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L’uovo di cioccolata

Argomento: Libri

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 15/03/2016 05:11:39

‘L’UOVO DI CIOCCOLATA’:

Eventi, Libri, Magazine, Cinema, Viaggi ed altro …

 

La Pasqua è alle porte ed è un giorno di festa che solitamente va rispettato secondo la tradizione ma che quest’anno, in modo particolare, si rifà allo speciale ‘Giubileo della misericordia’, voluto da Papa Francesco. Un ‘evento’ che si riconferma pregno di spiritualità e devozione per tutti i cristiani nel mondo che in questo periodo in gran numero trovano nella Settimana Santa il proprio momento di redenzione. Con il suo libro “La Chiesa della Misericordia” (San Paolo Ed. 2014), Papa Francesco si rivolge a ogni uomo e donna del pianeta in un dialogo semplice, intimo e personale. La sintesi del suo magistero è raccolta in questa intervista, arricchita dal racconto della sua vita e delle vicende di tante persone incontrate lungo il cammino. Papa Francesco è oggi il volto di una Chiesa che non giudica, che non rinfaccia le fragilità e gli errori, ma che accoglie sempre: “Il nome di Dio è misericordia” (la Feltrinelli 2015) ci ricorda e la misericordia è il volto del suo pontificato.

«Nell’eclissi del sacro alcuni sociologi hanno individuato una delle caratteristiche della cultura contemporanea – scrive Vincenzo Bo in “La religione sommersa” (Rizzoli 1986) – I computer, una tecnologia altamente sofisticata, l’industria, le macchine, l’esigenza di soddisfare sempre più i bisogni materiali spingerebbero gli uomini d’oggi ad avere un rapporto con la realtà essenzialmente razionale, dove tutto viene spiegato in termini di progresso della scienza e della tecnnica. Ma è altrettanto vero che esistono (e sono sempre esistiti) bisogni non materiali che il godimento di sempre maggiori beni di consumo non riesce a soddisfare, anche se la cultura industriale li ha spinti ai margini, svalutati, soffocati, bollati col ridicolo. Di questi bisognidi spiegazioni trascendenti emergono oggi tracce impensate e sempre trascurate nel loro significato umano: i riti che seguono lo scandire delle stagioni, i miti ancestrali, le credenze religiose. Tutti sintomi di una tensione verso il sacro che il cristianesimo ha storicamente individuato e sempre incanalato nei simboli di una religiosità autentica che indicano la presenza viva nella società contemporanea di una tensione verso una rinascita del sacro nei termini e nelle parole che l’umanità intera, per secoli, ha usato nei momenti fondamentali della vita.»

All’occorrenza la seguente “Meditazione di Don Luciano” (cfr. dell’autore), afferente al Vangelo della Domenica, III di Quaresima, si offre al lettore nella ‘parabola del fico’ che, se da una parte manifesta la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, (a tutti noi indistintamente), un tempo per la conver-sione; dall’altra, avvverte la necessità di avviare subito un certo cambiamento inte-riore ed esteriore della vita, per non perdere le tante occasioni che la miseri-cordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corri-spondere al suo amore con il nostro amore filiale:

«Convertirsi però è anche portare frutto, per altri. Come il fico, se vive solo per sé, non vive. Che per vivere deve dare, per la fame e la gioia di altri, un frutto che permetta ancora, ad altri, di gustare e amare la vita: Nessun uomo taglia subito un albero quando si accorge che è entrato in crisi, ma cerca di guarirlo con cura paziente, così da riportarlo nella pienezza della vita. Se tu, Signore, seguissi i nostri stessi impulsi, che ci portano ad eliminare gli operatori di iniquità, tutti e subito, il mondo sarebbe già rimasto un vuoto deserto. Tu sei l’eterno paziente e sai aspettare a lungo la conversione dei peccatori, e non hai fretta di condannare. Donaci, Signore, un cuore misericordioso, come il tuo, perché la storia dà sempre ragione non ai giustizieri impulsivi, ma ai pazienti: questi hanno imparato che perfino una pianta nata storta, con un po’ di tempo volge la sua cima verso il cielo. Amen.»

Acciò, in l’occasione delle festività della Pasqua, propongo quest’anno un salto nel cuore del Mediterraneo, a Malta per i festeggiamenti della Settimana Santa, con inizio il ‘venerdì di passione’ precedente il cosiddetto ‘triduo pasquale’, del Venerdì Santo, allorché la statua della Madonna Addolorata viene portata in processione per le strade de La Valletta e di molti altri villaggi e città.

