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Voyage autour de la femme

Narrativa

Ignazio Apolloni
Coppola Editore

Recensione di Francesca Luzzio
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Pubblicato il 22/11/2011 12:00:00

Voyage autour de la femme è il terzo della trilogia di epistolari dedicati da Ignazio Apolloni alle donne e all’amore. Precedono L’amour ne passe pas del 2006 e Lettres d’amour à moi meme del 2007.

Tutti hanno un titolo in francese, ma di tale scelta non ne sappiamo la ragione, anche se ci viene spontaneo avanzare qualche ipotesi: un omaggio a Prevert, il più grande poeta d’amore del secolo scorso? La musicalità avvolgente della lingua che ben si presta a connotare le tematiche in oggetto? Ipotesi, pure illazioni che spetta ad Ignazio confermare o smentire, per darci la vera chiave di lettura intorno all’uso del francese,come lingua prediletta per i titoli di tali opere.

L’amour ne passe pas è l’epistolario che segna l’incipit della serie, tale frase però non è solo un titolo,infatti a nostro avviso assume una valenza programmatica, è un’asserzione che diventa categoria morale dell’arte e della vita di Ignazio.

Che cosa, se non l’amore spinge l’artista alla vulcanica ed intensa attività letteraria? Che cosa, a promuovere e a rendere visibile, ancora di più rispetto a quando era in vita, la sua Vera se non l’amour che ne passe pas? Partendo da questi presupposti, ci attendiamo per il prossimo futuro un “Amour pour ma femme”,opera con la quale l’autore, tralasciando la frammentarietà necessariamente connessa alla pluralità delle destinatarie, trasformi l’epistolario in una sorta di monologo che “messa a nudo” l’anima del mittente, esplori e parli di questo intenso legame umano e culturale che ha legato e lega ancora lui e la sua donna.

Il romanzo epistolare ha avuto larga diffusione nel Settecento e nell’Ottocento, basta ricordare la Clarissa e la Pamela di Richardison, La nouvelle Eloise di Rousseau, o ancora I legami pericolosi di Laclos, o I dolori del giovane Welter di Ghoethe e Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo, per poi scendere giù sino al tardo Ottocento ed arrivare ad O. Wilde con il Deprofundis ed a Stoker con Dracula e, per tornare nell’alveo nostrano, a Verga con la Storia di una capinera, o con racconti, come Fantasticheria. Se non vogliamo limitarci a parlare dei secoli di maggiore fioritura, possiamo aggiungere che l’epistola, almeno sino ai tempi di Platone era un genere praticato in ambito filosofico; in epoca ellenistica furono pubblicate le lettere di A.

Magno e anche Epicuro affidò la divulgazione di gran parte del suo pensiero alla forma epistolare,inoltre nelle scuole di retorica, oltre all’oratoria veniva insegnata la epistolografia. La letteratura latina ebbe un ampia presenza di tale genere, basta ricordare le epistole di Cicerone,di Orazio,di Ovidio, di Seneca,di Plinio il giovane, per arrivare a quelle di età tardo-antica di Simmaco.

Nel Novecento e in questo incipit del nuovo millennio, continua la fortuna del genere, a cominciare da Kafka con la sua Lettera al padre e poi Piovene, Lettera di una novizia; Malerba,Le lettere di Ottavia, Arbasino e il suo racconto epistolare Anonimo lombardo; negli anni settanta N. Ginzburg pubblica Caro Michele e La città e la casa :due storie affini caratterizzate dall’assenza di figure maschili in grado di ricoprire il ruolo paterno e dal disfacimento del senso della famiglia,mentre O. Fallaci Con la lettera a un bambino mai nato, propone il travaglio di una donna di fronte ad una maternità inaspettata. Un caso a sé è A. Moravia che negli anni compresi tra il 75 e l’81, in qualità di corrispondente del Corriere della sera pubblica le sue”corrispondenze”, in pratica delle lettere, con il titolo Lettere dal Sahara. All’alba del nuovo millennio viene pubblicato da Tabucchi il romanzo “Si sta facendo sempre più tardi”: una rielaborazione concettuale del tema epistolare come voce dell’interiorità, della riflessione; completiamo questo veloce ed incompleto excursus con la citazione delle attualissime corrispondenze di Tiziano Terzani che con le sue Lettere contro la guerra ci descrive cosa avviene in Afganistan e come vive e cosa pensa la gente del luogo; infine, a buon diritto, rientra in questa rapida elencazione la suddetta trilogia del nostro Ignazio Apolloni, intellettuale poliedrico dotato di una formazione culturale varia ed approfondita,capace di spaziare in ambiti diversi,idonea a scrivere e a discettare sulle tematiche più eterogenee. D’altronde la singlosia esige l’ interartisticità, anzi è meglio dire l’interculturalità visto che essa non prescinde da altri ambiti dello scibile che abitualmente artistici non vengono considerati.

 La narrazione epistolare di solito si costruisce o attraverso lo scambio di lettere di più personaggi o attraverso le lettere del solo protagonista-emittente. Nel primo caso, si ha una molteplicità di punti di vista: un stessa persona può essere descritta da angolature diverse, a seconda del carattere o della disposizione psicologica di chi scrive la lettera; nel secondo caso la lettera tende a diventare un diario intimo,infatti il destinatario si riduce ad entità del tutto convenzionale ed il testo non è che un monologo del protagonista che parla solo a se stesso. Comunque, in entrambi i casi, la narrazione è di fatto al presente ed i narratori sono gli stessi personaggi che raccontano le loro vicende o descrivono i loro sentimenti nel momento in cui li vivono o li hanno vissuti; il futuro è ancora sconosciuto e perciò del tutto aperto. Ciò favorisce l’immediatezza drammatica e consente di seguire nel suo farsi lo stato d’animo dei personaggi-narratori.

