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Da: "Storia Linguistica dell’Italia Unita"

Argomento: Storia

Articolo di Tullio De Mauro 

Proposta di Lorena Turri »

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Pubblicato il 15/03/2011 13:54:55

PROBLEMI LINGUISTICI DELLA POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA  


Certamente non è illegittimo né inutile esaminare i problemi della parole poetica in una prospettiva diacronica e individuarne i termini sul piano del mutare dei gusti. Si può infatti constatare facilmente come il senso del rapporto di opposizione e continuità col passato sia alla radice di più di una esperienza lirica moderna: basti qui ricordare il caso di Palazzeschi, che “ traeva futurismo dal passato più deprecabile” (…) o si possono rammentare il piglio polemico di Montale verso il linguaggio “dei poeti laureati” o la risposta della “voce antica” in Pavese. Vi è, insomma, ampio spazio a una considerazione diacronica. E se questa si integra con il rapportare le scelte prosodiche, lessicali, sintattiche al sopravvenire di nuovi ideali e nuove poetiche, si guadagna la possibilità di cogliere analogie tra le vicende del linguaggio poetico italiano e tendenze e fenomeni più generalmente europei. (…) si tratta di analogie ricercate e sperimentate nel vivo. (…)Tuttavia, caratterizzare diacronicamente la parole poetica e studiarne il configurarsi come prodotto del sopravvenire di nuove poetiche non dà conto di una terza dimensione rispetto a cui essa va vista: la dimensione sincronica dei suoi rapporti con la langue.(…)

Ma l’analisi dei rapporti sincronici tra parole poetica e langue collettiva non risponde solo ad un bisogno teorico.(…) si tratta anche di cogliere la situazione storica.

(…)sin dai primi del Novecento la lirica italiana ha tenuto d’occhio la lingua viva.(…) E’ dichiarato da maggiori e minori: da Arturo Graf che afferma: “canone d’arte: essere semplice e schietto”; da Piero Jahier che, poeta, dichiara di  “aver scelto di essere un uomo comune”; da Sbarbaro, che rifugge la “andatura cantante” e significativamente aggiunge: “ Anche della mia lingua ho una conoscenza approssimativa; tante parole le evito, malsicuro del loro significato; e se non le cerco nei vocabolari, non è solo che dei vocabolari diffido, ma che una parola non assimilata in tanti anni, non diventata carne e sangue, mi saprebbe d’accatto”. E ancora si possono ricordare l’amore per “le parole trite” di Saba o I Limoni di Montale ( Ascoltami, i poeti laureati/ si muovono soltanto fra le piante/ dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti./ Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/ fossi…) (…); e, ancora, il senso, espresso da Quasimodo, che essenziale per il linguaggio poetico sia l’aderire “ alle lotte con la propria tradizione fondamentale, alle costruzioni e modulazioni della propria lingua”(…).

 

(…)Le liriche del Novecento italiano fino a Pavese sono costruite(…) con gli elementi lessicali e le strutture dell’italiano corrente. Tuttavia questo le caratterizza solo diacronicamente rispetto al gusto preziosistico, al gusto per la glossa e l’hapax, ancora presenti, non diciamo in Carducci e D’Annunzio, ma perfino nei Canti di Castelvecchio. Una ulteriore caratterizzazione è possibile dal punto di vista sincronico ricorrendo ai mezzi di analisi linguistica quantitativa. Grazie a questi, possiamo renderci conto come, specialmente in Pavese, nell’adozione complessiva del vocabolario comune siano particolarmente privilegiati gli elementi lessicali di più alta frequenza. Le prole in media più frequenti nella prosa comune italiana sono cioè presenti in percentuale nettamente superiore alla media nel linguaggio della poesia. I poeti maggiori del Novecento parlano più di tutti il linguaggio di tutti. Nei momenti migliori, la ricerca linguistica (…) porta a un tessuto linguistico trasparente(…) è indubbio che questa trasparenza è, nella tradizione italiana, fatto nuovo e rivoluzionario. Ma la rivoluzione è compiuta con i mezzi più antichi della lingua, quali sono le parole di più alta frequenza, quelle “parole trite”, “diventate carne e sangue”.(…) Dopo Pavese, in questa direzione, pare effettivamente impossibile procedere oltre(…) O si impone di necessità la ricerca di nuove strade. Concludendo nel 1959 l’introduzione alla sua Poesia italiana contemporanea, Spagnoletti scriveva: “ Si avvicina per i poeti un tempo insidioso, in cui le cose da dire saranno, per logica inesorabile, in diretta funzione del modo che il progresso metterà loro a disposizione per dirle: non un modo regolabile come per il passato…”(…).

