La burocrazia, madre di ogni stato civile, senza civili smentite,
ha finalmente emesso un nuovo decreto sul valore sociale dell’arte
da lasciare in bella vista, in sede prefettizia, sotto lussuosi fermacarte,
in materia d’emissioni artistiche massime consentite.
La certezza è che qualsiasi forma d’arte sia fonte d’avvelenamento
onde l’urgenza decretomaniaca di una inavvertita mitridatizzazione (della popolazione),
ha condannato il senatore del Molise a un quarto d’ora di santa abnegazione,
fino a scomodare i sonni sacri dei membri del nostro Parlamento.
Si ordina il fallimento di tutte le case editrici di modeste dimensioni,
di tutte le associazioni a scopo culturale, dei giornaletti di rione,
caso mai, con la cultura, ci scappino rivoluzioni,
l’ultimo exit-poll mostra che il mix tra Faletti e Fabio Volo conduce a sedizione.
I nove senatori intervenuti al dibattito e alla votazione,
hanno equivocato, con inattaccabile tempismo:
verso l’arte l’italiano medio non ha nessuna vocazione,
essendo destinato a morir di decretinismo.
[M’è sfuggita un’altra occasione di tacere in rima,
che l’amico Giorgio rimprovera rima telefonata - come a menare il Kant per l’aia-;
non si addicono, effettivamente, tentativi di rocambolare, con ‘sto clima
di correnti intercettazioni di Telecom Italia].
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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