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Incubi Infantili

Argomento: Psicologia

di Teresa Nastri
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Pubblicato il 30/04/2014 20:05:14

Incubi infantili - Minacce e  Strategie di Autodifesa

 

Sapevo che stavo sognando e che i mostri (spiriti maligni o imprecisate entità di cui avvertivo la presenza, ma che sfuggivano ad una vera identificazione) non erano reali. Ma tale sapere non esorcizzava la mia paura. Dovevo contrapporle una strategia adeguata: l'autosuggestione (allucinatoria?). Riuscivo a raffigurarmi un rifugio, impossibile a causa dell'impenetrabilità dei solidi - che pure era nozione presente come parte costitutiva della mia conoscenza del mondo reale. Con uno sforzo di concentrazione immaginavo di penetrare nel muro che delimitava, da uno dei lati, il viottolo attraverso il quale tentavo di sfuggire al nemico. Era faticoso ma necessario, perché l'angoscia diventava intollerabile. Se fossi riuscita a convincermi di essere totalmente nascosta nella parete - come inghiottita, ma protetta da essa - avrei creduto anche che l'inseguitore non mi avrebbe vista.

In fondo, non facevo che attuare la sostituzione di una fantasia negativa con una positiva, sapendo che della prima non potevo disporre in maniera diretta - quasi si trattasse di una scheggia impazzita della mia psiche, essa era al di fuori di ogni controllo. La fantasia positiva, invece, era determinata - consapevolmente - dalla coscienza razionale, tuttora (almeno in parte) attiva e vigile.

Si può paragonare quell'attività al processo di rimozione dell'IO nei confronti dei materiali "indesiderati"? A me sembra essere lo stesso meccanismo, ma attivato all'inverso. Anziché alleggerire la coscienza di una realtà (per essa) temibile, si sottrae la coscienza all'arbitrio della fantasia temibile.

Nel primo caso, però, l'operazione comporta la necessità dell'oblio della realtà rimossa, da parte della coscienza. Nell'altro, ciò non è necessario (infatti al risveglio ricordavo tutto con grande chiarezza), poiché la rimozione , qui, agisce su una fantasia, che non potrà più nuocere con la stessa forza di un dato reale. Alla luce del “principio di realtà”, il ricordo del fatto indesiderato si trasforma in minaccia persistente, mentre la fantasia onirica è destinata al dissolvimento.

La stessa paura di forze irrazionali, rappresentate quasi sempre sotto forma di strega (mi era stato assegnato tale soprannome da mia madre, fin dalla prima infanzia), mi alitava intorno anche nella vita reale e si materializzava nelle ore serali e nelle situazioni classiche  per le paure infantili. Fra essa e la mia psiche si instaurò presto un rapporto dialettico articolato. Leggevo e ascoltavo avidamente racconti paurosi. Fra i miei giochi preferiti (tutti più o meno vertevano sull'attività di rappresentazione: teatro, cerimonie, ecc.) c'era quello di recitare appunto la parte della strega, in scene improvvisate sul pianerottolo di casa o sulla piazzola antistante l'ingresso principale dell'edificio che la conteneva. Sembra che riuscissi ad apparire così "cattiva" da spingere la mia amichetta (l'unica con cui la situazione abitativa del tempo mi consentiva di avere rapporti quotidiani) a scappare urlando di terrore alla vista della mia faccia teatralmente atteggiata.

D'altro canto - forse in una fase appena più matura - lottavo contro tali angosce, ragionando con tutta la forza della logica di cui ero capace sulla irrealtà delle forme  che ad esse davano origine.

Ricordo che un giorno (avrò avuto 8 - 9 anni), un po' prima dell'imbrunire, mi affrettavo verso casa per non farmi raggiungere dalle ombre in condizioni tanto svantaggiate: ero sola, la lunga sequenza di rampe che mi separava dal portoncino d’ingresso a quell'ora era deserta e, proprio perché mi era oltremodo familiare, sapevo che essa disponeva di anfratti o nicchie dove il nemico poteva annidarsi; a volte mi era accaduto perfino di leggere  in certi spigoli un profilo o un sembiante "da strega". Sentivo tutto il peso della mia vulnerabilità nei confronti di quel tipo di paura. Lo sentivo come fortemente inabilitante, considerato il mio temperamento vivace e notoriamente "spericolato": ero curiosa di tutto, portata a misurarmi con ogni tipo di difficoltà e ostacoli, al punto da essere considerata un problema dagli adulti di casa e del vicinato.