«In questo periodo un gran numero di Maltesi si raduna nelle chiese fin dal Giovedì Santo e si tengono le ‘sette visite’, ovvero le visite alle sette chiese che rendono omaggio agli Altari della Pace. Il Venerdì Santo è invece una giornata austera e funerea, in quanto le chiese vengono spogliate delle loro tradizionali decorazioni ornamentali. Al loro posto domina il colore rosso, simbolo del sangue di Cristo. Tutto, però, si trasforma completamente il giorno successivo quando le campane suonano a distesa rompendo il silenzio della notte per annunciare la Resurrezione del Cristo. Nella Domenica di Pasqua, a metà mattinata, tra le strade adiacenti la chiesa si snoda una processione che porta in trionfo la statua del Cristo risorto. Al termine della processione le strade vengono sgombrate e i portantini fanno una corsa per riportare il Cristo risorto nella chiesa in cui la statua è conservata». (da ‘Visit Malta’ opuscolo di viaggio).

«Qui a Malta, come a Gozo e Comino, le tre isole che compongono l’arcipelago ‘perla del Mediterraneo’, molte sono le citta' e i villaggi che organizzano le processioni del Venerdi Santo. Una di queste si svolge nella citta' del Zejtun (Citta' Beland) , indubbiamente una delle piu' partecipate. Lunga quasi 2 kilometri, la processione serpeggia per le vie della citta' fino a tarda notte in cui si assiste alla sfilata di tredici grandi ‘statue’ che riportano a episodi della passione, accompagnate da tipiche bande musicali formate in prevalenza da strumenti a fiato che sfilano al suono di ‘marce funebri’, ‘musiche sacre’ e ‘responsori’ vari di autori maltesi con qualche influenza italiana e siciliana, vista la vicinanza.

La più nota di queste, infatti, si chiama Filarmonica Beland, la quarta banda di Malta fondata nel 1860 dalla famiglia Diacono originari di Livorno. Non mancano però momenti di puro divertimento popolare durante le soste della processione, quando la banda suona il ‘valzer’ che qui è sinonimo di Pasqua, in quanto eseguito come momento di gioia per la vicina ‘resurrezione’.» (per gentile concessione di Maya Francione - Marketing and communication executive Malta Tourism Authority).

L’occasione della festa segna anche il momento giusto per staccare la spina nel rispetto del detto popolare: ‘Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi’, e che segna un’occasione imperdibile per partire e far visita agli amici di sempre sparsi un po’ dovunque, e l’occasione di farne dei nuovi in giro per il mondo. Magari, e perché no, godere dell’aria di questo nostro Mare Mediterraneo nei primi giorni di primavera. Scopri dunque le mete che più preferisci e organizza il tuo viaggio, scegli l’offerta giusta e preparati a partire:

Eolie, Tremiti, Lampedusa, Sicilia, Sardegna, Barcellona, o le tantissime Isole Greche se si è propensi per le località marittime. Altrimenti si può scegliere fra numerosi ‘luoghi’ montanari: Ovindoli, Campo Imperatore, Campo Felice, Terminillo, Monte Piselli, Campitello Matese per sciare nelle località del centro Italia. L’alta montagna chiama però altri luoghi che si stemperano al sole nelle valli e sulle cime delle Dolomiti, in Trentino Alto Adige e Sud-Tirolo dove, oltre a sciare, si possono vivere vacanze davvero diverse, scegliendo ad esempio, l’agriturismo altoatesino fra osterie contadine, ‘masi’, artigianato locale, prodotti di qualità proprie del territorio, selezionati e certificati dall’Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi sotto l’egida del Gallo Rosso, e godere di un’ospitalità cordiale nel bel mezzo di paesaggi naturali e culturali unici.

Si dice anche che ‘viaggiare significa dimenticarsi da dove si viene e non sapere dove si va’ ma è una falsa prospettiva per chi invece si rifà alla conoscenza come momento acculturante della propria esistenza. Allora una corretta informazione diventa necessaria, ma la si può facilmente trovare nelle numerose ‘guide’ apposite, distinte per località e soluzioni diverse che riguardino l’arte, il folklore, la salute, le mostre, i concerti di musica, le manifestazioni popolari ecc. Esiste un calendario estremamente curato di tutte le ‘feste’ in giro per l’Italia. Altri, come Franco Cardini, il noto storico e saggista italiano, specializzato sul Medioevo ha affidato al turista più dilingente un messaggio che assolutamente non possiamo eludere: «..nelle mie intenzioni – e nelle mie speranze – l’ideale sarebbe che prima di partire lasciaste da parte libri, guide e mappe e vi affidaste fiduciosamente al vostro intuito.» Cioè a quello ‘spirito del viaggio’ che gli ha permesso di scoprire (o forse di riscoprire) città come “Gerusalemme” (2012) e “Istanbul” (2014), titoli omonimi di due suoi libri / guida editi per il Mulino) che ha fatto sue; ma che nel rivolgersi a noi aggiunge: «Non pretendo che diventino anche ‘vostre’, mi basterebbe che quanto leggete almeno vi aiuti a trovarle.»

