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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Frammenti da “Jean Santeuil”

di Marcel Proust (Biografia)

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 11/07/2008 01:08:50

Traduzione di Franco Fortini
NUE Einaudi, 1976

[A Illieres]

Talvolta a Pasqua, quando il signor Santeuil non aveva troppo lavoro, andavano a passare un primo periodo di vacanze ad Eteuilles. Tuttavia il signor Santeuil aveva detto: - Non farà caldo, perché Pasqua quest'anno vien presto -. E la signora Santeuil, con tutto il suo buon gusto letterario, il suo buon senso nella vita, la sua vivacità allegra se si trattava di raccontare una storiella qualsiasi, con tanto coraggio, tatto, abilità nell'amministrazione domestica, ma ignorante di meteorologia, geografia, statistica ed altre scienze, stupiva udendo che suo marito sapeva che Pasqua quell'anno sarebbe venuta presto e trovava in quella evidente prova di superiorità una occasione per rinnovargli nell'intimo lodi ammirate e voti di docile soggezione. E fin dal mese di gennaio il signor Santeuil aveva detto: - La commissione tiene l'ultima seduta di mercoledì Potremo partire il giovedì santo -. Quei lontani progetti che il signor Santeuil faceva con tanta precisione alla signora Santeuil davano l'impressione di profezie e ne raddoppiavano l'ammirazione per il marito. Pasqua infatti veniva presto e si poteva partire il [giovedì], come il signor Santeuil aveva predetto. Si era avuto un bel portare tutte le coperte che c'erano in casa, non erano mai abbastanza per resistere al freddo; e, giunti a Eteuilles in mezzo al gelo, si restava a scaldarsi nella sala da pranzo dove lo zio di Jean andava ogni poco a battere con le nocche sul barometro per vedere se il bel tempo si decideva o no a venire. La sera, quando Jean entrava in camera sua, vedeva acceso un gran fuoco, e mentre si stava spogliando, qualcuno bussava alla porta. Era la cuoca con una bottiglia di acqua calda, che laggiù chiamano «il frate»; la signora Santeuil aveva detto, perché rimanesse ben calda, di portarla solo quando il signorino fosse sul punto di spogliarsi.

[Lillà e meli]

Il mese di maggio non era soltanto quello che vedeva arrivare dal vecchio signor Santeuil suo figlio, sua nuora e suo nipote. C'erano poche case che nel loro giardinetto, per piccolo che fosse, non avessero, contro il muro e davanti alla porta, dei lillà arborescenti, che talvolta oltrepassavano, d'un sol balzo, come la colorata freccia di un campanile, il basso tetto della casa, talaltra mischiavano sui tetti i loro mazzi di fiori con una animazione allegra, talaltra ancora, oltrepassando il muro e curvandosi sulla via, si spingevano a chiamare col loro buon profumo fin dall'opposto marciapiede il passante che non poteva vederli e lo costringevano a levare il capo. Si che, a primavera, ognuna di quelle casette si trovava ad esser fornita di un lusso imprevisto, di tutta una silenziosa schiera domestica di giovani lillà, dritti davanti alla porta, che davano bell'aspetto e buon odore alla casa, schiera domestica della quale tuttavia, solo una fata da racconto orientale, ricca di poetici poteri, avrebbe potuto far dono. Ma, quando si camminava lungo il frutteto di Cotte, nulla poteva eguagliare, attraverso le sbarre e per un tratto di cinquanta metri, lo spettacolo dei suoi meli a spalliera, l'uno accanto all'altro, ad eguali distanze come in un fregio di incomparabile grazia, con la salita dei loro larghi fiori bianchi schiusi e di tanto in tanto di piccoli mazzi rosa, di bocci infuocati, mentre senza un attimo di pausa le foglie sottostanti modulavano l'accompagnamento del loro disegno inimitabile cui non sta a pari quello di nessun altro albero da frutta. Se abbiamo la disgrazia di arrivare in campagna troppo tardi, quando i meli han perduto i fiori, la vista sola di quel bel fogliame, di cui sappiamo tutta la capacità di splendida poesia, ci causa un dispiacere che nessun fiore, per quanto bello sia, può consolare; e, magari, anche solo la piccola peluria sottilmente organizzata dei pistilli che eran nel cuore del fiore, quasi un oscuro e misterioso coro entro una splendida basilica, forse anche solo la vista di quei pistilli ci darà tanto dispiacere e al tempo stesso ci farà più piacere, ridesterà in noi più amore che non la vista dei più bei fiori del mondo. E quell'infinito piacere che si prova, camminando lungo un pomario, a riconoscere ad un tratto quei bianchi fiori di melo, quelle foglie e i rosei mazzetti dei bocci, è un piacere morale. La ragione per cui non ce lo sostituisce lo spettacolo dei bianchi peri, dei rosei roseti di Pennsylvania, è una ragione che sta al fondo del nostro cuore. Tutt'a un tratto, scorgendo quel fogliame insostituibile e i fiori più larghi, più uniti in mazzetti bianchi, che camminano lungo la spalliera separati dai rosei mazzi dei bocci, noi abbiamo sentito in quel fogliame, in quei buoni fiori bianchi qualcosa che ci parlava, come quando in un corteo incontriamo una persona amata che ci sorride e ci fa cenno di saluto. Pare che sotto la verde vernice della foglia, sotto la bianca seta del fiore ci sia quasi un essere particolare, un individuo che amiamo e che nessuno può sostituire. Sentiamo che non dobbiamo fermarci alla bianca seta del fiore bianco, alla verde vernice della foglia verde; che c'è qualcosa sotto, che il nostro piacere è più profondo; sentiamo qualcosa che vi si agita dentro, che vorremmo afferrare, dolcissimo. Sembra che quei fiori bianchi, l'uno dopo l'altro lungo la spalliera, abbiano un'espressione morale, siano come la figura d'un tempo della nostra vita che ci avviene di incontrare e di riconoscere. Non come negli altri alberi in fiore; questa volta ogni fiore, ogni foglia rispondono in noi ad un desiderio. Ad ogni istante ci diciamo: «È proprio questo», con gioia. Quel che ci sorride in quei fiori bianchi alternati con i loro mazzi rosa è qualcosa di simile ad una vita molto diversa da quel che noi talvolta chiamiamo vita e che ci rende tanto tristi se pensiamo che la perderemo benché ci paia assai noiosa. Invece in quel momento di tanta felicità non temeremmo di perderla e di non lasciar traccia. Perché quel che ci rapisce nel piacere che proviamo è qualcosa che sentiamo nel profondo, qualcosa che non è di oggi, perché il sentimento di [un] passato nel quale abbiamo veduti eguali meli fioriti è interno a quel nostro piacere, e non è più soltanto del passato.

