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Quaderni di Etnomus. 5: Cambogia, Laos, Viet Nam

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 27/08/2011 19:23:09

QUADERNI DI ETNOMUSICOLOGIA 5 (seconda parte)
CAMBOGIA, LAOS, VIET NAM: “Splendori di una tradizione secolare”, di Giorgio Mancinelli.

(Ricerca etnomusicologica per “Folkoncerto”, trasmissione radiofonica in onda su RAI-Radio3, e “Itinerari Folkloristici”; Reportage trasmesso dalla RSI – Radio della Svizzera Italiana, apparso inoltre in forma di articoli sulle riviste: Super Sound, Nuova Scienza, Musica e Dischi).

Al dolce suono del chapey, un liuto a due corde che accompagna il canto delle donne al mercato dei fiori, proseguiamo il nostro viaggio nella musica dell’Estremo Oriente e giungiamo in Cambogia, parte del “triangolo d’oro” che, con Laos e Thailandia, forma il sub continente asiatico dell’Indocina che si affaccia sul Golfo del Siam. Il Regno di Cambogia (in lingua khmer: Preăh Réachéanachâkr Kâmpŭchea) con capitale Phnom Penh, è oggi una monarchia costituzionale, la cui lingua ufficiale è il khmer. La religione ufficiale è il Buddhismo e la maggior parte della popolazione ne pratica la dottrina Theravada. Già nell'VIII secolo, le dispute tra fazioni interne alla corte portarono alla scissione del regno in Alto e Basso Chēn-la. L’ascesa al trono di Jayavarman II, in seguito consacrato "sovrano universale", segnò la fine della sottomissione degli khmer da parte di Java e la nascita di uno stato khmer autonomo conosciuto allora come "Angkor", cui seguì un costante periodo di stabilità.
La seconda figura di rilievo nella storia del regno è Indravarman I (il cui regno va dal 877 al 889), che fece costruire un tempio in onore degli antenati di Preah Ko e il tempio-montagna di Bakong, il primo tempio-montagna nella storia del regno, dando così inizio all’opera di ricostruzione, poi continuato da tutti i suoi successori. L'evoluzione architettonica di Angkor arriva al suo apice nel XII secolo con la costruzione di Angkor Wat da parte del re Suryavarman II, sovrano celebrato per le sue vittorie, soprattutto sul Champa, e fervente visnuita. Ma è durante il regno di Jayavarman VII , che l'impero raggiunge l'apice politico, controllando la maggior parte dell'area del Sud-Est asiatico: parte dell'odierno Vietnam, Laos, Thailandia, Myanmar e penisola malese, inoltre il regno riceveva tributi da piccoli regni del Nord, dell'Est e dell'Ovest.
Successivamente i Thai, per ben tre volte conquistarono e distrussero Angkor (nel 1335, nel 1353 e nel 1431), che vedrà il centro politico spostarsi più a Sud, negli antichi territori dove originariamente si trovava il regno di Chēn-la. In seguito alla caduta del prospero Impero Khmer, i cui antichi splendori sono rintracciabili negli antichi templi e palazzi di Angkor, l’antica capitale del regno. Dacché la Cambogia subì per secoli l'influenza politico-militare dei paesi limitrofi, e attraversò un periodo di instabilità e guerre con il coinvolgimento nel conflitto vietnamita e il regime di terrore degli khmer Rossi e infine l'invasione vietnamita. Inutile dire che la cultura in Cambogia ha risentito di tali avvenimenti storici (era culturale di Angkor, colonizzazione francese, dominio degli khmer rossi, globalizzazione) e, ovviamente,
dell’influenza dalla religione: Buddhismo Theravada e Induismo, provenienti dall'India, oggetto di scambio con le vicine etnie del Laos e Thailandia per molti secoli. Mentre il linguaggio della corte è il sanscrito, il popolo per lo più parla khmer, entrato nella tradizione dell'etnia principale, gli khmer appunto, ma anche delle altre popolazioni che abitano le montagne, e chiamate comunemente khmer loeu.
Le arti tradizionali in Cambogia sono ancora oggi la lavorazione dell'argento, l'arte di intagliare e lavorare il legno, la scultura della pietra e la pittura, sviluppatesi e prodotte durante l'Impero khmer nell'era del massimo splendore di Angkor. L’architettura e la scultura presentano stili simili a tutta l’Indocina, lo rivelano i templi di Angkor Wat e Angkor Thom, testimoni eminenti di quella grandezza. Ancora oggi fabbri e argentieri riproducono gli oggetti più antichi di grande pregio artistico, indubbiamente i migliori esempi di cultura khmer. Oltre alla tessitura, di cui i krama e i sampot sono elementi del vestiario tradizionale, per lo più tessuti con il cotone, capi più pregiati possono essere in seta e avere finiture in oro e argento.
Così come l'arte in genere, la musica e la danza di quel periodo sarebbero diventati i modelli per il successivo sviluppo della cultura cambogiana, ancora oggi rintracciabile nelle sue varie forme culturali, preponderanti di quella che è riconosciuta (dall’UNESCO e da altre importanti Istituzioni Internazionali) come la cultura egemone di un popolo, la cui eco è giunta fino a noi anche attraverso la sua musica, gli strumenti, il teatro, la danza. Ciò che più importa alla nostra ricerca, per conoscere quelle che sono le tradizioni musicali di questa terra, almeno nell’aspetto degli usi e costumi che sono stati tramandati nel corso dei secoli.