“Accade in questi anni – e vogliamo mettere come data d’inizio del movimento il 1956? – accade in questi anni nel nostro paese qualche cosa di naturale, di prevedibile, di necessario: nasce probabilmente una nuova generazione letteraria; ma anche accade, nello stesso tempo, qualche cosa di altrettanto naturale, prevedibile, anche se certamente meno necessario: essa fatica ad essere intesa e la società letteraria fa fatica ad accettarla (…)”

Da un punto di vista quantitativo, i fattori che agiscono nella situazione linguistica tra il 1951 e il 1965 non sono nuovi. Ritroviamo cioè tutti gli stessi fattori anteriormente operanti: industrializzazione, urbanizzazione, migrazioni interne, espansione dell’istruzione elementare e dell’alfabetismo, diffusione crescente della stampa, della lettura, dei mass media. Di qualitativamente nuovo si registra soltanto l’estensione di moti migratori a zone agricole investite dalla riforma agraria e l’apparizione, tra i mass media, della televisione.

Un bilancio, dunque, apparentemente modesto. Ma se consideriamo più da presso gli indici quantitativi di ciascun fenomeno, la novità sovvertitrice della situazione balza agli occhi.(…)Particolarmente interessante può essere quello della popolazione agricola (…) più legata alle tradizioni “dialettali”. (…)Piuttosto che di “progresso” dobbiamo dunque parlare di “ esplosione” dell’industrializzazione. E all’anteriore erosione delle basi sociologiche dei dialetti fa seguito il loro crollo, se non addirittura la disintegrazione. Consideriamo un altro indice significativo: quello della istruzione postelementare**.(…) Ancora una volta registriamo qualche cosa di più di un semplice incremento: registriamo una esplosione. E una esplosione si registra nel settore dei mass media che, grazie alla televisione, passano dal progressivo mero crescere  delle percentuali di ricettori all’incidenza sulla quasi completa totalità della popolazione in ogni classe di reddito e in ogni regione. Le conseguenze linguistiche sono molteplici. 
 

[* Dal 1911 al 1951 gli addetti all’agricoltura erano passati dal 55,5% al 42,6% e ne giro di 10 anni dal 42,6% al 13,3%.

** Dal 1931 al 1951 la popolazione in età scolastica postelementare passa dal 15% al 18,1% e nel giro di soli otto anni dal 18,1% al 30,7%.]

 

Se guardiamo al rapporto tra uso della lingua e uso del dialetto possiamo affermare, a priori, ma con sufficienti ragioni che, tranne zone grigie, opache, impermeabili, rappresentate dalle generazioni più anziane fuori della città, l’italiano è un idioma ormai alla portata di tutti. Questo produce effetti sia sui dialetti sia sulla stessa lingua comune.

I dialetti sono ormai intrisi di dialettismi lessicali, sintattici, morfologici. Il romanesco, ad esempio, legato ad una città che ha avuto funzione di guida e modello nella più recente evoluzione linguistica italiana, è ormai una patina fonetica, poco più di una variante di realizzazione dell’italiano comune. Ciò è indicativo di un’altra tendenza generale. Il processo di rapido accostamento alla lingua comune ha ridotto la distanza che separa dialetto e lingua comune; questo fatto congiunto all’espansione rapida del numero dei parlanti italiano anche nei ceti più tradizionalmente parlanti il dialetto, fa sì che sempre più frequentemente e facilmente a livello del parlato in frasi strutturalmente italiane si inseriscano lessemi e sintagmi di origine dialettale. Una corrente di innovazioni scuote la lingua parlata in tutto il paese: il fenomeno non sovverte radicalmente l’organizzazione complessiva del sistema, tuttavia il rinnovamento è certo di una intensità senza precedenti nella storia linguistica del paese. L’onda rinnovatrice non sale soltanto dai dialetti. Industrializzazione significa internazionalizzazione. (…) L’onda rinnovatrice proviene dunque anche dal contatto, sempre più esteso e continuo, con le altre maggiori tradizioni linguistiche europee. Mass media e ristrutturazione demografico-sociologica provvedono a portare le innovazioni di ogni origine alla portata di tutti gli strati di parlanti.

Nella direzione degli utenti della lingua comune la nuova situazione opera rafforzando, il senso di sicurezza linguistica. L’esattezza di una dizione, d’un uso, la validità d’una interpretazione o di una estensione di significato, possono essere controllate attraverso molteplici scambi e verifiche a livello dell’uso vivo, effettivo. L’insicurezza linguistica del giovane Manzoni, privo di lingua viva e vera, o l’insicurezza sinceramente espressa ancora da Sbarbaro verso le parole e i costrutti più rari, è oggi solo un ricordo, e non solo per uno strato esiguo di scrittori ma per ampi ceti.

