Tito Livio, contro Polibio, si compiace
di spiegarci il destino di Siface.
La cronaca: raccontiamo i meri fatti
come farebbe Govoni coi suoi fiori soddisfatti.
Gli antefatti: Scipione attiva Massinissa e Lelio
contro un Siface costretto a dare er mejo.
Per Siface, in Magnos campos, è amarissimo il boccone
d’essere sconfitto al Bagrada insieme ad Asdrubale Giscone:
Postero die Scipio cum omni Romano et Numidico equitatu Masinissamque Laelium
expeditisque ad persequendos Syphacem atque Hasdrubalem mittit militum.
Catturato Siface la resa di Cirta è certa
i cavalieri di Lelio stravincono in trasferta
la disfatta è colpa di Siface: nisba!
ci finisce in mezzo Sofonisba
costretta a ingurgitare una tazza di veleno
come nel Critone fece Socrate senza esserle da meno.
Scipio C. Laelio cum Syphace aliisque captivis Romam misso, cum quibus et Masinissae
legati profecti sunt, ad Tyneta rursus castra refert ipse.
Siface è imbarcato verso Roma, caput mundi
incarcerato da una catena di gerundi,
a Zama c’erano Mazetullo e Ticheo e Siface stava a Tivoli
Annibale ebbe volatili da diabetici, cioè cazzi amari, e a Cartagine furono davvero cavoli.
Morte spectaculo magis hominum quam triumphantis gloriae Syphax est subtractus,
Tiburi haud ita multo ante mortuus, quo ab Alba fuerat traductus.
Dove stanno bene i fiori? In un vaso:
non servivano ventisei versi a distruggere il Parnaso.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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