Si vuole che la scelta di un viaggio rispecchi in qualche modo una scelta di vita effettuata in un ‘tempo sospeso’ in cui “Il grande racconto delle stelle” di Piero Boitani (Il Mulino 2012) illumina il nostro cosmico stupore per il creato, per quel nostro sognare dediti alla vasta solitudine dei poeti ‘…vaghe stelle dell’orsa’: «Tutti gli esseri umani per natura amano guardare il cielo stellato. Lo considerano uno degli spettacoli più belli e commoventi che si possano contemplare, (alla ricerca di una qualche verità nascosta), e in effetti l’osservano estasiati da migliaia e migliaia di anni, forse da quando la specie si è eretta sulle due gambe. (..) Filosofia , ecienza e poesia provengono dal medesimo impulso, la meraviglia (lo stupore): è una fede che condividono, millenni dopo, il persiano al-Quazwini, Dante, Kant ed Einstein (..) quanto poeti, pittori, architetti e musicisti davanti alle stelle attraversdo i secoli e i continenti del nostro pianeta. Esiste una ‘poesia del cosmo’ alla quale gli artisti e gli scienziati hanno dato voce nelle loro opere. L’architetto che costruisce una cupola (pagana, cristiana, islamica, cinese), o la volta di una chiesa o di un palazzo, lo fa spesso con l’idea di dare forma umana, palpabile, alla cupola del cielo.» (dalla prefazione del libro).

Dobbiamo però a Umberto Eco, che prima di lasciarci ha dedicato a tutti coloro che non l’hanno mai espresso (o che forse hanno fatto più di altri), l’aver aperto un varco verso il desiderio (spesso incoffessato) di conoscere tutto il bello (o il brutto dipende) del mondo e che, in quanto a viaggiare, hanno riposto nella fantasia quel tanto di meraviglioso che pure c’è nella suggestione narrativa di cui egli è stato il numinoso interprete. Nei suoi libri infatti tutto è lasciato all’immaginazione letteraria e al viaggio, perché leggerlo è sempre stato per tutti noi come intraprendere una sorta di viaggio, seppure alla stregua di un despota che si chiama autore.

Credo non ci sia nessuno (di noi lettori) che, leggendo i suoi ‘mirabolanti ’ libri, in fine non abbia ammesso di aver intrapreso un viaggio attraverso il mondo conosciuto e quello forse più sconosciuto in luoghi che ben presto sono divenuti ‘reali’. E chissà che non lo fossero davvero, perché il filosofo, medievalista, semiologo, massmediologo, saggista e romanziere li ha attraversati (vissuti) tutti nella ‘sua’ realtà di scrittore. Il riferimento non è casuale, cito qui: “Storia delle Terre e dei Luoghi leggendari” (Bompiani 2015). Ed è sempre come andare incontro a quel “Pape Satàn Aleppe”, titolo del suo ultimo libro (La Nave di Teseo 2016), che la dice lunga sul senso del ‘suo e nostro’ viaggiare alla deriva della realtà dentro la 'cronaca dei quella società liquida' già individuata da Zigmunt Bauman, e che la curiosità di Eco, ha spesso trasferito nell’ironica, impertinente raccolta delle "Bustine di Minerva" con indicazioni e considerazioni sulla particolare situazione della quotidianità, ricca di riflessioni pungenti e istruzioni per situazioni singolari, talvolta al limite del paradossale.

Una guida, se vogliamo, divertita e divertente, che ci permette di affrontare con la giusta disinvoltura, le consuetudini e le inconsuetudini dei nostri giorni”. A proposito del suo ultimissimo libro "Come viaggiare con un salmone" (La Nave di Teseo 2016)  – scrive Mauro Bonazzi in ‘Il dibattito delle idee’ (La lettura – Corriere della Sera 28 febb. 2016): «Il rapporto tra mondo reale e immaginazione è tale ormai da farci dire che il progresso infrange ogni limite tra possibile e impossibile che si protende verso l’ignoto (..) come può esserlo l’inizio di ogni viaggio che si spinga a solcare gli spazi immensi dell’universo. E non si tratta qui solo di luoghi geografici, perché ancora più audaci sono i viaggi della conoscenza, verso i luoghi misteriosi dell’infinitamente piccolo (o infinitamente grande dipende), dagli atomi della genetica, rovesciando pregiudizi, superstizioni, luoghi comuni.»

