Passando in auto fuor dal cimitero,
città nella città,
affitti bassi da scarso acquisto,
ci siamo accorti come non tutti i cari estinti
abbiano compreso d’esser morti.
Urla, lacrime e sussurri,
col mite borbottio dei men buzzurri,
rincorrono voli di farfalle,
simili alla monotonia costante
dello scolorir d’un vecchio scialle.
C’è il vecchio maresciallo dei carabinieri
che, non ancor abituato agli stranieri,
chiede a gran voce, sull’extracomunitario,
duri divieti di cippo funerario.
C’è la fanciulla, spirata adolescente,
che passa la giornata a non far niente,
tappezzando a foto di giornale
i muri della sua stele tombale.
C’è il maniaco, fresco di cassa,
che, non ancor arresosi alla fossa,
vaga narrando a tutti di com’è bella
l’orrenda vista della sua cappella.
C’è la ninfomane in tuta da tennis
presa a saziarsi di rigor mortis
cercando di sfruttare, con disinvoltura,
i vantaggi propri della sepoltura.
Perché – mi dite- è inverosimile che vivano i defunti,
in barba ai beccamorti,
se voi che v’ostinate a dichiararvi vivi,
vivete come foste morti?
[Carmina non dant damen, 2012]
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