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Quanti di Poesia, e i poeti fanno boh!

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 07/03/2011 08:33:43

“Quanti di Poesia”, e i poeti fanno boh!
Pomeriggio domenicale (senza tè e biscottini) alla Libreria Odradek, Via dei Banchi Vecchi, 57 Roma, in occasione della presentazione del “quaderno di poesia” edito da Edizioni L’Arca Felice di Salerno.

Non c’è ragione di prendersela necessariamente con qualcuno se oggi le cose vanno come vanno, se la poesia propriamente detta, dopo anni che se ne discute, si è definitivamente trasformata nella sorella ancora più povera della Cenerentola delle fiabe, se non con noi stessi. Indubbiamente ci sono stati tempi migliori, ad esempio ma non è l’unico, di quando i poeti e i fini dicitori erano chiamati a esibire le loro capacità oratorie ed a far sfoggio della loro cultura, nelle corti rinascimentali. All'opposto tutto quanto accade e può accadere intorno alla poesia è benvenuto e bene accetto, e a onor del vero va detto che l’operato de La Recherche (la nostra rivista letteraria e non solo) è notevolissimo, e va inquadrato tra le attività qualitativamente migliori si facciano oggi in ambito specifico, col dare voce a quanti, poeti e prosatori, aforistici e artigiani della parola, che fanno uso della creatività del pensiero. Poeticamente parlando, che la restituiscono alla sua universalità di suono, di armonia capace di far girare le innumerevoli sfere che la compongono, quali la bellezza, la leggerezza, l’ebbrezza, la spiritualità, l’afflato, l’amore, la passione; ma anche la condiscendenza, l’assuefazione, l’impatto con la realtà che cambia, il pentimento, il dolore. Nonché gli opposti e i contrari, come la luce e le tenebre, il sentimento e l’abnegazione, amore e psiche, eros e thanatos, la vita e la morte, solo per fare qualche esempio di ciò che è capace di contenere la poesia, in breve tutto e il contrario di tutto, al punto che talvolta mi chiedo se non andrebbe scissa dalla prosa e dalla letteratura tout court. Ma poi mi confronto con certa prosa (di cui anch’io faccio largo uso) e convengo che forse le due cose messe insieme, prosa e poesia, non stonano affatto. Benvenuto dunque l’invito del nostro sponsale Roberto Maggiani a coniugare la scienza e le nuove tecnologie con la parola scritta: “nelle forme la cifra nascosta di una scrittura straordinaria”, con il quale egli pur richiama tutti noi a misurarci con le nuove opportunità che i tempi (l’epoca in cui viviamo) offrono, e non solo al poeta eclettico, ma all’uomo, come osservatore del suo tempo, di questa realtà (o fantastica irrealtà) che lo rende tale. E ha ragione lui, c’è spazio per tutto e per tutti, ancor più dobbiamo cavalcare il drago a più teste (internet, web, i-Pad, ecc.), che non basta più recidere, ma imparare a vincere e ricondurre alla nostra utilità. Un po’ come fa l’eroe di Avatar che riesce a addomesticare l’indomabile drago di fuoco, che gli permetterà infine di vincere sul male e a riportare la pace su Pandora. Ottima dunque la ragione che interpone Loredana Savelli agli altri poeti sulla leggibilità in chiave musicale della poesia, sulla aleatorietà del suono che si fa parola, e viceversa. Come pure ha affermato  l’anonimo (invitato da Leopoldo Attolico), intervenuto nel dibattito che ha fatto seguito all’incontro, sull’impostazione di un richiamo/rimando (effetto eco) del verso, onde “il suono prende il posto del sentimento che si è voluto esprimere con la parola e di rimando, fa ritorno come suono di parola recepita, avvalorato/a di sentimento e che, anzi, crea sentimento”. Un concetto questo che non va preso come un semplice gioco di parole, bensì si apre al cospetto della sensibilità di tutti coloro che, come noi, esortano per un ritorno allo stato puro della parola, (come appunto hanno detto in molti), e che dovrebbe essere il tè forte della nuova riscossa poetica che da qualche parte si avverte. Del resto i connubi tra poesia e musica, tra musica e pittura, così come tra poesia e pittura (arte più in generale) non si contano più, lo hanno bene espresso con le loro opere poeti del calibro di Rimbaud, Baudelaire, Apollinaire, musicisti come Satie e Debussy, pittori come Monet, De Chirico, Picasso, solo per fare qualche nome eccellente. Qualcuno ha portato ad esempio l’opera di Bach “Variazioni Goldberg” a parafrasare un certo variare della scena, della situazione, del momento della poesia come qualcosa di non statico, di non stabilizzato, e non a caso ha citato Glenn Gould un interprete eccezionale se vogliamo, quanto personalissimo, delle “variazioni” di cui ci ha fornito, pur nella sua breve vita, almeno due versioni, una per clavicembalo (assai ben temperato) e l’altra per piano, straordinaria e impareggiabile. Due versioni che sono due opere distinte, quasi a rappresentare l’una, per clavicembalo l’idea primaria (di Bach); la