E quelli dentro la natura umana del cervello in cui si identificano le ragioni per cui ‘siamo ciò che siamo’. Ma chi dunque siamo? Sempre più difficile rispondere a questa domanda che s’inerpica ‘fuori controllo’ sulla collina prima di svelarci il mistero/musicale dell’infinito leopardiano: «In ogni sua poesia echeggia una musica inesprimibile con le parole, quella facoltà misteriosa che gli consente di far nascere sotto i nostri occhi qualcosa che non conoscevamo,la luce della luna.» (“Leopardi” di Pietro Citati – Mondadori 2010). Se è vero che l’età adulta è un’invenzione (e neanche tanto bella) a chi attribuirne la colpa? Andrea Vitali, nella quiete apparente dei suoi gradevolissimi romanzi: “Di impossibile non c’è niente” e “Un bel romanzo d’amore” (entrambi editi da la Feltrinelli 2014) lascia intravedere un ‘mondo di straordinaria normalità’ che spesso sorprende e diverte pur rammentandoci che siamo qui solo di passaggio e che, forse, contiamo solo per quello che siamo. «Le cose normali sono belle, e bello è sapere che dopo l’estate viene l’autunno, dopo la domenica viene il lunedì, che si nasce, si cresce e si va a scuola. Ma la troppa normalità e l’abitudine rischiano di avvolgere il mondo nell’indifferenza – una nebbia dove più nessuno si accorge della meravigliosa diversità che palpita attorno a noi: colori, sapori, profumi, emozioni.»

Tanto basta per apprezzare il suo nuovo romanzo ‘per ragazzi’ (ma non tanto) “Nel mio paese è successo un fatto strano”, (Salani Editore 2016), il divertimento unito al piacere della sua scrittura è quantomeno assicurato. Daniele Piccini, giornalista, (in ‘Metamorfosi’ - La lettura - Corriere della Sera 2015), nella recensione di “Della mutabilità”, un libro di poesie della Jo Shapcott (Del Vecchio Editore 2015), rassicura che «..La parola per un poeta è stratificazione: facendo i conti non solo con i propri fantasmi ma con l’opera complessiva dei predecessori, il poeta lavora (espressione orrenda) su un linguaggio che si trasforma. Ognuno degli anelli della tradizione può riattivarsi, ma cambiando senso (..) come trama da ritessere continuamente, come testo da riscrivere. Si tratta di calarsi dentro la lingua come un organismo e di entrare così dentro la stessa macchina naturale».

Ora non che sia tutto proprio chiarissimo però, (c’è sempre un però come c’è sempre un perché), egli dice: «È come tentare una biologia in versi, la captazione della vita dell’altro, ad esempio dell’albero; (dell’albero?). Sì, la poetessa inglese dev’esserci riuscita proprio al meglio se in seguito il giornalista Piccini nel suo articolo ‘C’è qualcuno che vuole uscire dal tronco’ riporta il brano che lo dimostrerebbe: “È del tutto naturale pensare che l’ulivo / parli, che siano bocche / che cantano, urlano, perfino nei suoi squarci / e non puoi non vedere una figura / avvinta al tronco o che lotta per uscirne”. Così la parola partecipa di un processo: si inabissa nella mutevolezza, nell’instabilità del mondo, seguendo una percezione non-linguistica (snti-language), che poi si converte in suono, in coscienza. Si tratta di arrivare alla “lingua più luminosa di ogni probabilità, / più luminosa di ogni probabilità, / più luminosa di erica, bacche e pietrisco”. A questo scopo la stratificazione della memoria poetica è continuamente sollecitata, così come valgono i suggerimenti di altri linguaggi: occorre attraversare confini, margini di territori e di lingua per imparare che “si potrebbe semplicemente lasciare entrare l’altro o setacciare ogni detrito sospinto a riva”.»

Vero, ma si può anche non essere d’accordo, la poesia richiede impegno (e che impegno se le altre suonano tutte su queste stesse note!). Il giorno di Pasqua viene tradizionalmente celebrato con un pranzo in famiglia ed è un'opportunità per far visita ai parenti e agli amici vicini e lontani, portando loro dei doni. Sempre secondo la tradizione, inoltre, ai bambini vengono regalate uova pasquali di cioccolata e la ‘figolla maltese’ (un impasto ripieno di mandorle e ricoperto di glassa); in Sardegna i ‘sospiri di Ozieri’ della tradizione sarda; le ‘ossa dei morti’ in Calabria e i ‘pani con la croce sopra’ tipici di molte regioni italiane; ‘corone di fascine’, ‘palme intrecciate’ ed altre bellezze floreali facenti parte di recrudescenze arcaico cristiane di cui, volenti o nolenti, ce ne facciamo carico.