Assieme al Laos e alla Thailandia, la Cambogia è indubbiamente il paese musicalmente più interessante dell'Indocina; la musica cambogiana continua in molti aspetti fondamentali la tradizione iniziata durante l'Impero khmer con costante originalità, risultato di vari apporti stilistici: un sostrato indigeno, un primo superstrato indiano e un secondo cinese. Questi tre elementi hanno diverso peso tra i vari paesi dell'area e sono alla base della musica cambogiana di tipo più antico, ma non nel modo così detto “moderno” dell'espressività indiana. Infatti, con la fine dell'Impero khmer, l'India è stata esclusa dai successivi cambiamenti evolutivi della musica; anche la successiva influenza cinese ha avuto meno risultati che negli altri paesi della zona. L'elemento strutturale della musica cambogiana rimane comunque di tipo indiano-khmer, almeno quella più arcaica, e solo recentemente presenta intromissioni di origine cinese, giavanese ed ovviamente europea, con una forte presenza di musica occidentale, in particolare il jazz si è molto affermato nelle città.
Come in tutto il Sud-Est Asiatico, anche qui la musica è considerata un'offerta alle divinità e ha carattere sacro; è trasmessa per tradizione orale e segue il principio organizzativo della stratificazione polifonica, ovvero il sovrapporre a una melodia di riferimento comune variazioni improvvisate della stessa melodia da parte degli altri strumentisti. La scala musicale utilizza i 7 suoni della scala diatonale; il ritmo è sempre binario e l'accento principale cade sull'ultima pulsazione di ogni unità ritmica. Le orchestre possono essere di tre tipi: "pinpeat", "mohori" e "phleng khmer". L'orchestra pinpeat è la principale e presenta xilofoni e carillon di gong di registro grave e acuto, oboe ("sralai"), flauto ("khloi"), tamburo a due membrane ("samphor") e cimbali a mano; è usata per accompagnare cerimonie o opere teatrali e danzate. La mohori, usata soprattutto per l'intrattenimento, presenta rispetto al pinpeat l'aggiunta di cordofoni. La phleng khmer è invece l'orchestra di tipo più arcaico e tradizionale. Le composizioni si suddividono in varie sequenze ("choan") che vengono di volta in volta rielaborate e sviluppate musicalmente.
Pertanto, la musica tradizionale cambogiana del periodo, è forse da considerarsi la branca artistica che ha resistito di più agli stravolgimenti delle guerre e per questa stessa ragione sono poi state istituite alcune istituzioni per salvaguardare e valorizzare il patrimonio musicale della nazione. L’importanza di questo patrimonio culturale è rintracciabile nelle molte festività nazionali che vengono celebrate durante l’anno. A cominciare dalle due feste di capodanno, una il 1º gennaio ed è il capodanno internazionale, l'altro è il Songkran, ovvero il capodanno solare, che si festeggia il 14 15 e 16 aprile, ed è una delle maggiori feste dell'anno durante la quale gli Khmer puliscono e decorano la propria casa, fanno offerte e giocano a giochi tradizionali.
Fra le festività tradizionali principali vi sono anche molte festività tipiche del paese: Il "Bonn Dak Ben" e il "Bonn Pchoum Ben" sono due parti della stessa festività che si festeggia in agosto/settembre; la prima consiste nella commemorazione degli spiriti dei morti, l'altra, attuata 15 giorni dopo, consiste nel portare offerte ai templi. Il "Bonn Kathen" è un'altra festività religiosa, festeggiata in ottobre, lunga 29 giorni e consiste in un festival religioso e la popolazione marcia in processione verso i templi e i monaci cambiano da loro la loro vecchia roba con della nuova. Il Water Festival cambogiano, in lingua khmer chiamato "Bon Om Touk" o con altre varianti, è un'annuale e tradizionale festa cambogiana che si svolge durante la luna piena del mese di Kadeuk del calendario buddhista, si festeggia il 7, l'8 e il 9 novembre, ovvero durante la luna piena del calendario buddhista; in questa occasione si festeggia per tutto il paese con festival, esibizioni e gare navali, fuochi d'artificio e baldoria generale; nonché gli sport tradizionali come le arti marziali; tecniche tradizionali del popolo khmer sono il Bokator, da cui deriva la disciplina sportiva Pradal Serey, e il wrestling tradizionale khmer ("Bok Cham Bad" in lingua khmer). L’alimentazione è per lo più composta da riso e pesce, essendo questi gli alimenti principali della popolazione.
Va qui ricordata inoltre, la sopravvivenza della più antica forma di teatro di tutto l’Oriente, il cosiddetto: Nang sbek thom, nella tipica forma cambogiana, ovvero il “Teatro delle Ombre”, ripreso in seguito dal teatro colto, cioè con veri attori presenti sulla scena. Consistente in origine in una rappresentazione coreografica svolta all’aperto di fronte a uno schermo bianco (ricavato da un telo di cotone sottile) rischiarato dalle fiamme di un braciere, davanti al quale, venivano mossi (o anche agitati a seconda della situazione), grandi pannelli di cuoio traforati che i danzatori animavano dinanzi lo sguardo attonito dei presenti. Il chiarore del fuoco faceva sì che gli dèi e gli eroi leggendari delle storie narrate fossero solo delle ombre che la fantasia popolare rivestiva dei colori e della bellezza che ad essi si addiceva. L’effetto è ancora oggi di grande emotività e la rappresentazione restituisce alla vista ciò che (a noi) può sembrare occluso: il buio della notte, il fuoco del braciere, la musica degli strumenti, il canto, gli incensi bruciati, gli spettatori impressionati con gli sguardi belli, (nonché noi meravigliati da tanta magia), compongono il resto, il tutto trasfuso della sacralità di un rito che si svolge fuori dal tempo, fluttuante nella notte al pari delle stelle.
