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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Andrà tutto bene

Romanzo

Stefano Iannaccone
La Bottega delle parole

Recensione di Antonio Piscitelli
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Pubblicato il 17/02/2012 12:00:00

AVVERTENZA PER I LETTORI DI QUESTE NOTE

La casa editrice “La bottega delle parole” è al suo primo titolo. Un titolo, ritengo, di tutto rispetto.  Sono tutti giovani quelli che stanno tentando l’avventura editoriale. Occorre fare due cose: sostenerli e farli conoscere. È il solo modo che abbiamo, noi comuni lettori, per incoraggiare i nostri ragazzi, al di fuori e a dispetto delle false mediazioni del mondo politico. Consiglio di non demordere dinanzi alla difficoltà di reperire il libro che suggerisco. La distribuzione è scarsa, se non inesistente.  Insistete e sarete ben ricompensati da una buona lettura. 

 

«Conoscersi è riconoscersi»

 

            Avete mai visto le lastre di una tomografia computerizzata? Se la direttrice di investigazione è il piano assiale, il nostro corpo vi è ridotto in tante fette, né più né meno che un salame. La direttrice coronale, invece, ci riduce a piatte lamine fronto-dorsali il cui piano mediano disegna perfettamente la sagoma del nostro corpo, più o meno alla maniera dell’uomo vitruviano. La terza direttrice è quella detta sagittale, da destra a sinistra. Se il tutto viene affidato a un apposito software, questo ti ricompatta in 3D e tu ti ritrovi integro, ma violato nei più intimi recessi. Ci guardano dentro, dalle tre possibili dimensioni, beninteso per scopi diagnostici. E tuttavia, prima che scienza e tecnologia arrivassero a tutto questo, vi è arrivata l’arte figurativa, nella fattispecie di quel cubismo analitico che, scomponendo  la prospettiva, ha rivelato la faccia nascosta delle cose.

            Ecco, se dovessi trovare il prototipo del bel romanzo che Stefano Iannaccone pubblica per “La bottega delle parole”, direi che ci troviamo dinanzi alla versione letteraria della pittura cubista, rivisitata alla luce dell’intenso dibattito letterario del XX secolo. Solo che, nel nostro caso, non si scompone la realtà fenomenica, ma si scandagliano sentimenti e emozioni, segnatamente quella cosa complessa che chiamiamo amore. L’opera, tecnicamente, si presenta come un’enunciazione a più voci e dunque una scomposizione della prospettiva. C’è, ovviamente, il punto di vista dell’autore insito in una sensibilità estetica che negli intercalari, nelle iterazioni, nella sintassi scarna sa farsi stile funzionale all’universo giovanile che intende rappresentare, tranne poi affluire a pagine di elevata grazia e raffinatezza via via la narrazione procede. Costruisce immagini e atmosfere, direi, brillantemente, tanto da darti l’impressione che l’universo dei trentenni ti si componga davanti agli occhi, benché non sia mai veramente descritto o introdotto. C’è poi una voce narrante, quella del protagonista Marco, che in realtà è duplice perché, mentre si racconta, dà dritte al lettore nella forma della “excusatio non petita”, retorica perché, a legger bene, sembra più una perorazione finalizzata a intenerire il lettore preteso fuggitivo dagli “stralci di vita” dello sfigato locutore. Dice questo, in buona sostanza: «Caro lettore, ti consiglio di non leggermi, se non vuoi essere trasformato in una statua di sale». Fin dai tempi biblici, quando voi ponete un divieto del genere, invitate a nozze. Non otterreste lo stesso risultato se, invece di vietare, costringeste. È chiaro che noi ce ne freghiamo dei suggerimenti del narratore e proseguiamo, ben consapevoli delle conseguenze. Sono millenni che diventiamo di sale e non sarà certo un artifizio retorico a farci demordere. Per fortuna, visto che vale proprio la pena andare fino in fondo.

