Pubblicato il 29/08/2012 17:19:23
Volo, quattro dita sotto l’orizzonte ottico, velocità centoquaranta nodi ; l’aeroplano vibra, è vivo. A mille piedi dal suolo, al galoppo nel blu, l’immortalità ti rapisce. Una scia di luce indugia sull’acqua, fin dove cielo e mare sfiorano il sole al tramonto. Una scivolata d’ala schiude alla mia vista scogliere battute dalle onde e prati verdi increspati dal vento. Viro di 180°, acquisto velocità, scelgo un grosso fienile. E’ il mio riferimento, intanto la velocità aumenta. Ci siamo! Richiamo dolcemente il musetto del mio SF260 che urla e torna ad arrampicarsi in quota. Una forza invisibile mi schiaccia sul seggiolino che già sono a testa in giù, al culmine di quel cerchio immaginario. La terra è cielo, il cielo è terra, il mondo è ribaltato ma corre rapido al suo posto; la velocità aumenta repentina, fino a che, non tiro le briglia al mio cavallo volante che torna a pattinare lieve nell’aria. La torre mi richiama, è già ora di scendere dal cielo. Do motore, ali a 45°; faccio rotta verso la base. Sono sul mio sentiero di discesa, flaps ok; il carrello è fuori; miro il pettine sulla testata della pista, occhio alla velocità, bene! Il sole si è tuffato in mare. Sorvolo la rete di recinzione, sono sul pettine, via motore, la barra di comando è un rimestolio continuo che termina quando sento il lamento nervoso delle ruote che impattano sull’asfalto. Seguo la riga bianca di mezzeria e termino la corsa infilandomi in un raccordo. Apro il tettuccio e l’odore di kerosene mescolato a quello dell’erba appena tagliata mi fa sentire una parte indispensabile del tutto. Volo ancora!
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