Prima di ogni singola rappresentazione ha luogo la “cerimonia di sacralizzazione dei cuoi”, detta Sampeah Kru, e dei danzatori che vi prendono parte, nel corso della quale, il capo-compagnia (o coreografo), recita le formule che permettono agli spiriti degli eroi di entrare nei corpi dei danzatori (che agitano i cuoi) e renderli vivi per il tempo della rappresentazione. Il canto recitativo dell’introduzione è inframmezzato dagli a-soli di un oboe e di un tamburo, invocanti lo spirito della danza: Moha Eysey, al quale si chiede l’autorizzazione di rappresentare episodi della vita del “Reamker”: il cui nome significa "Gloria di Rama", il poema epico cambogiano in strofe basato sul poema epico indiano “Rāmāyaṇa”, suddiviso in due parti, entrambe incomplete, scritte in versi e solitamente cantato.
L'intero “Reamker” fu scritto nel periodo medio della letteratura khmer (XVI-XIX secolo), ma dalla comparazione tra il linguaggio delle due parti si evince che la prima è molto più antica della seconda. La prima parte è infatti scritta in metri tradizionali quali il Bamnol, il Brahmagiti, il Kagati ed altri, mentre la seconda è scritta in un metro più recente, cioè il Pad baky pram-muoy, e in un linguaggio più prolisso. il “Reamker” è un'allegoria filosofica che esplora gli ideali di giustizia e fedeltà rappresentati dai protagonisti, ovvero il principe Rama e la regina Sita e adatta le idee hindu ai temi buddhisti, mostrando l'equilibrio tra bene e male nel mondo. Mentre nel “Rāmāyaṇa” il principe Rama è un dio che ha il compito di combattere il male sulla terra, il Rama del “Reamker” è presentato come il Buddha stesso ed il personaggio ha una seria importanza religiosa. Gli elementi sovrannaturali e divini nella storia sono costantemente portati in primo piano.
L'influenza del “Rāmāyaṇa” in Cambogia si è iniziata a sentire durante il periodo Angkoriano (IX-XIII secolo d.C.), se non prima, e continua ad essere sentita ancora oggi. Gli scultori khmer conoscevano il già dall'VIII secolo. La storia del poema rappresentata sui bassorilievi di Angkor è diventata in seguito il tema preferito degli affreschi sulle pareti dei templi. Rappresentazioni sceniche del “Reamker” ancora oggi precedono le pratiche religiose dei brahmani in Cambogia, oltre ad essere rappresentate alle cerimonie della corte o della cappella reale. Nonostante la costruzione narrativa del “Reamker” sia basata su quella del “Rāmāyaṇa”, le sue forme di rappresentazione sono espressioni della cultura cambogiana. L'epopea è ben conosciuta tra la popolazione khmer per le rappresentazioni fatte nei teatri di danza khmer (Lkhaon) e nei vari festival cambogiani. Oltre che un riadattamento della favola epica è un pilastro del repertorio del balletto reale Khmer.
Il noto poema “Rāmāyaṇa” (*), dal sanscrito रामायण, lett. il viaggio ayana - di Rama), è un’antica summa di leggende indiane trasferite nella tradizione letteraria (e non solo) di tutto l’Oriente. Insieme al “Mahābhārata” è uno dei più grandi poemi epici della mitologia induista, oltre ad uno dei testi sacri più importanti di questa tradizione religiosa e filosofica. L'epos rāmaico consta di 24.000 śloka (versi), 86.000 in meno rispetto al più complesso “Mahābhārata”, suddivisi in oltre cinquecento sarga (sezione di testo) distribuiti in sette libri (kānda), di cui il primo (Bāla-kānda) e il settimo (Uttara-kānda) sono considerati, a giudizio unanime della critica, delle addizioni posteriori.
In esso si narra la storia di Rama, settimo avatar di Viṣṇu, sovrano ideale e guerriero valoroso, e della sua sposa, Sita. Rama, principe ereditario del regno di Koshala viene privato ingiustamente del diritto al trono ed esiliato dalla capitale Ayodhya. Rama trascorrerà 14 anni in esilio, insieme alla moglie Sita ed al fratello Lakshmana, dapprima nei pressi della collina di Citrakuta, dove si trovava l’eremo di Valmiki e di molti altri saggi, in seguito nella foresta Dandaka, popolata da molti demoni (rakshasa). Lì Sita viene rapita dal crudele re dei demoni, Ravana, che la conduce nell’isola di Lanka. Rama e Lakshmana si alleano con i Vanara, potente popolo di uomini-scimmia, ed insieme ai guerrieri scimmia, tra i quali c’è il valoroso e fedele Hanuman costruiscono un ponte che collega l’estremità meridionale dell’India con Lanka. L’esercito affronta l’armata dei demoni, e Ravana viene ucciso in duello da Rama, che torna vittorioso nella capitale Ayodhya, e viene incoronato re. Rama, per rispettare il dharma, è costretto a ripudiare Sita, a causa del sospetto che abbia ceduto alle molestie di Ravana. Per dare prova della sua purezza, Sita accetta di sottoporsi alla prova del fuoco, ed esce indenne dalle fiamme.