            A imbrogliare la matassa si mette la seconda voce narrante, quella di Fabiana, la quale si racconta e intanto dice di Marco. Si tratta prevalentemente di flash back ad avvicinamento progressivo. Sul finale i due co-protagonisti si specchiano a distanza, in contemporanea: siamo all’oggi narrativo, che ovviamente chiude il libro, non la vicenda. A queste due voci dovete aggiungere quelle di altri personaggi minori, i quali s’esprimono con lettere, biglietti, sms o con l’immediatezza del dialogato. Infine ci siamo noi, col nostro bagaglio di conoscenze e esperienze, che dobbiamo godere del racconto e della sua resa letteraria. Iannaccone è molto preciso, ci lancia segnali inequivocabili. I font cambiano col mutare della prospettiva.

            Fin qui la tecnica. Ma qual è la materia? Uno sguardo di superficie ci farebbe dire che il tema di fondo è la condizione variamente instabile dei trentenni di oggi. Così ci inducono a credere le poche note editoriali. Non è così. A dispetto delle apparenze, il tema non è d’attualità, ma di condizione. È pur vero che le coordinate spazio-temporali rendono la vicenda prossima a noi e all’esperienza dei nostri giovani universitari e post-universitari, disoccupati, sottoccupati o precari che siano. Il tema, direi, è ricorrente, nel cinema, nelle inchieste giornalistiche, nelle opere letterarie di recente produzione. Il che farebbe del romanzo di Iannaccone la pedissequa riproposizione di una solfa noiosa. Ma il libro non annoia, non solo perché lo stile dell’autore è fascinoso, ma perché attinge a motivazioni che vanno ben oltre il fatto storico contingente. Qui è in gioco il tema dell’identità, un tema che attanaglia le menti pensanti da quando l’uomo si è ricavato un po’ di tempo per riflettere. Chi sono io?

            Fa tenerezza la figura di Marco che si sente come qualcun altro. Che so, come Robin Williams, Brad Pitt, Edward Norton, Kevin Spacey in tale o talaltro film che vede protagonisti questi attori. Sottolineerei che il meccanismo di identificazione, di tipo proiettivo, fa riferimento non al personaggio di una vicenda, ma all’attore che l’interpreta. Significa che Marco più che vivere la vita, la mima, ne recita il copione. Lo dimostra la continua previsione delle battute che vengono puntualmente ripetute nelle scene dialogate, esattamente nei toni e con le parole della prefigurazione. Il meccanismo psicologico della proiezione (Sono Batman. Sono Superman. Sono Spiderman) è tipico di una fase della vita in cui si è fortemente in cerca della propria identità. Di solito questa fase coincide con l’adolescenza, ma non è detto che finisca con essa. Così Marco, nella percezione di noi lettori, di Fabiana, di qualche suo amico e fors’anche di sua madre, pare un adolescente. L’anomalia d’ordine congiunturale sta proprio in questo, nel protrarsi dell’adolescenza fino alla soglia dei trent’anni. Per il resto, Marco ci rappresenta tutti, a prescindere dalla condizione o dall’età anagrafica. Non è un romanzo rivolto ai giovani, ma a tutti, per motivi che vanno ben oltre queste brevi note. Chi siamo?

            Iannaccone la risposta ce la dà, proprio nell’ultima pagina. Parrà pure scontata, visto che probabilmente ce la diamo noi medesimi prima che il libro si chiuda. E tuttavia è densa di significato e di conseguenze. È l’unica possibilità che abbiamo per poter dire che “andrà tutto bene”, benché le circostanze paiano avverse.

            Ne è prova proprio questo bel romanzo, opera prima di un giovane dal promettente futuro, una felice novità delle lettere italiane. Io so, ma non ho lo spazio per dimostrarlo, che le energie, intellettuali, morali, civili, si sprigionano quanto più i tempi sono avversi, quanto più le circostanze le imbrigliano. Abbiamo toccato il fondo? Sì, lo abbiamo toccato. Ora non possiamo che risalire. Scrittori come Iannaccone ce lo dimostrano. Andrà tutto bene!



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