Ne andavo ragionando, fra me e me; mi dicevo di sapere per certo che le streghe non esistono nella realtà, e che ciò sarebbe dovuto bastare a non farmele temere. Ma giunsi alla conclusione che, sebbene le streghe non esistessero, esisteva e persisteva pur sempre la mia paura - a meno che non fosse essa pure una mia immaginazione... E che, in fondo, immaginazione poteva essere anche il dolore che sentivo nel darmi un pizzicotto, per provare a me stessa di essere un'entità reale (fisica? psichica? non ero in grado di affrontare in termini così netti una tale questione - o comunque non ricordo di averlo fatto), capace di dare vita a queste stesse fantasie. Giunsi così a una specie di "timeo ergo sum": se non fossi stata reale, ma solo un fantasma – una idea di paura generata dall'immaginazione delle streghe - chi, se non io, avrebbe immaginato la paura e il dolore del pizzicotto?

Più in là, non seppi procedere. In qualche modo presentivo come un vuoto cosmico, in cui non resterebbe che gettarsi, per spegnere in un colpo solo tutte le paure e il dolore del mondo.

Più tardi, passai alla strategia del superamento per esposizione diretta e volontaria. Ad esempio, scavalcando il cancello di un cimitero di campagna verso la mezzanotte, in seguito ad una scommessa con amici - e altre prodezze analoghe. Ma ero, credo, sui 16 anni.

 

                                                          ****

Riflessioni e tentativi successivi di analisi dei fenomeni psichici descritti, che agitavano la mia vita di bambina

- L'angoscia nasceva dall 'idea della strega (alla cui esistenza, peraltro, sapevo di non credere);

- “la strega", per mamma, ero io;

- mamma (pensieri latenti-inconsci?) non mi voleva tutto il bene che avrei desiderato, perché mi considerava un problema  (anche se non ero propriamente una “ribelle”);

- la mia angoscia (Angst, paura) era espressione del senso di colpa nei confronti di mamma, oppure introiettavo il suo disagio, per punirmi del mio temperamento troppo vivace?

- Nel sogno tentavo di "nascondere" (neutralizzare, depotenziare?) la paura di me stessa... la "strega" cattiva?  Per punirmi del dolore causato a mamma o per rendermi degna di tutto  il suo amore?

 [A ben riflettere, tutta la mia adolescenza e la prima giovinezza - nonché parte dell'età adulta - è stata segnata da una forte tendenza all’autonegazione - che ha assunto man mano connotazioni morali, estetiche, filosofiche, ecc.]

 

Ulteriore riflessione ( o intuizione successiva )

Uno degli elementi forti della rappresentazione onirica – il solo a non potersi dire per immagini, ma sempre fortemente presente in forma di sensazione ( propriocettiva ?) - è la difficoltà, lo sforzo della volontà necessario, la fatica che richiede ogni volta l'operazione che mi deve sottrarre alla vista del nemico. Sarebbe, questo, null’altro che l’effetto della dolorosa azione di auto-censura, necessaria a contenere (in fondo, non a eliminare del tutto, ma a rendere meno esuberante – in effetti, a nascondere, ossia “reprimere”, ), la parte di me che so essere all'origine della disapprovazione materna? Operazione faticosa proprio perché rivolta contro una parte decisamente caratterizzante della mia indole, come dimostra il fatto che essa si manifesta con tanta esuberanza?

A questo punto è legittimo il sospetto che qualche elemento traumatico, mai svelato, agisse nel mio inconscio: possibile che solo la mia vivacità di temperamento provocasse quegli atteggiamenti di mia madre, che causarono una ferita profonda, tanto da rischiare spesso vere e dolorose fratture? Di un episodio particolare ho ancora chiara memoria, ma avevo, credo, 10 anni, mentre i miei incubi erano iniziati molto prima. Tuttavia, a ben rifletterci, la questione delle varie età, per la prima volta, comincia a sembrarmi dubbia.

 

P:S: Già nel sogno l’uomo è ermeneuticus,  perché collega immagini a sensazioni e pulsioni biologiche. Nel frattempo è cambiata la concezione del sogno: da mascheratore si è trasformato in ordinatore, costruttore.

 

 


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