Nel tuo ventre stetti male,
padre Crono;
nera palude di spavento,
abitata da belve immonde!
Ogni tocco un’offesa
ogni tocco una ferita.
Cercai di uccidere le belve,
per te;
soffocando i pianti d’abbandono.
Disperata,
uccisi i serpenti acquattati
nel fango dei tuoi visceri,
ribollenti di disprezzo.
Non mi amavi.
Tardi sciolsi l’illusione,
accecata nella tua stessa tenebra.
Mi vomitasti,
coi miei fratelli e le mie sorelle,
assieme al tuo veleno.
Solo il dolore infinito
fu la tua eredità;
la tristezza senza redenzione,
come una macchia sul mio candore.
E ora che son fuori,
dal tuo ventre avaro
che fu la mia prigione,
porto con me il fuoco
con cui illuminai
la tua oscurità cadente.
Non scapperò.
Non chiuderò le porte
con nessuna chiave,
come hai fatto tu.
Starò al centro,
per sempre fedele custode
di quel fuoco che non conosci,
che unisce ogni mondo, ogni cuore,
chiamato Amore.
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