Esempi della seconda forma di scrittura epistolare sono i già citati, Dolori del giovane Werther di Goethe e Le ultime lettere di J. Ortis di Foscolo; entrambi sono ascrivibili al sottogenere del romanzo perché attraverso lettere narrano una storia d’amore e i relativi sentimenti, emozioni, fatti che tali amori accompagnano, inoltre ci immergono nel contesto storico-culturale dell’epoca in cui gli eventi avvengono e, alla fine, quel particolare contesto è l’elemento condizionante il rapporto amoroso: né Werther, né Jacopo riescono a sposare le donne amate perché entrambi sono degli spiantati non adeguatamente inseriti nel loro contesto. Gli epistolari di I. Apolloni non raccontano una sola storia d’amore,ma tante, una per ogni destinataria delle lettere,ognuna con una sua specificità,derivante non solo dalla diversa vicenda e dalle diverse personalità delle donne, ma anche dal diverso tipo di amore che il mittente vive per ognuna di loro. D’altra parte il vario modo di amarle è strettamente connesso alla diversità dei loro interessi,al diverso modo in cui ognuna di esse vive la propria femminilità.

Non solum sed etiam, le donne a cui scrive sono morte, quindi trattasi di amori persistenti,nonostante l’assenza della fisicità, quindi quest’ultima è qualcosa a cui il mittente-narratore-autore non è affatto interessato, l’attenzione nei loro confronti non è insomma sollecitata dall’eros. Ciò che conta è l’ idea, il valore o il disvalore che ogni donna incarna, la fantasia che lei desta: sono tali elementi “gli oggetti del desiderio”e, proprio perché trattasi di un interesse del tutto astratto,di un amore,potremmo dire, intellettuale, il mittente può rivolgersi a donne morte, che hanno già vissuto la loro storia e di conseguenza non essere, come nei due romanzi suddetti, anche protagonista,ma narratore esterno che intervista, che propone nelle sue domande-indagine l’esplicazione tutta intellettuale del suo amore, della sua curiositas. Forse è reale ciò che realmente è? No, è reale nel bene o nel male ciò che si lascia, l’eredità del nostro agire, qualunque sia l’ambito nel quale lo abbiamo esplicato: è questo che diventa imperituro,destinato ad esserci “finché il sole illuminerà la terra” si può dire, parafrasando la conclusione dei foscoliani Sepolcri, se l’artista darà ad essi voce. Ignazio esplica attraverso i suoi epistolari tale funzione eternatrice e contribuisce ad accrescerla non solo nei confronti delle già famose destinatarie, ma anche nei confronti di se stesso, quindi emittente e destinatarie trovano l’uno nell’esserci, le altre nell’esserci state la ragione che li consegna al futuro. Il “dasein”,ossia l’esserci a cui ci si riferisce però non è quello heideggeriano che, pur nella sua intenzionalità e nel suo trascendere, rinvia comunque alla consapevolezza della morte e perciò all’angoscia,ma l’impegno di Sartre che implica il superamento della nausea,dello smarrimento dell’uomo di fronte alla gratuità dell’esistere e il sorgere di un nuovo umanesimo, cioè di una nuova valorizzazione dell’uomo, attribuendo a lui ogni potere di determinazione. Di conseguenza,è l’esplicazione di tale potere che Ignazio indaga e vuole conoscere; Il mistero che la donna racchiude in sé nel donarsi o rifiutarsi attraverso l’amore, il desiderio di comprendere appieno e penetrare nella poliedrica sensibilità e nelle ragioni che determinano il suo agire nel mondo e nella vita, sono forse le ragioni inconsce che lo spingono a questa esplorazione che possiamo anche definire espressione inesauribile di amore nei confronti della donna, infatti dedicare tante opere all’altra metà del cielo non può essere altro che manifestazione di amore che si rivela pur nell’assunzione di un atteggiamento talvolta giudicante e comunque non condividente. Ma viene anche spontaneo chiedersi se la condizione di non completezza che l’essere maschio o femmina comunque determina,non sia la ragione che guidi lo scrittore ad interrogare ed ad interrogarsi, a condividere o disapprovare percorsi di vita di tante già rinomate donne, quindi chiedersi se sostanzialmente non sia l ’amore di sé (e, non a caso il secondo volume si titola “Lettres d’amour à moi meme”), il desiderio di completezza che, attraverso la narrazione epistolare cerca di carpire, fagocitare ciò che ancora gli manca per sentirsi totalmente pieno, totalmente “habere e non haberi”. Certo molto manca, per fortuna, in Ignazio del decadente esteta superomista di dannunziana memoria,ma sicuramente c’è in lui una egotistica insaziabile esigenza di pienezza di essere che lo induce a risvegliare le rinomate morte affinché attraverso esse, possa capire come mai la costola di Adamo sia così diversa dall’Adamo da cui pur deriva. Ma capire vuol dire conoscere e conoscere possedere e perciò pienezza di esserci,senza per questo snaturare la propria alterità e in genere la dualità che caratterizza i generi viventi.

Lo stile mobile, ironico, che non disdegna il citazionismo, che mescola linguaggio medio-alto e linguaggio comune,legato al gergo della contemporaneità consumistica e globale, talvolta autoreferenziale, visto che il mittene ama anche commentarsi e interrogarsi,oltre che interrogare,contribuisce a rendere il Voyage autour de la femme, un’opera accattivante,che non può non destare l’interesse del lettore, destinatario reale di ogni forma di scrittura.



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