L’insieme degli strumenti che formano l’accompagnamento orchestrale, “pimpeat”, riservato alle danze, un tempo famose, si componeva di alcune centinaia di musicisti che i principi di Angkor offrivano ai bramini e ai re cambogiani, e che servivano da accompagnamento alle migliaia di danzatrici destinate ai rituali dei templi. Di cui la leggenda narrata nel Nang sbek thom vuole che accompagnasse la partenza delle “Scimmie del Rāmāyaṇa” nel combattimento. L’insieme delle percussioni, comprendeva inoltre un tamburo a due membrane detto skor thom, che assumeva così un ruolo preponderante nel ritmare la marcia dei danzatori, producendo un vero e proprio fuoco d’artificio sonoro.
La storia della danza cambogiana si data a circa un migliaio di anni fa: frutto dell'influenza indiana sulle corti reali, che incoraggiarono questa forma artistica. La danza tipica della Cambogia è quella khmer, che conosciamo riprodotta sulle pareti dei templi. Le danzatrici in Cambogia erano mantenute nei ginecei dei templi induisti ed erano equiparate alle Apsaras, ovvero figure minori della mitologia indiana. La danza khmer è caratterizzata da una dettagliata attenzione per il più piccolo movimento della danzatrice: negli spettacoli le ragazze cambiano espressione con lo sguardo o con movimenti del collo, i movimenti non sono plateali, ma minimi e aggraziati, i movimenti delle mani sono delicati e complicati; una danzatrice è scelta soprattutto per l'aspetto fisico, per l'espressività del viso e per la lunghezza delle mani.
Uno speciale modo di cantare fa riferimento alle antiche leggende: Jokata, tramandate oralmente, e solo recentemente trascritte in almeno una delle lingue a noi accessibili, si ravvisa un’attività coreografica e teatrale di grande pregio musicale, in cui il chapey assume importanza fondamentale. Infatti, è uno strumento ideale per l’accompagnamento alle improvvisazioni vocali, grazie alle sue possibilità tecniche e agli effetti che si possono ottenere a seconda di come vengono toccate le corde. Generalmente voce e strumento si alternano in modo che i brevi a-soli musicali permettono al cantante di trovare il tempo per la sua ispirazione, di volta in volta diversa, per ogni esecutore. Essendo i canti spesso improvvisati sulla base di “trame” oralmente apprese e trasmesse da un cantore, Tuk-Mon. I maestri musicisti, i coreografi e gli insegnanti di musica continuano ancora oggi ad insegnare gruppi designati di studenti le rappresentazioni del “Rāmāyaṇa”

Editoria:
Mandakranta Bose; et al., The Ramayana in the Arts of Thailand and Cambodia in The Rāmāyaṇa revisited, Oxford University Press US, 2004.
Judith M. Jacob, Kuoch Haksrea, Judith M. Jacob (a cura di), Reamker (Rāmakerti): the Cambodian version of the Rāmāyaṇa, Routledge, 1986.
(*) Traduzioni italiane di questa importante opera:
“Il Ramayana”, a cura di G. Gorresio, 3 voll., Fratelli Melita, Genova 1988
“Il Ramayana”, a cura di R. K. Narayan, Guanda, Milano 1991 (nell'originale è una riduzione in inglese del capolavoro della letteratura classica)

LAOS
Da secoli il Laos è occupato da Thai migrati da altre zone (tra cui shan, siamesi e lao) e da tribù hmong-mien che vivono sulle montagne praticando l'agricoltura con il sistema 'taglia e brucia'. I primi principati si consolidarono nel XIII secolo dopo l'invasione della Cina sud-occidentale da parte delle armate mongole di Kublai Khan. Nella metà del XIV secolo un comandante militare di nome Fa Ngum, con l'appoggio dei Khmer, unì alcuni principati sparsi nella zona di Luang Prabang e diede vita a un regno proprio, chiamato Lan Xang ('un milione di elefanti'). Inizialmente il nuovo regno prosperò, ma nel XVII secolo, a causa delle divisioni interne e delle pressioni esercitate dai principati vicini, si suddivise in tre regni le cui capitali erano Luang Prabang, Wieng Chan (oggi Vientiane) e Champasak.
Alla fine del XVIII secolo gran parte del Laos era sotto la sovranità siamese (Thai), ma subiva anche pressioni dal Vietnam; non potendo (o non volendo) servire due padroni, negli anni '20 del XIX secolo il paese entrò in guerra con il Siam, ma questa scelta si rivelò disastrosa e i tre regni caddero sotto il controllo Thai. Alla fine del XIX secolo la Francia aveva già dato vita all'Indocina francese nelle province vietnamite di Tonchino e Annam e in seguito i thai cedettero interamente il Laos ai francesi, i quali si accontentarono di utilizzarlo come zona cuscinetto tra i loro possedimenti coloniali e il Siam.
Dei tre stati che costituivano l'Indocina francese, il Laos è il meno sviluppato e il più enigmatico. Dopo il rovinoso avvicendarsi del dominio coloniale, dei conflitti intestini e del socialismo dogmatico, negli anni '70 il paese si ritrovò non solo in ginocchio, ma anche a registrare un calo della sua popolazione, perché emigrata. Ora, dopo quindici anni di isolamento dal mondo esterno, questa nazione senza sbocchi sul mare e scarsamente popolata si sta finalmente godendo la pace, stabilizzando le proprie strutture politiche ed economiche e cominciando ad aprire le frontiere ai turisti stranieri.