Come dire che, nel bene e nel male, in qualche modo (che non saprei dire quale), dobbiamo fare i conti con il divino e quel che ne consegue. Genio del teatro e della letteratura per la quale ha ricevuto il premio Nobel, Dario Fo pur essendo da sempre un ateo militante, neppure lui sa quanto invece con le sue opere offre uno spazio al ‘riscatto del sacro’ (se mai questo ne avesse bisogno), dell’immenso patrimonio proprio della manifestazione popolare. Con in suo ultimo libro “Dario e Dio” (Guanda 2016), scritto in collaborazione con la giornalista del Corriere della Sera Giuseppina Manin, ove: «..traendo spunto per personalissime riletture dei Vangeli e della Bibbia, spesso ironiche e provocatorie, mai blasfeme o irrispettose», decide di tirare le somme di quel suo lungo percorso storico-religioso col quale, a suo modo, da sempre redarguisce il genere umano tutto, credenti e non, regalandoci ogni volta un pizzico del ‘sublime’ della sua arte.

Ma se ‘Cercare l'uovo di Colombo’ può voler dire di dover cercare una soluzione insospettatamente semplice a un problema apparentemente impossibile, quello della ricerca della felicità può non essere sempre un’urgenza ma, indubbiamente, per ognuno di noi è comunque una priorità da non sottovalutare. Mai come in questo caso, visto che si parla di libri, così come di scrittori e di poeti, possiamo anche chiederci, dove cercarla? Soprattutto, dove trovarla?

Necessito qui di dover tornare indietro nel tempo e suggerirvi una prima lettura (o una rilettura) del romanzo di Giorgio Montefoschi “Il sereto dell’estrema felicità” (Rizzoli 2010), che ci regala la storia di un’attrazione profonda e indissolubile: «Del resto cos’altro potrei fare? Me lo domando. Non lo so. Abito in una casa a metà strada fra la chiesa e il porto. Ho due stanze, in una dorma e nell’altra scrivo. Fingendo che neppure il tempo esista, la costa. Niente.»

Ma come si dice ‘..la mente torna’, o forse ritorna, a un altro libro/saggio, questa volta scritto da una donna: Naomi Wolf dal titolo “Il mito della bellezza” (Mondadori 1991); un’escursus un poco provocatorio e appassionato che affronta il mito della bellezza nei suoi aspetti più folgoranti: la cultura, la religione, il sesso, la fame, la violenza, che nessuna donna ‘oggi’ dovrebbe ignorare. L’aneddoto dell’uovo entrato di fatto nella tradizione popolare è diffuso come modo di dire in diverse lingue ma (guarda caso) non si avvale della ricerca dell’amore, perché? Che cercare, dare, offrire l’amore non sarebbe forse la soluzione insospettatamente più semplice a un problema apparentemente impossibile? Certo che lo è! Cosa che senz’altro riguarda quella passione che sempre ci avvolge quando siamo innamorati.

Ma che cos’è la passione? La risposta è contenuta nel romanzo ‘primo’ di Christel Noir “La libreria dei sogni che si avverano” (Corbaccio 2016), e se per caso credete negli angeli, questo libro afferma che esistono davvero, che sono qui tra noi, nelle migliaia di pagine che può contenere una fantastica libreria in cui la felicità, come l’amore, prima o poi arriva «..basta aprire la porta dei sogni, quelli che ci portiamo dentro e che a volte dimentichiamo, per riuscire a riprendersi la rassicurante, calda, intensa libertà dell’anima».

Alla bellezza di questo romanzo mi viene esplicito citarne un altro, si tratta di “Una storia quasi perfetta” della vicentina Mariapia Veladiano (Guanda 2016), una storia d’amore e seduzione segnata dall’originalità e da una scrittura di incisiva eleganza: «Un amore così perfetto, o è solo la storia eterna della vittima e del seduttore?», e già siamo tutti pronti a dire come va a finire quando si entra nel gioco della seduzione, ma, come avverte l’autrice, non sempre le storie sono già scritte dall’inizio, e che da la sensazione di un invito e una sfida per il lettore attento.

