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Profumo di cera.

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 28/08/2016 22:17:50

Va bene: era abituata ad essere inseguita da misteriose presenze. In realtà la cosa la tranquillizzava, da un lato: “qualcuno” veniva a dirle, nei modi e nei tempi che poteva sfruttare, di esserci ancora. Di presenze ne conosceva. Da bambina. Di sensazioni, impressioni, sogni, angosce, era stata piena anche la sua infanzia. Pure, a volte, avrebbe voluto essere lasciata tranquilla. La “proprietaria” del bed & breakfast aveva trovato molto bello raccontare a lei ed a sua figlia, che viaggiava, in quell’occasione, con lei, che la stanza da letto in cui avrebbero dormito in quei giorni di soggiorno, era antica, ossia, i mobili, lo erano, provenienti da una vecchia villa in disuso. Vero: primi novecento o qual cosina in più. Sotto i polpastrelli il legno annoso parlava di tocchi di mano, di oggetti posati, di cassetti in cui qualcuno aveva riposto oggetti. L’enorme armadio, dallo specchio antico, incombeva. Il materasso era comodo, ma il letto di legno scricchiolava, di notte, ai suoi movimenti e la luce, che teneva accesa, sempre, perché il buio la terrorizzava dalla fanciullezza, non riusciva a completare gli angoli. Insomma; dormiva male. La figlia rientrava sul tardi, in giro con gli amici nell’estate calda, riguadagnandosi la sua giovinezza e salute. Lei si addormentava senza le sue abitudini ed era inquieta sino al suo rientro. Okay, dunque, nulla di strano che trascinasse in quell’ombreggiatura scomposta immagini e pensieri, ma il vento quella notte, fece il resto: si levò, forte, spostando e trascinando con sé quello che poteva e facendo risuonare ambiguamente ciò che non poteva. Oltre le tre di notte, la figlia, che dormiva da poco, si destò innervosita e prese ad annusare l’aria. Annusò anche lei: un odore intenso di ceri accesi, di fumo denso che veniva fatto di assimilare a quelli, grandi, ardenti davanti alle immagini sacre o nei cimiteri. Da dove proveniva? Non le riusciva di comprenderlo. Sembrava invadere l’ambiente. Naturalmente, se avessero potuto dire: “ecco, è quel cero a mandare l’odore”, ossia vederlo, tangibilmente, non se ne sarebbero tanto preoccupate. Ma non v’era cero. Le imposte: chiuse, i vetri: sani. Avrebbero volentieri evitato di destarsi completamente, ma la curiosità fu più forte ed accesero le luci accanto al letto. Nulla: niente poteva spiegare. Decisero di controllare, con un poco di nervosismo, fuori della porta. Buio, naturalmente. Da qualche parte c’era la cucina, c’era il bagno e una stanza che fungeva da soggiorno. Tutto tranquillo e l’odore non sembrava provenire da altre stanze. Richiusero. A chiave. Permaneva. Il vento forse lo portava dentro dalle fessure della finestra antica e dal balcone serrato? Non volevano aprirlo: le folate non si erano calmate e avrebbero certamente aperto le imposte, sbattendole o chissà che altro. Decisero di fingere che non vi fosse nulla di strano e tornarono a dormire. Luci spente, tranne quella che manteneva i suoi fantasmi lontani da lei. Ci volle un poco perché si riaddormentassero e al mattino l’odore era svanito. Facendo la colazione in cucina, ne parlarono con la donna che aveva portato cornetti caldi e preparato il caffè. Nessuna reazione alle loro parole. Quella “nessuna reazione” diede loro fastidio di più che se avesse sostenuto che avessero avuto una allucinazione olfattiva. Dunque. Finita la storia, quel giorno lei e la figlia presero direzioni differenti: lei non amava il sole (?), no: il sole faceva male alla sua pelle, quindi evitava di andare in spiaggia, anche se, in realtà, quel giorno era grigiastro, ammesso che fosse giusto usare quel termine per descriverlo. Le piaceva girovagare, allontanarsi, conoscere cittadine vicine o meno vicine, che l’attiravano perché ne aveva sentito parlare, o vi era stata. Così si spostò di un poco, facendo un breve percorso per raggiungere una conosciuta cittadina di mare, più grande e ricca e affollata, di quella dove si erano fermate. Trovò, fortunatamente, un posto auto alle spalle del litorale, davanti ad un cancello, dove non avrebbe dovuto pagare neanche la sosta. Poi, come