L'assenza di influenze esterne offre al visitatore l'impareggiabile occasione di entrare in contatto con uno stile di vita tradizionale che è rimasto pressoché inalterato nel tempo. Dalle fertili pianure della valle del Mekong agli aspri rilievi dell'Annam, le persone che hanno visitato il Laos concordano nel dire che questo paese è la perla del sud-est asiatico. La popolazione, prevalentemente i Lao bassi e alcune tribù Thai, pratica il Buddhismo Theravada. È previsto che tutti i laotiani buddhisti di sesso maschile siano monaci per una breve parte della loro vita, di solito nel periodo compreso tra la fine della carriera scolastica e l'inizio del lavoro o il matrimonio. La principale 'religione' non buddhista è il phii, un culto degli spiriti che ufficialmente è vietato. Le tribù hmong-mien praticano l'animismo e il culto degli antenati; solo una piccola minoranza di laotiani, composta principalmente dall'élite che studia nelle scuole francesi, è di fede cristiana.
La lingua ufficiale del Laos è il lao nella forma parlata e scritta a Vientiane. In quanto idioma ufficiale esso è diventato con successo una lingua franca usata per i rapporti tra le varie etnie lao e non lao del paese. Ci sono cinque dialetti principali, ciascuno dei quali può essere suddiviso in diverse varianti locali. Tutti i dialetti lao sono strettamente imparentati con le lingue parlate in Thailandia, nel Myanmar settentrionale e in alcune zone della provincia cinese dello Yunnan. La cultura tradizionale laotiana è stata fortemente influenzata da varie correnti culturali khmer, vietnamite e thailandesi. I lao bassi hanno gli stessi antenati di molte tribù Thai, quindi le somiglianze tra la cultura laotiana e quella thailandese sono particolarmente forti, come risulta evidente nella scultura, nella musica classica, nei drammi danzati e nelle arti della lavorazione dell'oro e dell'argento. Le arti tradizionali nel Laos sono in genere, l’intaglio del legno e la tessitura, per lo più finalizzate alla realizzazione di opere di carattere religioso, quali la costruzione muraria e scultorea dei Wat (templi), degli Stupa (tombe) e le rappresentazioni del Buddha, qui raffigurato in stile tipicamente laotiano.
L’antica Wieng Chan, oggi Vientiane è la capitale e sede del governo, situata in un'ansa del Mekong in mezzo a fertili pianure alluvionali. A dispetto del suo turbolento passato, è una città tranquilla con alcuni bei wat e qualche vivace mercato. Il Pha That Luang (Grande Stupa Sacro), simbolo tanto del buddhismo quanto della sovranità del Laos, è il monumento nazionale più importante del paese. Altri luoghi interessanti sono il Wat Pha Kaew, che in passato era un tempio reale e ora ospita un museo; il Wat Si Saket, il tempio più antico e, infine, il Wat Xieng Khuan, con un gruppo di interessanti sculture buddhiste e hindu situato in un prato che si trova a circa 24 km a sud. Vientiane ha una decina di alberghi di categoria elevata e altrettante pensioni, molte con prezzi medi, ma da qualche anno è aumentata considerevolmente la disponibilità di camere economiche.
La maggior parte degli alberghi si trova in centro che, non è più, quel centro dei divertimenti illeciti che era all'inizio degli anni '70: ora i bordelli sono vietati, le bancarelle di marijuana sono scomparse dai mercati e la birra, attuale 'svago' notturno, ha sostituito l'oppio. Per i pasti, se si vuole gustare una buona cucina laotiana è da provare il mercato notturno di Dong Palan sulla sponda orientale dei laghetti Nong Chan. I divertimenti vanno dalla musica dal vivo e dalle discoteche (di solito con pop occidentale o musica tradizionale laotiana in versione elettrificata) ai film thailandesi, cinesi, indiani e persino bulgari. Per quanto riguarda lo shopping gli articoli migliori sono gli oggetti di produzione tribale, le stoffe, i gioielli e i mobili.
Altra città importante è Luang Prabang, che si sta appena risvegliando dal lungo sonno causato da decenni di guerra e rivoluzione. Le principali attrattive di Luang Prabang sono i suoi templi antichi (dei 66 costruiti prima della colonizzazione francese ne sono sopravvissuti 32) e la sua suggestiva posizione, incorniciata dalle montagne e situata presso la confluenza dei fiumi Khan e Mekong. Tra i monumenti da visitare vi sono il Museo del Palazzo Reale, il Wat Xieng Thong e il Wat Wisunalat. A soli 25 km di distanza lungo il Mekong ci sono le famose grotte di Pak Ou, alcune delle quali sono abitate da statue del Buddha di ogni misura e stile, mentre a una trentina di km circa a sud della città c'è la grande cascata a più balzi di Kuang Si.
La cultura, di tradizione, si rifà a quella già trattata della Thailandia di cui un tempo era considerata regione limitrofa, presenta una particolare predilezione per il canto. Si conoscono infatti numerose canzoni laotiane dedicate alla “corte d’amore”. Si chiama così il periodo il periodo in cui i giovani uomini cantano alle ragazze in fiore sotto la luna di primavera. Un rito quello dell’arrivo della bella stagione che si festeggia da sempre da tutti i popoli, e che anche noi non disconosciamo. Con la primavera, si sa, la natura rinasce alla vita e con essa si risvegliano i giovani spiriti, giungono lieti i doni di fiori segno di amicizia fra il popolo laotiano. Uniamoci dunque al coro in questa bellissima canzone della regione Luang Prabang, cantata alla “corte dell’amore”; così si chiama il periodo in cui i giovani uomini cantano il loro amore alle ragazze in fiore sotto la luna di primavera:
“ … a primavera / la natura rinasce alla vita / si risvegliano i giovani cuori / ognuno pensa all’amore / quale dono mi porterà?”.