Non manca chi a Pasqua, approfittando della convulsa situazione mondiale, vuole guastarsi e guastarci la ‘festa’ facendo del catastrofismo d’uso e all’occorrenza (o forse a ragione) chiama alla responsabilità di quanto, economicamente parlando, incida sul nostro futuro lo spreco alimentare, richiamando l’attenzione a un uso morigerato dello ‘scialacquare’: (una parola questa che in qualche modo si addice a questo periodo più del natale, chissà perché, sarà mica per via dell’acqua santa (?); o ancor meglio per il Vin Santo dove intingere taralli e cantuccini?). O forse, per via del revival delle ‘cucine’ della tradizione che un po’ ovunque per questa occasione vengono riaperte ai sapori nostrani, ai cibi naturali, alle leccornie del cioccolato, delle torte, delle serenate e i balli campestri durante le gite di Pasquetta?

Già, ma pochi ricordano cos’erano le ‘scampagnate’, le trattorie affollate, le code ai caselli autostradali per correre ‘via dalla pazza folla’ (dal titolo di un vecchio film), in cerca di tranquillità, ma che al dunque più spesso significava una full-immersion nel caotico ‘mondo di cuccagna’. All’occorrenza ‘prima di divorarci il pianeta’ – avvisa lo slogan della Barilla Center for Food & Nutricion, in occasione della pubblicazione del libro “Eating Planet: cibo e sostenibilità, costruire il nostro futuro” (Edizioni Ambiente 2016), nell’intento di renderci consapevoli dell’ipersfruttamento delle risorse naturali, sull’impossibilità di affrontare la fame nel mondo quando saremo oltre nove miliardi di persone. Un libro "Eating Planet" che si propone di fonire risposte alle domande che riguardano un futuro che rischia di non esserci: «Saperne di più è il tuo primo contributo per costruire un mondo più sostenibile.»

Sempre meglio che romperci il capo pensando alla prossima ‘fine del mondo’ di cui sembra discutano i nostri cugini francesi che hanno fatto di “2084. La fine del mondo” di Boualem Sansal (Neri Pozza 2015) un caso editoriale da Grand Prix du roman de l’Académie française. Non vi pare? Ma torniamo all’uovo. Se vi chiedessero se è nato prima l’uovo o la gallina (?), cosa rispondereste? Sinceramente non saprei rispondere e visto che siamo in molti (più di quanti possiamo immaginare), dico che neppure il filosofo è in grado di rispondere, se non limitandosi a un silenzio artato, pieno di chiacchiere, per quell’eccesso di parole (dove anch’io da sempre mi barcameno) che ha trasformato il nostro paesaggio percettivo e culturale, diventando sempre più ‘quelli del non ascolto’, ‘quelli che redono di suonare e che invece fanno solo rumore’, come se il divino avesse bisogno dei nostri gesti.

Al contrario la ‘vera’ musica invita al silenzio, come per un ritorno all’ancestrale in cui la melodia delle sfere si connette con lo spirito umano, per cui nessun elemento è concepibile senza la rivelazione di qualcosa di ‘divino’. Lo ha ben compreso Mario Brunello, violoncellista di fama mondiale che nel suo libro “Silenzio” (Il Mulino 2014) e ancor più nel progetto / spettacolo “Bach: Streetview. L’arte della fuga BWV 1080”, (Ottobre 2009 al Palladium di Roma) con le elaborazioni elettroniche di Teho Teardo, con il quale si è voluto risaltare, come in un ingrandimento stradale di un centro abitato, le forme della polivocalità anche strumentale, che rendono sublime e perfetto l’equilibrio ‘architettonico’ e musicale di tutto il creato.

Ciò detto “Silenzio” di Mario Brunello (vedi recensione in larecherche.it) rimane un ‘gioiello’ di libro per i suoi contenuti ‘altisonanti’, passatemi l’aggettivo, poiché si tratta di un libro sulla musica o meglio, sulla poesia della musica che s’annida negli spazi che dividono le parole, di riga in riga a formare un unico pentagramma ricco di notazioni d’autore. Di più, a dare forma a un unico spartito sinfonico, dove incontriamo Bach, Beethoven, Mozart, Schubert, Schoenberg, Hindemit, Cage, Kancheli. Un excursus che dal passato (relativo) giunge fino alla musica contemporanea (relativa all’oggi che sarà il nostro domani). Come pure si rivela assertore di una possibilità d’incontro che - egli dice - “abbraccia confini amplissimi” in cui loscambio inter-musicale con le altre arti e fra le diverse tradizioni è fonte di “speranza di incontro con l’altro”, afflato, abbraccio “solitudine in un silenzio condiviso”, perché in musica (che chiede d’essere ascoltata), come in poesia (che chiede di essere declamata), non serve urlare perché ‘chi vuole sentire’ l’ascolterà lo stesso’ in cima a un batticuore.