seconda la versione originale adattata al suo tempo (di Gould), incomparabili tra loro se non per l’eccesso di virtuosismo che le distingue e che, invito tutti voi ad ascoltare. In verità sono state dette poche cose sagge che ho sopra elencate, per il resto si sono sentite invettive, sabotaggi, dismissioni del tipo: la poesia va letta così, interpretata così, dichiarata così ecc. senza ravvisarvi una qualche concretezza. Ma è davvero così che dobbiamo fare così, scrivere così, leggerla così? Così è se vi pare! Avrebbe risposto Pirandello, che della libertà espressiva ha fatto un baluardo ancora non espropriato dagli attacchi della contemporaneità. Così rispondo io (un nessuno qualsiasi) a quanti hanno intenzione di inglobare la poesia all’interno di una categoria, non è oggetto da merchandising, né tantomeno da mercatino delle pulci, semmai è la pulce che può far crollare l’andamento mercatale della letteratura. E probabilmente sbaglia chi, come qualcuno ha detto, che la poesia non lo rappresenta e che forse voleva dire che non lo raffigura, semmai è vero il contrario, a sua insaputa le parole della poesia parlano per lui e di lui più che se avesse scritto il romanzo della sua vita. Lo sa bene chi ha dimestichezza con lo scrivere e il fruire letteratura, ancor più la poesia è capace di svelare (e quindi rivelare) anfratti segreti della nostra psiche più che una confessione. C’è stato anche chi ha fatto l’elogio di se stesso, ma è umano e glielo perdoniamo; ed anche chi ha fatto prevalere il proprio ego su quello che scrive, migliorando o peggiorando con la lettura di un proprio testo, quello che aveva precedentemente scritto, per cui l’inflessione della parola, il sottostare al suo peso, il rimarcare un’allocuzione, un aggettivazione, infine è risultata la somma di una investitura autocertificata. Insomma ai poeti piace (chi non lo ammette è semplicemente un ipocrita) indossare la casacca del poeta, declamare per sentire la propria voce, per sentirsi dire le proprie parole, per poi dire che non è quello che vuole o che cerca. Perché? Si domanda uno stupido come me, non riusciamo ad essere veri, vivi, sinceri neppure con noi stessi? Che cosa c’è di banale o di recriminatorio ad ammettere di essere chi si è, a fare le cose banali del quotidiano come chiunque altro, che pure è chiamato a testimoniare della propria esistenza su questa terra, in questa logora società, su questo sporco mondo in cui viviamo? Ve lo dico io: niente! Quindi smettiamola di fare i piagnoni o di prendercela con un ipotetico qualcuno che è causa della nostra alienazione, e impariamo, una volta per tutte a denunciare tutto quello che c’è di contrario ai nostri principi, coscienti che sono i nostri principi, che non sono necessariamente quelli degli altri e, soprattutto, che non sono universali. Chi qualche volta ha affrontato le delizie e le peripezie di un viaggio in altri continenti, ben sa che altre popolazioni, altre etnie, e quindi altri esseri umani la pensano esattamente all’opposto di noi, e non è detto che non siano nel giusto, che in qualche modo non abbiano ragione. Ce lo ha insegnato Marco Polo e siamo comunque in gran ritardo sul quindi, che non possiamo mettere un punto fermo su nessuna delle cose del mondo in continua evoluzione, così come è stato ribadito dall’eclettico Roberto Maggiani sponsor e organizzatore dell’evento che ha visto l’intervento di un gran numero di persone, addetti ai lavori e avventori della Libreria, che ne hanno decretato il successo che meritava. Un encomio, se vogliamo, va alle Edizioni L’Arca Felice di Salerno e alla direttrice editoriale Ida Borrasi per il suo impegno (non indifferente di questi tempi) a proporre e a divulgare la poesia contemporanea con la sua Collezione di arte-poesia intitolata Coincidenze, di grande pregio tipografico e stilistico per le scelte oculate ma anche rappresentative di gran parte del patrimonio poetico italiano. Il volume “Quanti di Poesia” si attesta quindi come un ottimo veicolo promozionale “con la duplice finalità di promuovere sia le peculiarità del singolo autore, sia un discorso critico globale, perseguendo l’intento di tracciare un possibile itinerario che presenti le voci più interessanti della poesia contemporanea”.

Una nota a parte va indirizzata alla fotografia in bianco nero (ma anche a colori) di Paolo Maggiani,dinamica, essenziale, essenza di un arte talvolta interstiziale che fa dell'oggettività una parabola creativa fino a raggiungere gli strati dell'immaginazione, tipica di altre discipline quali la musica e la poesia. Complimenti per la scelta degli scatti che illustrano e valorizzano il volume (peccato che non gli sia stato dato un nome).

Agli intervenuti i miei complimenti e un grazie per tutto ciò cui, con il loro fare poesia, ogni volta ci fanno dono,(peccato però che siano mancati i biscottini).





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