E un dono è pur sempre un segno di amicizia fra il popolo laotiano; insieme segno di accoglienza e di prosperità.
Riguardo alla musica tradizionale laotiana si può affermare che è sovente d’accompagnamento alla danza o alle rappresentazioni teatrali, nelle quali viene utilizzato un linguaggio molto colloquiale, a volte licenzioso e scurrile. Tale musica dà carattere a tutte le festività religiose e stagionali, a tutte le cerimonie destinate ad allontanare le sventure, a placare gli spiriti maligni o a ringraziare le divinità tutelari. La musica di questo genere, imperniata a uno scopo pratico ed attinenti alle necessità quotidiane dell’uomo, è anonima ed è trasmessa oralmente, mentre ogni esecutore è libero di darle un’impronta personale. In questo la musica tradizionale assolve una speciale insostituibile funzione ed è per solito vocale, anche se a volte il canto viene accompagnato da semplici strumenti che provvedono all’armonia e al ritmo. Uno strumento tipico è il khen o sheng, lo strumento a fiato fatto di canne, cui si è già dato cenno, qui esistente anche nella versione di tipo gigante, lungo fino a due metri e mezzo, che si suona alternativamente soffiando e aspirando, allo stesso modo in cui nel rituale (vedico) del sacrificio, l’espirazione e l’inspirazione sono riferiti ai fuochi iniziatici:
“… poiché all’inizio i fuochi sono questi soffi: l’ahavaniya e il garhapatya, l’espirazione e l’inspirazione. Origine di tale ardua trasposizione fu un episodio della guerra fra i Deva e gli Asura. Allora i Deva non erano ancora dèi – e perciò erano mortali, come anche gli Asura. Fra le due schiere nemiche c’era un solo essere immortale, a cui tutti ricorrevano: Agni. Così i Deva pensarono di infonderlo in se stessi. Si lasciarono invadere da quell’essere immortale – e così ebbero il sopravvento sugli Asura. Da quella volta, parlare den dentro e del fuori, di ciò che accade visibilmente nel mondo e di ciò che accade invisibilmente in ciascun essere, diventò molto più agevole (..). Dacché, poggia tutta la dottrina dello yoga e s'introduce "la suprema funzione del respiro (da qui discendono le innumerevoli riflessioni sui soffi) e si giustifica, come mai il mondo (..), abbia bisogno di un soffio per filtrarsi, per animarsi, per rendersi usabile in un atto cerimoniale" (1)
Questo a dimostrazione del fatto che la ricerca, sia essa musicologica o anche soltanto filologica porta spesso a scoprire, anzi, direi a trovare, segni evidenti di collegamento, non solo tra discipline diverse bensì tra culture diverse. Non è un caso che la più antica cultura musicale dell’Asia, dal Champa, alla Cambogia, alla Thailandia e il Laos usa essenzialmente strumenti in forme polifoniche, in cui si sovrappongono più suoni, la cui origine è difficile localizzare geograficamente, ma che corrispondono a principi comuni a vaste regioni e fondamentalmente distinti da quelli di altre zone, anche se talvolta limitrofe. E con ciò, stesse forme poetico – liriche e letterarie che assumono forme diverse e utilizzi diversi all’interno delle diverse culture. Accanto a queste forme, che non siano quelle riservate al culto o ai diversi culti religiosi, rimaste per lo più quelle di un tempo, si è sviluppata una musica “dotta” che ha seguitato a convivere con la musica popolare. È possibile dire che la musica di questo tipo, trae le proprie origini dalla musica popolare, ma si distingue da quella per l’alto livello artistico e per la specifica funzione raggiunta.
È così che anche nel Laos si sono sviluppate forme musicali libere da una dichiarata funzione sociale, le quali, proprio perché svincolate da presupposti rituali, hanno progredito rapidamente sulla via del perfezionamento tecnico e del raffinamento del gusto, tuttavia, le due forme musicali hanno stabilito pochi contatti tra loro e raramente si è verificata una reciproca influenza. Caratteristiche, queste, che la rendono ben diversa dalla musica dei professionisti e dei musicofili, i quali fanno uso di strumenti più complessi, di tecniche vocali e strumentali più elaborate, di scale più varie, e di repertori più ricchi.

VIET NAM
Dei 54 gruppi etnici riconosciuti, una quarantina di gruppi minori sono collettivamente noti come degar o, in francese, montagnard, perché abitano sugli altipiani. La tradizionale denominazione in lingua vietnamita fa riferimento alla loro natura barbara e ostile (ai Kinh). I Thai di etnia thailandese e vivono nella parte centrale e nord del paese, vivono nelle zone di transizione fra pianura e collina del nord del paese. La loro lingua fa parte del sottogruppo centrale delle lingue tai ed è molto simile alla lingua zhuang della Cina meridionale. Gli Zhuang sono la principale minoranza etnica cinese, concentrata nello Guangxi e, in parte, nello Yunnan, province entrambi confinanti con il Vietnam. I Mường sono un gruppo etnico autoctono, i più affini alla maggioranza Kinh (o Viet: i vietnamiti in senso stretto) dal punto di vista culturale e linguistico; vivono nelle zone collinari e montagnose del nord.
