Eppure la memoria non trattenne
che l’immagine e la torre
nera, come nera
fu la fiamma rivelata:
cosa disciplina il verso? la distanza
antica da un’antica corruzione?
Fu la notte onnipotente a domandare
oltre la soglia del senario.
Il mio aborto è il mio profeta, non è altro
che la sillaba mai stata. Altrove
mi appartenne la vocale, quella prima
del giardino in cui a tutto diede nome
Adamo, stabilendo la misura
del medesimo e dell’altro.
Ma la stirpe
scorre nei letti del tradimento
Impervio è il passo dell’amore
sconfessa i cerimoniali della devozione
Nessun torace scalfì un cesello
nell’industria litica del tempo
se non per l’amaro zoccolo di Giuda
se non scuotendo i calzari
acerbi
d’eresia gramigna
dalle sacra ceneri della dimora dello stipite
Così, questa vicenda si fa tra i bardi
tenuta insieme con spago di fortuna
e viticci di nenie
aromatiche e rampicanti.
Solo l’ipogeo del sogno
dipana i mangroviali
sciogliendo la porpora aborigena
su rotoli di pergamene intraducibili:
qualora la tosse appassisse
i boschi d’Arcadia, diremmo
che il padre del padre del poeta
ha perduto il talento del seme.
Ma il corvo, il bisonte e l’ariete
nel misfatto la carne dell’astro
divorano, e no, non è scempio:
la luce di Sirio è la morte
del grano, è la fiamma
e l’olocausto romano.
Necem ovium, canorum
et maestum vinum habemus.
Clipei nobis, alalà!
Scongiuriamo la dozzina smaltata
l’Apollo svenduto all’ingrosso delle rune
Le transumanze celate dal drappo
belano l’alterne fortune del bivacco
Siedi presso la vora che conduce
l’acqua ai sotterranei del tufo miliare
Concedi l’inguine
al morso del ragno
che conosce i rari nomi del primitivo veleno
E cedi intatto
al dedalo storto del patto omeopatico
Ca ci nu trùei lu filu
ci nu trùei lu filu
alla taranta
alla taranta
alla taranta nu ci balla
e rideremo della colpa, quando
ordineremo la sillaba segreta
tra l’amore e la miseria, l’altro segno
a manifesto del mio angelo:
donatemi la danza, il flauto antico,
intonate la parola nella lingua
che è dell’Ellade e rivela
quel che ignora questo verso.
Dite: “non conobbe mai la neve”,
e sia questo l’epicedio.
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Gli autori di questo testo sono Mattia Tarantino e Luca Crastolla
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