giacca e si mosse per uscire, mentre una bambina spezzettava in braccio alla mamma quell’ultima fetta di chocolate brownie.



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