La democrazia dell’amplifon corre tra i banchi dei mercati rionali: «accattatev’illo!»,
urla il garzone dell’ortolano annunciando la repubblica dei finocchi,
sbraita il tronista, intronato sul trono del Maria De Filippi Show,
richiedendo telegeniche assoluzioni o condanne a boati abbonati,
allo stadio, l’eccezione è un minuto di silenzio, la norma il cantar nel coro,
in migliaia a strillare, a ritmo, come mongoli dell’Orda d’Oro.
La democrazia dell’amplifon corre sugli scranni parlamentari: «mortacci!»,
urla er cafone de destra al baronetto (finocchio) di estrema sinistra,
sbraita il camorrista, nella gabbia del maxi-processo, augurando il decesso
del giudice (comunista), davanti al sommesso ronzio delle videocamere,
applausi ai funerali, alla performance del defunto?, applausi ai generali,
applausi rumorosi al silenzio sulle centinaia di vittime collaterali
dei rumorosi bombardamenti a tappeto, volante, delle aviazioni liberali.
La democrazia dell’amplifon corre in mezzo ai palchi degli artisti: «va’ in mona!»,
urla l’eminente scrittore (saccente), sbattendo la porta del poetry slam
sordo al rumore di sfondo «poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve»,
sbraita il muezzin dal minareto a sponsorizzare l’islam,
accompagnato dall’ingioiellato arcivescovo di Milano, ite, missa est, e taches al tram,
strepiti ai semafori, grida ai cortei, alle riunioni condominiali schiamazzi tipo duracell
la democrazia dell’amplifon si regge sulla monarchia del decibel,
subordinando all’amplificazione il valore d’ogni argomentazione.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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