sempre, prese a vagabondare. Al mattino molte persone, malgrado che il mare fosse decisamente mosso, si trovavano sulla spiaggia, zeppa di ombrelloni. I lidi si succedevano, con gli ombrelloni aperti, i lettini strapieni e qualche coraggioso che si dibatteva tra le onde saltandole. Dall’altro lato della strada e anche sul lato mare, si alzavano molti edifici. Praticamente si trattava soltanto di alberghi, i cui ingressi alternati lasciavano spazio a vetrine, locali zeppi di oggettistica ed abiti che aspettavano la passeggiata serale dei turisti. Qualcosa, però, la colpì: una costruzione più bassa, decisamente in rovina, le cui colonnine dei terrazzi sembravano rari denti nella bocca di un anziano. Le finestre, dalle belle forme anni trenta (o almeno questo sembrava a lei),avevano le imposte chiuse e sconnesse, di forma curva nella parte superiore. Dal lato opposto all’ingresso principale, un lungo terrazzo ricoperto di piante, era sostenuto da colonne. Al di sotto c’era l’ingresso posteriore. Sul davanti quello più imponente, con le colonne di lato ed un vecchio portone sconnesso, conservava una cert’aria sontuosa. Intorno c’era stato un giardino curato, un muro elegante che si alternava con cancelli lavorati. Tutto disastrato, ora. Mentre osservava quello strano e solitario edificio, lei s’innamorò perdutamente della vecchia costruzione per cui, se avesse avuto il denaro, lo avrebbe utilizzato per comprare quel residuato di un tempo finito. Certo: abbattendolo e costruendo un altro di quegli alberghi che lo circondavano, avrebbe compiuto un lavoro decisamente più semplice e conveniente. Pure, se avesse potuto, lo avrebbe comprato per ristrutturalo, non per distruggerlo. Sogni. Per compiere una follia così, di denaro ne avrebbe davvero dovuto avere tanto da potersi permettere una stupidità. Fermo restando che ci doveva essere una ragione alle spalle di quell’abbandono: una eredità difficile o una vendita all’asta ostacolata da gruppi di potere economico locale… o chissà che altro. Intanto sapeva di dovere rientrare dove l’attendeva la figlia. Pensò di tornare e dedicarsi, il mattino dopo, alla ricerca di qualche notizia che riguardasse l’edificio da cui si sentiva così stranamente attratta. IL mattino successivo (la figlia al mare, con gli amici, lei che il sole doveva evitarlo, a causa di una pelle particolarmente delicata), ritornò nel comune per conoscere a chi appartenesse la costruzione. Farlo in modo legale e completo? Difficile, tanto di più per lei che non era cittadina residente: Una visura catastale presso il Catasto, avrebbe previsto il possesso di foglio e particella. Impensabile, al momento. Oppure avrebbe dovuto servirsi di una Visura ipotecaria, ottenuta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari. Una volta ottenuti i dati dal Catasto, la prassi sarebbe stata complicatissima e assolutamente assurda: a che pro? Si limitò ad interrogare in proposito, con l’aria della turista curiosa (cosa che in realtà era), qualche portiere d’albergo e un paio di ristoratori, senza successo. Intanto aveva percorso un bel tratto di strada, allontanandosi dall’auto, per cui pensò bene di ritornare sui propri passi e, in una trentina di minuti, si ritrovò di nuovo davanti alla villa misteriosa. Aveva già notato che, all’interno dei cancelli, davanti all’ingresso, era stata accumulata una quantità non indifferente di materiale, evidentemente vecchi mobili quasi a pezzi, scatoloni e materiale che sembrava fosse stato messo li per lavori di restauro mai effettuati. Un altro sguardo veloce e… si rese conto che il cancello era aperto, così come la porta principale: dall’interno proveniva luce. Forse qualcuno, entrato, dato gli scuri chiusi, l’aveva accesa. Non avrebbe dovuto, ma la tentazione di entrare anche lei e chiedere notizie a chi doveva essere in grado di darle, fu troppo forte. Spinse il cancello, schivò l’ingombro dei pacchi polverosi, salì i pochi gradini e si trovò davanti al portone spalancato. Osservando con una punta di preoccupazione l’ambiente che si apriva al suo sguardo non ebbe modo di fare marcia indietro: una voce squillante di donna, che sembrava essere quella di una ragazza, la interrogò: -“Lo sa che è in ritardo?”- -“Cosa?”