E' nato lì, il nostro amore;
lì è morto.
Vinto dal rancore e dall'amarezza
mi sono esercitato nel dimenticarti, nel cancellarti,
senza rendermi conto di come, dimenticandoti,
ti ravvivassi, o di come, cancellandoti, ti riscrivessi.
Ho cercato di azzannare, di mordere, tranciare
con ogni forza, i nodi di Gordio,
i nodi di Cannobio,
tornandoci, enorme timore, enorme emozione,
da bimbo curioso, come sono, come vivo.
E' stato difficile: tutto restava chiuso
nella cella dei miei ieri,
non ti trovavo, lontana, donna fantasma,
tanto casta da mozzare il fiato;
pensando: "Sei sconfitto, l'odio ha vinto sull'amore",
mi sono sentito nudo, ancora una volta,
abbandonato sull'imbarcadero;
e, allora, i nostri mondi son sgusciati fuori:
micio caduto nel caffelatte, stella cadente,
- ma a Cannobio non funzionano?-
desiderio che non finisse mai,
tu che avevi freddo,
con indosso i miei maglioni,
lacrime idiote di non esser stata solo mia.
Ora, c'eri, desiderando ascoltare i miei racconti,
senza scazzarti, senza nasconderti.
Parlando con te, sulla banchina di Cannobio,
svanendo dolori, bruciando dolori,
intuendo che t'amavo, che m'amavi,
sono rimasto davanti al tuo lago, al mio lago,
e, immersa la mano destra, aperta in una carezza, maliziosa,
sono riuscito a dirti addio.
Piccolo cucciolo, occhi verdi,
muso stonato, amore immaturo,
sbocciato a Febbraio nel freddo inverno,
ogni volta che ti bagnerai
nel lago di Cannobio,
ti raggiungeranno le mie lacrime,
il mio addio, le mie carezze.
[Versi introversi, 2008]
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