Così come accade per San Francesco de 'la predica agli uccelli', e a Papa Francesco per l’invito ad ascoltare gli altri per i quali: ‘ciò che luce e ombra sono per l’universo, il silenzio e la parola sono per l’uomo’: «Da musicista – aggiunge Mario Brunello violoncellista di talento – ho scoperto il silenzio in un momento ben preciso della mia vita, quando (..) con la complicità del silenzio trovai spazi e modi diversi di attaccare e concludere il discorso musicale. (..) E le pause, le pause che avevo inteso come semplici momenti per riprendere fiato, divennero in quel silenzio i punti cardine dai quali partire con le nuove idee. (..) Scoprii il potere del silenzio. Se il luogo è puro spazio, il silenzio si fa ascoltare, ci accompagna e non ci lascia soli. (..) Dobbiamo solo re-imparare ad ascoltare (noi stessi), immersi nei rumori di fondo (degli altri, della strada). Un rumore, quando è isolato nel silenzio, è un evento che in genere crea interesse e sveglia la curiosità. (..) Ogni rumore ha la sua ragione di esistere e molte volte, attraverso il rumore, anche le cose si esprimono. (..) Quando pronuncio la parola silenzio lo distruggo. Del resto ogni nostra aspettativa è immersa nel ‘silenzio’, vedi l’attesa, la spiritualità, l’intimità della preghiera, l’incredulità o la fede, l’afflato dell’arte, la riflessione filosofica, l’ozio dei sensi ecc.»

Noi potremmo anche non essere d’accordo ma è così che accade, e non possiamo esimerci dal considerare che allora anche la musica potrebbe essere rumore, per cui, volendo qui lasciare un’iltima parola a Saint-Exupery, apprendiamo che: «Lo spazio dello spirito, là dove esso può aprire le sue ali, è il silenzio.» Ed ecco che sulla scia della musica pian piano ci siamo riavvicinati al fervore del ‘canto corale’ che occupa gran parte dei riti processionali della Pasqua, per lo più legati agli ‘offici’ e ai ‘misteri’ che ne regolano il secolare svolgimento. Apprendiamo così dell’esistenza di ‘Salmi Gregoriani per la Settimana Santa’, le ‘Sacre Rappresentazioni’ e gli ‘Oratori’; di ‘Litanie’ e ‘Lamentazioni’, nonché di molteplici ‘Officiorum Tenebrae’, ‘Stabat Mater’, ‘Miserere’ e ‘Requiem’ entrati a far parte dell’ordinario della ‘Messa’ nel tempo pasquale, dacché la Chiesa ha definitivamente elevato la ‘musica sacra’ a quella grandezza sublime che essa occupa nella storia religiosa di tutti i tempi.

Il discorso sarebbe lungo ma dato che da qualche pare bisogna pur incominciare, inizio con “Le grand Mystère de la Passion”, in chiusura del celebre manoscritto dei “Carmina Burana”, trascritto in latino frammisto a versi dialettali germanici, dai Benedettini del XIII secolo e oggi conservato a Monaco; e che va annoverato come l’opera più completa di ‘sacra rappresentazione’ giunta fino a noi. Una escalation musicale-corale che dal canto liturgico cristiano dei ‘salmi’ dei primi secoli, che successivamente si ravvisa nelle ‘laudi’ medievali, e solo più tardi ingloba in sé ‘florilegi’ e ‘recercari’; nonché ‘corali’ rinascimentali e ‘concerti’ in forma strumentale; ‘polivocalità’ e ‘melodramma’ settecentesco; fino a giungere a quel capolavoro che ‘s'apre e si conclude’ la ‘Messa da Requiem’.

Numerosi sono i musicisti che si sono susseguiti nella sua composizione: da Orlando di Lasso (1532-1594) ad André Campra (1660-1744); da Georg F. Handel (1685-1759), a Wolfgang A. Mozart (1756-1791); da Luigi Cherubini (1760-1842), a Giuseppe Verdi (1813-1901); da Johannes Brahms (1833-1897), a Gabriel Fauré (1845-1924). Sebbene, pur per il solo piacere della lista (che tanto piaceva a U. Eco), non vanno qui dimenticati Henry Purcell (1658-1695) autore di un “Te Deum” di grande bellezza; Hector Berlioz (1803-1869) il cui “Te Deum” segna forse il punto più elevato della musica sacra dei tempi moderni. Da non trascurare gli italiani Pier Luigi da Palestrina (1525-1594), Alessandro Scarlatti ( 1660-1725) e Giovanni B. Pergolesi (1710-1736) autori di memorabili “Stabat Mater”, fino al sommo Giocchino Rossini (1792-1868) che lo ha tradotto in chiave operistica per orchestra, solisti e coro.