I Khmer Krom sono di etnia Khmer o cambogiana e vivono nel delta del Mekong e a sud di esso, in territori per lungo tempo parte dell'Impero Khmer. Gli Hoa sono di origine cinese (Han), in prevalenza del Guangdong, parlano la lingua cantonese o la lingua teochew e vivono nelle aree urbane in tutto il paese. I Nùng sono un'etnia imparentata linguisticamente con i Thai e gli Zhuang. Gli H'Mông, già noti come Meo, corrispondono ai Miao della Cina, dove sono concentrati nel Guizhou, e anche nell'Hunan e nello Yunnan. Meo e Miao sono considerati termini offensivi dagli Hmong. I Dao o Yao sono un'etnia imparentata linguisticamente con gli H'Mông.
La maggioranza della popolazione vietnamita è di religione buddista, conseguentemente all'influenza cinese. Alla tradizionale religione del buddismo Mahayana si sono aggiunti i culti più recenti di Cao Đài e Hòa Hảo. Vengono praticati anche il Confucianesimo, il Taoismo e le relative religioni cinesi. In Vietnam sono presenti numerosi parchi nazionali, tra cui il Parco nazionale di Con Dao. Il Parco nazionale di Phong Nha-Ke Bang è stato designato come patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO, insieme alla Baia di Ha Long, il Santuario di Mỹ Sơn, al Complesso dei monumenti di Hué e all'Antica città di Hoi An. Sono anche presenti sei riserve della biosfera: la Foresta di Mangrovie di Can Gio, il Parco nazionale di Cat Tien, il Parco nazionale di Cat Ba, il Parco nazionale di U Minh Thuong, il Delta del Fiume Rosso, il Nghe An Occidentale.
Tale commistione di etnie presenti sul territorio rende il Vietnam un “campo di ricerca” straordinario per l’etnologo e il ricercatore musicale che desideri conoscere e armonizzare gli “opposti” delle diverse culture qui messe a confronto. Scrive Tran Van Khe (2):
“In genere i contatti tra paesi che hanno una comune base culturale sono molto fruttuosi. Essi nascono spontaneamente da un lodevole desiderio di progresso che spinge a cercare diverse esperienze, a tentare mezzi espressivi non recepiti dai propri maestri e predecessori e a dare alla propria musica un’impronta personale. Si sa che i popoli troppo chiusi nella cultura autoctona evolvono molto lentamente, mentre, ogni occasione di contatto con i paesi vicini causa sensibili mutamenti, anche a causa dell’incontro avvenuto nel corso dei due ultimi secoli, tra le antiche civiltà rurali dell’Asia con la civiltà industriale dell’occidente, che è stato traumatizzante. La “nuova musica” che appare un po’ ovunque in Indocina, spesso è il risultato di una acculturazione, cioè dell’adozione di una cultura estranea: un tale processo è nocivo quanto la scomparsa degli antichi generi musicali”.
È del tutto normale che ciò accada, da sempre i popoli colonizzati hanno cercato di imitare i dominatori, persuasi che la superiorità tecnologica si riflettesse necessariamente in una superiorità del senso estetico e musicale. Si è così finito per confondere il progresso con l’occidentalizzazione. Non in ultimo, lo sviluppo delle comunicazioni ha reso i viaggi più facili anche per i musicisti orientali, i quali sono rimasti affascinati dalle orchestre sinfoniche occidentali e hanno preso a scrivere partiture musicali per gli strumenti tradizionali, finendo per far nascere forme musicali ibride. L’ibridismo è, in tali casi, deteriore, perché tenta di applicare gli strumenti e lo stile di una tradizione ad un’altra assolutamente incompatibile. Ciò non toglie che, in alcuni sporadici casi si è tratto da una cultura affine elementi che funzionano da catalizzatori che hanno arricchito la tradizione del paese d’origine. L’ingegnosità di certi strumentisti inoltre, ha permesso che alcuni strumenti tradizionali o addirittura arcaici facessero il loro ingresso nelle orchestre “tradizionali” di un paese. È il caso di alcuni strumenti tipici dell’India, entrati nella tradizione del Vietnam: gong, xilofoni, ciotole che riempite d’acqua a differenti livelli vengono battute sull’orlo per trarne suoni di varia altezza, sono tutti strumenti che producono suoni con una vibrazione naturale, tra cui, degno di nota, è il Khong-vong (Thailandia), entrato nelle formazioni musicali del Vietnam, formato da 17 gong posti su un supporto circolare di bambù che li fa vibrare meglio.