- -“Ci eravamo accordate per le nove e sono le undici.”- -“Accordate?”- -“Ma è da sola? Aspettavo almeno un altro paio di persone. Giovani, forti. Magari anche uomini…”- A questo punto comprese che la ragazza (era una giovinetta di non più di venti anni, a guardarla bene, adesso che poteva scorgerla dietro un vecchio mobile che occupava in parte l’ingresso), l’aveva presa per qualcun altro. -“Credo mi abbia confusa con altri…”- -“Personale di pulizia, no?”- -“No.”- -“E allora chi è, perché è entrata, scusi?”- -“Mi perdoni, non avrei dovuto. In realtà mi sono innamorata di questa antica struttura. Avrei voluto saperne qualcosa di più ed ho approfittato…”- -“Antica struttura?”- -“Sì, la villa. E’ così bella e così malandata che…”- -“Malandata? Scusi, ma a cosa si riferisce?”- Restò perplessa. Le sembrava di avere parlato chiaro e inoltre lo stato dell’edificio non poteva essere definito diversamente. Però, quello che cominciava a stupirla era il fatto che l’interno non sembrasse affatto malridotto come l’esterno. -“E’ una villa abbandonata,no?”- Insistette timidamente. -“No, che dice? Io e mio marito ci stiamo venendo a vivere. Abbiamo bisogno di una governante, di una cuoca ed ovviamente di personale per le pulizie. Sopratutto per i lampadari. Sono antichi e di cristallo.”- Vero: quello della sala lo era. Lucente, grande, pur illuminava l’ambiente fiocamente. Le lampadine sembravano vecchie. Neanche quelle di sua nonna avevano quel filino solitario e fragile all’interno. Guardò meglio la giovane donna e si accorse che vestiva un abito premaman plissettato, calze piuttosto pesanti per agosto e scarpe eleganti dal tacco basso. I riccioli di un bel biondo naturale spuntavano anche da sotto al fragile cappellino con la veletta. Un insieme fuori moda e fuori stagione che la fece sentire sempre più a disagio. -“Bella la villa, vero?”- Disse la sposina in attesa. -“Bellissima, sì…”- Le rispose, facendo un passo indietro. -“Il giardino mi ha incantata. Poi: quel terrazzino lungo, con le colonnine di quel bianco accecante…”- -“Bianco, accecante? Terrazzino?”- -“Ma allora lei non l’ha vista bene! Guardi, le voglio mostrare l’unica stanza che abbiamo già arredata: quella nuziale. Sono mobili in legno che ho fatto fare a mano da un mio amico falegname. Assolutamente deve guardarli. Resterà stupita!”- Qualcosa le diceva che avrebbe fatto bene a girare le spalle e, scostumatamente, lasciare la donna, i lampadari e tutto il resto, dietro di sé, ma non poté farlo. La giovane sembrava essere stata presa da un’eccitazione malata, come se avesse fretta di farle vedere quei mobili Come se per lei fosse una cosa di vitale importanza. Quasi la prese per mano, quasi la spinse (in realtà non la toccò per nulla), costringendola a percorrere un largo corridoio e aprendo la porta di un’altra stanza. Fece girare rapidamente un vecchio interruttore nero, di quelli che ricordava avere ancora in casa sua nonna molti anni prima e il lampadario di cristallo diffuse la sua tenue luce nell’ambiente. La camera era arredata, davvero. Caldi mobili di un bel marrone lucido, con le maniglie di ottone, il grande armadio, un lettone alto, coi comodini eleganti ma senza sfarzo. Nuovo. Tutto nuovo, certamente, ma uguale identico a quello che stava usando nel bed & breakfast che divideva con la figlia. Ebbe un brivido. Davanti all’immagine di una Madonna in porcellana era acceso un grosso cero multicolore, di forma strana. Emanava un profumo intenso. Fece quasi un balzo indietro. Prese, camminano all’indietro, la porta della stanza, poi si girò, infilò velocemente il corridoio e letteralmente fuggì oltre la porta d’ingresso che, fortunatamente, era restata aperta. Fuori, nel giardino sporco, tra gli scatoli ed i mobili malandati, ritornò al suo tempo. Al di la del cancello, sulla strada gremita di persone che tornavano dal mare. Fuori. Guardò la vecchia costruzione cadente senza avere più nessuna voglia di acquistarla. Intanto il portone si era chiuso, così come il cancello (se mai erano stati aperti). Comprese perché nessuno l’avesse più acquistata, o avesse desiderato di abitarvi. Abbatterla. Bisognava abbatterla. Assieme ai suoi fantasmi.


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