Per quanto sia apprezzabile anche lo “Stabat Mater” di Peter Cornelius (1824-1874) che solitamente si chiude con un “Requiem” per ‘coro a cappella’ a sei voci, di grande impatto emotivo. “Missa in tempore paschali” dedicata alla ‘Messa’ così detta è la delicata opera dell’inglese William Byrd (1543-1623); le “Lamentazioni e responsori per la Settimana Santa” di Lodovico da Viadana (1560-1627) segnano invece un momento di vera contrizione litanica. Assume particolare importanza la forma narrativa con musica l’ “Oratorio per la Settimana Santa” di Luigi Rossi (1598-1653); ma è il “Miserere” ripreso dal ‘salmo 50’ da Gregorio Allegri (1582-1652) che, intonato dal coro di ‘voci bianche’ solitamente apriva l’ufficio sacro nella Cappella Sistina in Vaticano del Giovedì Santo, ad esprimere ‘quali un ritorno al silenzio’ la raggiunta perfezione polifonica dal punto di vista teologico.

Una parentesi musicale che sento il dovere di aprire, riguarda l’opera complessiva di Arvo Pärt, il compositore estone di musica contemporanea, almeno quella riferita alla ‘musica sacra’ di cui è oggi l’autore più accreditato e amato dal grande pubblico. Un certo numero di titoli: “Passio”, “Litany”, “Lamentate”, “Miserere”, “te Deum”, e altri brani dedicati alla tematica sacra che lo vedono impegnato nella composizione e nella stesura strumentale di forme dichiaratamente innovative, vicine al minimalismo più che al classicismo cui sarebbe stato facile per lui rifarsi. Attento alle innovazioni culturali e alle nuove tecnologie che gli permettono di captare i suoni puri e quindi di utilizzare tecniche come la ‘dodecafonia’ e il ‘collage’, di cui è un riconosciuto massimo esponente assieme ad autori come Henryk Górecki e John Tavener, e che ne fanno un compositore apprezzato per la trasparenza emotiva che trasmette.

La sua ultima composizione è la “Sinfonia n°4 - Los Angeles", commissionata dalla Los Angeles Philharmonic Orchestra e dedicata al magnate russo Michail Chodorkovskij. Nel 2011 è stato insignito del dottorato honoris causa in musica sacra dal Pontificio Istituto di Musica Sacra, insieme a Luigi Ferdinando Tagliavini e Diego Fasolis. Ha ottenuto il premio di "Composer of the Year" ai Classic Brit Awards (tenutesi alla Royal Albert Hall di Londra 2011). Il 10 dicembre dello stesso anno, Benedetto XVI lo ha nominato membro del Pontificio Consiglio della Cultura. Le opere sopra citate sono tutte su etichetta ECM.

"Ex Deo nascimur In Christo morimur Per Spiritum Sanctum reviviscimus": nulla di più vero del contenuto di questa formula trinitaria inserita nel bellissimo album “Morimur” (ECM 2001) che The Hilliard Ensembre ha realizzato con il supporto di Christoph Poppen, virtuoso del violino barocco, nella ‘Partita d-Moll BWV 1004’ per violino solo e Chorale di Johann Sebastian Bach (1685-1750), con il quale chiudo questo primo elenco di 'musica' rintracciabile sul web e nei migliori negozi di dischi.

 

Ma Pasqua significa anche l’arrivo della bella stagione, il risveglio della natura a primavera, l’invito ad uscire di casa e andare incontro agli altri che, come noi, gioiscono della festa e si lasciano avvolgere e coinvolgere da quei sentimenti belli che stanno alla base di questo nostro vivere. Se, come sempre diceva Vinicio de Morales: “la vita amico è l’arte dell’incontro”, allora andiamo a incontrare gli altri, quei noi stessi nella felicità che c’incombe e mettiamo fine alle guerre che dilaniano la nostra esistenza. Qualcuno ha detto che “la felicità nella vita sta nell’incontrarsi per caso e scegliersi per il reciproco piacere”.

 

Ora mi/vi chiedo: cos’altro ci resta se non di rallegrarci in questo ‘tempo sospeso’ della festa, in cui ci è dato con Cristo di ‘risorgere’ alla vita?

 

(continua)


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