Un altro esempio è dato da un tipo particolare di conchiglia (a tromba), conosciuta quasi ovunque in Asia, utilizzata unicamente per accompagnare cerimonie e cortei, che in Vietnam è destinata ad essere suonata anche al di fuori per il richiamo al lavoro quotidiano. Esiste in Vietnam un repertorio di canti a voci alternate frutto di improvvisazione poetica eseguito da giovani ragazzi e ragazze che per l’occasione osservano l’uso di “legarsi in amicizia”. Per l’occasione viene intonato il “Coi giau”, (il piatto del betel), considerato un canto di benvenuto col quale le ragazze invitano i ragazzi a prendere il betel, simbolo dell’amicizia e anche dell’amore coniugale. Ma è un altro canto appartenente alla tradizione del Ca-Tru (letteralmente canto “a tavolette”), tipico del Vietnam del Nord, e forse molto antico, dal titolo “Raccogliendo i fiori”, opera di un famoso autore, Phan Duy conosciuto in tutta l’Indocina, che possiamo assaporare quanto il sentimento dell’amicizia sia davvero sentito in tutto il paese:
“Amico, devi cogliere i fiori con attenzione / taglia solo quelli che sono appassiti / non lasciarli morire sullo stelo. / Ti Ring … / Il vento soffia lontano / e i fiori sono in boccio / amo il loro profumo / non coglierli. / Quando il vento soffia, i fiori sorridono / le belle farfalle giocano con essi e li accarezzano / i fiori che mostrano affezione, saranno ben presto vecchi. / La farfalla gioca e il fiore soffre / i bambini giocano coi fiori, li colgono senza rimpianto / i fiori innocenti cercano amore: / Non fare che il loro giardino incantato resti vuoto”.
La tradizione vuole che questo canto non fosse accompagnato da alcuno strumento musicale ma, durante gli ultimi anni, gli strumenti tradizionali accompagnano i giovani cantanti. Ovviamente dieci secoli di dominazione cinese (dal 111 a.C. al 939 d.C.), hanno lasciato un’impronta profonda nella cultura e nella musica di questo paese. Strumenti musicali come la viella a due corde, la cetra a sedici corde, il liuto a forma di luna, il violino a due corde, il flauto traverso di bambù, il monocordo, nonché cimbali, risuonatori di pietra, campane, grandi e piccoli tamburi, sono decisamente di origine cinese, per lo più utilizzati nella musica “colta”, che presenta nozioni codificate di ritmo e di ornamento, destinata ad essere eseguita esclusivamente per l’ascolto. I nomi degli strumenti vengono scritti in caratteri cinesi, ma la formula cambia a seconda che siano pronunciati in lingua da un cinese o da un vietnamita.
Va qui ricordato che la prima teoria musicale di questa musica fu redatta in Vietnam, sotto la dinastia LE (1428-1788), sullo stile di quella cinese d’epoca Ming, (teoria fondata su cinque gradi, sette toni e dodici Yju, o toni fondamentali), e suddivisa a sua volta in otto tipi di musica di corte. Interessante (e forse curioso) è leggere i caratteri che la compongono:
“Musica della volta celeste” / “Musica dei templi” / “Musica dei cinque sacrifici” / “Musica per aiutare la luna e il sole in caso di eclissi” / “Musica per le grandi udienze” / “Musica per le udienze ordinarie” / “Musica per i banchetti” / “Musica di palazzo”.
Non è una meraviglia di ipotesi su cui far lavorare la fantasia? Ma c’è di più. Oltre alla musica eseguita per l’imperatore, anche le danze di corte hanno una loro suddivisione altrettanto affascinante:
“Danza militare (vo-vu)” / “Danza civile (van-vu)” / “Danza dei rami fioriti (hoa dang vu)” / “Danza della fenice (phung vu)” / “Danza del liocorno (ma vu)” / “Danza dei quattro favolosi animali (tu linh vu)” / “Danza degli otto barbari che presentano i loro doni (bàt mantaw cong vu)”.
Semplicemente strepitose non è vero?, se pensate che solitamente sono accompagnate da una ensemble (nhac) composta di flauto, tamburi a doppia membrana, corno di bufalo, cimbali e sonagli.

In chiusura di questo lungo excursus nella musica dell’Oriente, non voglio essere fatalista e preferisco pensare che la musica tradizionale di questi paesi non stia morendo, ma sia solamente passata nel dimenticatoio, e se si adottano immediatamente le misure del caso, la si possa salvare. Tran Van Khe, (sempre che sia ancora in vita), fa un appello che, allo stesso tempo, è un invito: “ad aiutare a salvare il salvabile” che vorrei qui accoglieste con sentimento estremo di solidarietà e possibilmente con partecipazione.

È di questi giorni anche l’appello de La Recherche alla sottoscrizione per la “liberazione” del Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, e per tutto il popolo del Myammar (ex Birmania). Sono fermamente convinto che ognuno di noi, nelle sue possibilità, possa fare qualcosa, anche semplicemente sottoscrivere questo appello. Io, nel mio piccolo, ho cercato di sollevare l’attenzione sulla cultura di questi popoli così violentemente provati dalle guerre e dalle afflizioni, sulla loro cultura e sulla loro musica, affinché anche attraverso la gioia del canto, della danza, dei resti dei monumenti antichi, si possa dare una mano a risollevare quella cultura che è patrimonio di tutti noi.

Note:
1)Roberto Calasso “L’Ardore” – Adelphi Edizioni - Milano 2010.
2)Tran Van Khe “Musica addio” articolo, Il Corriere Unesco, anno XI e “Musique et Societé” – Rivista Internazionale “Cultures” – Unesco.

Discografia:
Centro Studi di Musica Orientale presso l’Istituto di Musicologia dell’Università di Parigi.
Consiglio Internazionale della Musica Fondazioni Cini – Venezia, diretto da Alain Danielou.
“Melody of Thai” - Siam Gramophone Slp 1001
“Laos” – Emi-Odeon 064/18080
“Ngun Bargeman” – History of Music – La Voce del Padrone HLP1
“Viet Nam” – Albatros – VPA 8396
“Viet Nam” – Baden Reiter BM 30 – L 2022



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