Raramente capita d'imbattersi in un libro come "La famiglia Moskat."
La scrittura è magistrale, velocissima, difficilmente ci sono periodi superiori alle tre righe.
Fin dall'inizio, aiutati dagli utilissimi alberi genealogici, la storia vi prenderà senza lasciarvi mai.
Il filo rosso che superficialmente lega la narrazione è il giovane Asa Hesel, incapace di quadrare i conti con se stesso e col suo Dio, "Quello che nel suo laboratorio crea e distrugge facilmente."
Ma si tratta invece di una grande storia corale sulla vita degli ebrei in Polonia (Varsavia) all'inizio del XX secolo sino all'irrompere sulla scena della belva nazista che fa esplodere l'antisemitismo pur sempre vivissimo nel paese.
Forse il personaggio cardine è il rabbino, figura di riferimento del cosmo ebraico.
A lui, come modello, guardano tutti i personaggi. Sia gli osservanti che gli indifferenti.
Figura impressionante nella sua missione di studioso dei sacri testi che, per contro, gli impedisce di capire l'evoluzione quotidiana del suo popolo.
Popolo che pare, nell'attesa del Messia, destinato dalla sua storia a ripetere il ruolo del capro espiatorio.
Gli intrecci delle vite, degli amori, dei divorzi (quanti!) sono avvincenti e sono un testo sui costumi degli ebrei.
In conclusione, penso che il termine capolavoro sia azzeccato.
Giustamente riconosciuto a Singer col Nobel nel 1978.
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