Più che creare una nuova lingua,
culterana, intinta nel barocco iberico,
rannicchiata sulla breve tabla anatomica
dell'acuto medico Luis de Gongora y Argote,
fuori dall'ordinario, nell'amore dei miei mostri
mi limito a cercare idiomi da slinguare,
mettendo all'indice nostalgie da fanciullini
e seti di futuro,
scandendo i passi dei miei versi
al suono del tamburo.
Perso tra i fiori dell'immediatezza,
chiuso nelle stanze d'una donna vizza,
bisso la mia fuga dalle finestre del cesso,
uomo indeciso tra noie dell'onore e monotonie del sesso,
non abbandonandomi all'adorazione
del binomio moderno Prozac/Platone,
e scrivo, fascia nera al braccio,
dalle terre solitarie di chi è solo,
senza infondervi coraggio.
[Lame da rasoi, 2008]
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