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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Oscar e la dama in rosa

Romanzo

Eric-Emmanuel Schmitt
BUR

Recensione di Lorenzo Roberto Quaglia
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Pubblicato il 30/11/2010 12:00:00

Una preghiera a Dio scritta da un ragazzino di dieci anni negli ultimi dieci giorni di vita.
Grazie alla misteriosa presenza della Dama in rosa, la Madre spirituale che intercede per lui nei confronti della Vita, Oscar vede compiersi il proprio tempo, nonostante la malattia, attraverso la malattia, in dieci giorni.
Oscar, tenuto per mano dalla Dama in rosa, attraversa il mondo dei sentimenti, delle esperienze, della vita, da una camera di ospedale (un giorno uguale a dieci anni) in compagnia dei suoi amici malati, dei suoi genitori disarmati, del medico scienziato che non sa accettare di aver fallito la cura e tutto alla fine trova la giusta collocazione sul palcoscenico dell’esistenza.
Oscar si rivolge a noi genitori, che copriamo di regali i nostri figli anziché donare loro cinque minuti del nostro tempo. Dice Oscar: “Quando mi sono svegliato, ho visto che, naturalmente, mi avevano portato dei regali. Da quando sono ricoverato in permanenza all’ospedale, i miei genitori hanno qualche difficoltà con la conversazione; allora mi portano dei regali e trascorrono dei pomeriggi schifosi a leggere le regole del gioco e le istruzioni per l’uso. Mio padre si accanisce nello studio dei foglietti illustrativi: anche quando sono in turco o in giapponese, non si scoraggia. E’ campione del mondo del pomeriggio domenicale sciupato.”
Oscar si rivolge a Dio, che all’inizio della storia non conosce (i suoi genitori credono a Babbo Natale) e in dieci giorni arriva a scriverGli: “Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo l’impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel cuore del mistero a contemplarlo. Grazie. A domani, baci, Oscar”.
Schmitt in fondo scrive all’uomo di oggi, sia esso sano o malato (ma non siamo tutti malati d’infinito?), medico o paziente (ma non siamo tutti bisognosi d’amore?), genitore o figlio (ma non siamo stati tutti figli una volta?) e a quest’uomo vecchio di duemila anni che sembra aver smarrito la propria identità sussurra con la voce di un ragazzino di dieci anni: “Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo. All’inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho cent’anni, so di che cosa parlo.”
E noi lo sappiamo?
Un romanzo da tenere sul comodino per tutta la vita.

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