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Le prime volte non c’era stanchezza

Poesia

Luigi Finucci
Eretica Edizioni

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 11/11/2016 12:00:00

Tenerezza, dolcezza, grazia nella custodia del bene caro di un'infanzia intesa nell'equilibrio stabile e ordinato di forma e mondo, di sé e mondo all'interno di un sistema familiare e di terra, di forze esattamente risonanti e riportate nell'unico paradigma possibile, quello della perdita. Discorso questo, di Luigi Finucci (trentenne marchigiano alla sua seconda prova poetica oltre a un testo di versi giustappunto per bambini) che tra l'altro ci riporta alla cronaca di paesi, culture, cerniere del nostro paese così duramente colpite dal sisma di questi giorni, di questi mesi. Diciamo subito che per buona parte della lettura ci è sembrato di avere tra le mani un piccolo gioiello, un'opera di poesia vera per semplicità e umiltà antica davvero sorprendente e che pareva smarrita tra scaffali di versi nei fatti chiusi al mondo per logiche di autoreferenzialità sentimentali e politiche. La stessa ingenuità che da più parti va a segnare e accompagnare le pagine ci riporta ad esempio ad una malizia, ad una corposità di vesti che piuttosto che coprire non liberano, ci sconfessano dimenticati a noi stessi e agli altri nei recinti di solitudini e impossibilità progettuali. E non rabbia, non accuse, non parole accese nel timbro ma la desolazione dell'occhio che sa la luce nel buio che spegne. Timidamente, fieramente, solo rammentare (come da primo testo) "il diritto/ di essere deboli" in una meditazione sul tempo in cui, come rileva nell'introduzione Alessandra Piccoli, in un paesaggio che "acquista piacevoli caratteristiche umane" il ricordo nel sollievo prova a sovvertire il trauma. Interiorità umana e interiorità circostante sembrano dunque continuamente cercarsi, circolarmente pensarsi in una compenetrazione di generazioni e distese. Tra promesse e perdite, nella domanda se é possibile ancora "ascoltare ciò/che il tempo ha perso per strada", la risposta è in quella malinconia di uomo e Creatore che insieme fondendosi ridanno, sostenendosi, speranza. Bellezza di cruna che nel piccolo si compie e che al piccolo, così, naturalmente ridireziona (le poesie sull'Africa- in un cielo senza rovina perché sempre nuovo- a mostrarcelo, a confermarcelo) e che ha nel sogno la sapiente compiutezza del gioco, il mondo trovando nello sguardo a sé del bambino ( non più sull'altare dei demoni ) la chiave della disputa col tempo nell'ordine riunito della casa e dell'albero (del letto e del legno come una volta dalle spalle la visione del regno giusto del padre). Esemplare allora di questo sguardo di comunione (a scongiurare quella perseveranza all'errore che porta a morire due volte- a "vedere/negli uccelli/un volo mancato") è il brano "Nel fiume ho trovato un sasso" in cui il tema caro del tempo è strettamente collegato all'amore. Così come nello scorrere dove "tutto cambia e si logora" e sembra dimenticarsi dei sassi l'acqua stessa comunque va a modellare la pietra, infatti l'amore con noi compiendo e fiorendo pur nell'aggressività degli eventi- le care cose (le botteghe, il pane, l'odore del melograno) nella consuetudine e nel racconto di uno spazio ("I sensi si sono riposati") in loro stesse rasserenato. Eppure, nel procedere, qualcosa in questa scrittura- quasi sorprendentemente- a un certo punto va in cortocircuito. La corsa del fanciullo, non più lievito, si fa affanno come se nel ricordo ("Tutto il resto l'ho dimenticato") quella quiete che da bambino fu turbata dalle ansie dei grandi fuori dalla stanza non fosse più ricomponibile ("tutto il resto è finito/ nel gioco delle prime volte") ed esemplare restasse nella possibilità solo il passato ("solo in quel villaggio/le abitudini erano madri,/e gli orologi erano del colore/ del giorno e della notte"- "Il villaggio dei mulini"). Nella morte del sogno che si fa inutile chimera "con mani piene/ di falci e clessidre" il libro va a chiudersi in un'oscurità a cui segue una parola incostante e a tratti debole che va a scemare il dettato stesso in inconcludenze che non ci spieghiamo, l'orizzonte comunque così tanto carezzato nelle sue intenzioni un inciampo. Ciò non toglie però ricchezza a una disposizione e a un naturale talento che ci ha emozionato, certi che il caro Finucci non si smarrirà nel suo gioco.


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