La nuova poesia postpavesiana è in sintonia con la nuova realtà della lingua e delle condizioni d’uso della lingua. Noi possiamo riassumere e schematizzare le vicende del linguaggio poetico italiano da Pascoli a Pavese dicendo che attraverso esse il linguaggio poetico ha preso possesso delle sezioni più correntemente usate, quindi più familiari, del sistema linguistico. Nella nuova situazione linguistica (…) il nuovo linguaggio poetico pare sorgere dalla volontà di fruire da tutto il patrimonio linguistico oggi a disposizione dei parlanti(…) Una totale apertura linguistica caratterizza il nuovo linguaggio poetico.

Ciò può avere conferme molteplici. Così scrive il Giuliani nella prefazione a “I Novissimi. Poesie per gli anni 60” Milano 1961, pp.XVII-XVIII:” Neppure condividiamo la nevrotica, indiscriminante paura di taluni per la lingua comune contemporanea. Ci sono forme di questo meccanico esperanto dell’immaginazione che, a dispetto della manipolazione di classe cui sono soggette, non si possono considerare in se stesse negative o positive, ma unicamente fattuali: fanno parte del materiale…che l’epoca offre allo scrittore”(…)

Sul piano delle realizzazioni, la messa in opera di ogni sorta di materiale linguistico disponibile, è facilmente disponibile, è facilmente constatabile.(…)

L’utilizzazione di elementi lessicali e intere strutture pertinenti a varie zone del lessico e del patrimonio linguistico comune e colto può esemplificarsi altrettanto bene con Sanguineti.(…)

Un secondo carattere linguistico comune a buona parte della poesia dell’avanguardia italiana è la sua aderenza a forme immediate, endofasiche. Domina cioè “l’idea di una poesia…meno rifinita, meno levigata, non smalto né cammeo. Un poesia più vicina all’articolarsi dell’emozione e del pensiero in linguaggio, espressione confusa e ribollente ancora, che porta su di sé i segni del distacco dallo stato mentale, dalla fusione nn completamente avvenuta dallo stato verbale. Le strutture, ancora barcollanti, prolificano imprevedibilmente in direzioni inaspettate, lontano dall’impulso iniziale, in una autentica avventura”. Di qui, il forte asintattismo e l’impressione di anarchia, di cui si va apertamente in cerca: “Un atteggiamento fondamentale del fare poesia diviene dunque lo stuzzicare le parole, il tendere loro un agguato mentre si allacciano in periodi, l’imporre violenza alle strutture del linguaggio, lo spingere a limiti di rottura tutte le sue proprietà. Si tratta di un atteggiamento volto a solleticare queste proprietà, le cariche intrinseche ed estrinseche del linguaggio, e a provocare quei nodi e quegli incontri inediti e sconcertanti che possono fare della poesia una vera frusta per il cervello del lettore…”(N.Balestrini, I Novissimi, cit.,pp.163-64)(…)

Risultanze estreme in tale direzione possono vedersi (…) nell’elaborato collettano:

... che:

1. la poesia deve essere così
2. la poesia deve servire così
3. ex-altare l'uomo
4. de-nigrare la bestia
5. cantare (lae tare) la civiltà
6. s-comunicare il demonio macchina 


Non è chiaro se questo catalogo esprime ciò che gli elaboratori vogliono o non vogliono dalla poesia. Chiaro è che pastiches del genere non hanno alcun preciso senso(…), né sono storicamente nuovi, ma riecheggiano alla lontana non soltanto fenomeni europei del passato, ma anche fenomeni italiani, provinciali, come la “spazzatura” di Palazzeschi, gli “zanghete zanghete”, i “voglio fottere il cielo” degli Accademici d’Italia e di futuristi.(…)

 

“Come facciamo perché tutto sia fresco e nuovo e, avendo senso sia anche piacevole? Solo il poeta realizza su gente così disparata questo miracolo…”

 

Le parole del “Prologo in tetro” del Faust individuano bene il problema centrale della poesia italiana dopo Pavese, una poesia che per la prima volta nella storia della sua tradizione linguistica sa come potersi rivolgere a tutti con una lingua che tutti intendono, e può correre quindi la sua avventura ai limiti estremi delle possibilità di utilizzazione del comune patrimonio linguistico.

 

 

 


(Estratto da “Storia Linguistica dell’Italia Unita” di Tullio De Mauro - Ed. Laterza)

 

 

 



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