La tua carne benedetta e dannata
giace nel letto di rose del mio cuore;
rose turgide, screziate, a volte vecchie,
ingiallite dall’afrore dei tuoi vizi.
Ma in ogni posa, in ogni rosa
la luce mi colpisce al centro, colando
da un’acquasantiera di limpide
note che trafiggono i miei istanti
come raggi splendenti
e il fondo del vuoto onnivoro
che ne consegue
non è che la prigione che Zeus
inondò d’oro
solo
per la sua Danae esultante
nel roseoporpora
di un bagliore d’abisso infinito.
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