[Lillà e biancospini ]

La stagione dei lillà volgeva alla fine. Alcuni, ancora in tutta la loro freschezza, lanciavano in alte girandole color malva le loro bolle delicate. Ma più spesso, nel tenero fogliame dalle foglie a forma, un po' allungata, di cuore, dove qualche tempo prima traboccava la loro spuma violacea e profumata, i rari grappoli, spogliati ormai dei fiori appassiti e disfatti, non lasciavano più sfuggire alcun profumo. Al di sopra del muro alcuni grappoli chinavano ancora con grazia incurante la testa sottile, lasciandosi sfiorare dalle foglie su cui si levavano. Era però anche il momento in cui i sessanta biancospini arborescenti, dell'altezza d'un melo o d'un ciliegio, disposti a cerchio attorno allo stagno, facevano la loro apparizione con le lunghe braccia distese, con le mani sottili e protese, allacciate, costellate d’innumerevoli ciuffi di fiori rosa, in modo che a tratti non si scorgeva più il fogliame, ma l'albero pareva adornato a festa, carico soltanto di fiori con i rami infiocchettati come una verga pastorale stile Luigi XVI. Dopo tre alberi tutti rosa, ce n'era uno dai rami carichi di fiori rossi, color del vino, con un segno bianco. Poi un altro, dai rami fioriti di fiori rossi, ma doppi, come biancospini rossi. Poi alcuni bianchi, ma doppi anch'essi. - Che cosa sono? - chiese Jean. - Sono i biancospini, - rispose il giardiniere, come in un giardino zoologico si dice «quelle sono le foche». - Tutti? - Si, tutti biancospini -. E c'è in essi effettivamente qualche ,cosa che dà l'idea di una persona, di una razza a parte all’interno di un genere. Ognuno di quegli alberi, venuta la sua stagione, senza curarsi dei lillà suoi vicini, senza. tener conto dei. castagni, per una sorta d'istinto oscuro, di genio immutabile, mostra, quando il tempo è venuto, arrossa, fa esplodere, schiude' ...

[Piccola città devota]

In quella cittadina di Eteuilles, le viuzze portavano nomi [di santi '], via Sant'Ilario, via dello Spirito Santo. La sua casa era in via dello Spirito Santo; e a Jean faceva un curioso effetto che la loro casa avesse un indirizzo e che la loro casa la casa del dottore di fronte e, accanto alla loro, continuando la fila, la vetrina del droghiere, tutto ciò fosse via dello Spirito Santo; e che la loro casa avesse un numero, perché «via dello Spirito Santo, numero cinque», pare qualcosa di esterno, qualcosa che si può indicare; e [non] la nostra propria casa, che, vista così dal di fuori, ci fa l'effetto di una casa estranea. Il cartolaio era in via dell'Uccello e per andare sulla piazza si prendeva via Sant'Ilario. Ed era infatti una città dominata dalla chiesa, attraversata da processioni, pavesata per il Corpus Domini, abitata qui dal parroco, là' dal sacrestano, là ancora dalle monache, piena di scampanii, animata nei giorni di messa solenne dalla fila di gente che andava a messa e dall'odore dei dolci preparati per il desinare che sarebbe seguito. Ma aveva certi nomi di santi un po' cupi, un po' tristi ed era invero fredda e poco chiara, le notti vi erano lunghe, i vecchi si lamentavano di malattie, molti dei giovani erano di apparenza sparuta, serio il viso di tutti, lenta la parlata, spesso chiamato il prete al capezzale dei morenti e spesso suonate a morte le campane. E c'erano anche vie che portavano nomi di cose consuete e naturali, via dell'Uccello, via della Bacinella, perché in quella città c'erano anche coltelli, piccioni vento maniscalchi...

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