Pubblicato il 12/01/2018 04:38:19
Fabio Squeo … o la difficile ‘identità’ del suo essere poeta.
“I poeti fioriscono al buio” – raccolta poetica di Fabio Squeo – Bibliotheka Edizioni 2017. www.bibliotheka.it
Radici.
“Le mie radici appartengono al niente.
Si nasce tra i rovi spenti e ci inalberiamo
nella parvenza di un eclissi di sole.
…
..ma le radici non appartengono
a questi luoghi insaziabili
così incarnati
nell’oblio che mi sostiene.”
Cancellare i vincoli dell’identità per scivolare nell’infinito errare della poesia nel labirinto delle molteplici coincidenze virtuali della contemporaneità, non è cosa facile da intraprendere. Si rischia di condurre una vita impersonale, immergersi in un’attività di erranza nello spazio e nel tempo impropri delle cose del mondo; che è poi come vagheggiare e/o fantasticare, su qualcosa che va oltre la concomitanza delle situazioni, quasi un voler ‘fuggire da se stessi’, dal frastuono delle diverse identità che si è costretti ad assumere nella concretezza del reale.
Una tangibilità che, estranea alla dissolvenza filosofica, moltiplica l’identità in numerosi altri sé dalla personalità conforme e/o difforme, solo apparentemente diversa quanto più affine a quella ‘desiderata’, ovvero ‘sospesa’ nel rimando della coscienza, come processo narrativo di sé. È allora che dalla relazione fra le due parti, diverse e uguali, narrativa e poetica, si erge il romanziere e il poeta, l’uno compenetrato nell’altro. Da cui le strutture dotte che spesso s’intersecano, si moltiplicano, si completano nel ‘diverso e uguale’ linguaggio letterario:
“..nella bellezza di un sentire che vuol essere dedizione, comprensione, per un’esistenza che oltrepassa le barriere dell’umano.”
Fabio Squeo si inserisce in questa dualità, nei passaggi interstiziali delle forme che appartengono alla parola detta, ancor più che ai segni grafici della scrittura, interponendosi nelle ‘pieghe del tempo’ che ancor giovane ha fatto sue, andando qui alla ricerca del proprio essere poeta pur conservando ‘una mente prigioniera del passato’, che ‘lentamente si consuma’ nelle ‘incertezze degli istanti’ che lo ‘separano dalla vita’. Un ‘consumarsi sotto il sole dell’esistenza’ che sembra non concedere(gli) tregua, ma che altresì l’aiuta a trovarsi e/o ritrovarsi, al di qua e al di là della soglia di avanzamento della propria esperienza poetico – crepuscolare:
“..scorgo in lontananza l’immagine
del mio palpito furibondo
offuscato dai macigni di un tempo infinito
ma il cuore finge di ascoltare
…
Il suo melanconico canto
mi accompagna oltre i confini della realtà.”
Esperienza maturata nell’alone di quella dissolvenza filosofica che l’ha accompagnato per tutto il tempo degli studi peculiari alla sua formazione, e che oggi, diversamente, invade la sua sopravvivenza come uomo di cultura alle prese con una realtà globalizzata diversa e/o discorde, scollegata dalla sensibilità poetica e la fragilità dei propri sentimenti, forse provati ma non necessariamente contrastati, seppure fortemente inquieti nel loro ‘eterno divenire’ che lo porta ‘a fuggire a mani vuote’ nella pur ‘spensierata illusione di esistere’:
“..e domani sarò ancora qui
con un altro giorno
e col freddo dell’eterno divenire.”
L’immagine delle ‘mani vuote’ rende particolarmente efficace l’inquieta ‘solitudine’ che l’autore vuole significare e che traspone con enfasi nel linguaggio poetico di molte sue liriche, nelle quali è più sentita la sua ‘pena’ nel ‘l’oblio che mi sostiene’, talvolta disarmante se si pensa alla sua giovane età che, come un ‘disegno imperfetto’ sembra aver già spazzato via tutto di quanto la vita futura altresì, potrebbe serbare alla sua esistenza feconda di nuove ‘esistenze e resistenze’, comunque esperienze per una ‘libertà ritrovata’:
“Vorrei librarmi ad alta quota
prima che il gelo della radura
faccia calare un altro sole.”
Appassionati i suoi costanti riferimenti ai flutti, agli abissi, ai moti ondosi del ‘mare’e a tutto ciò che esso contiene in sé, dalla sabbia, ai detriti di rocce e conchiglie, ai residuati che in altre parti diventano dune e intere oasi. Così come i riferimenti alla terra, ‘la sua terra natia’, strappata dal vento, nel risalire dei fiumi; e alla pioggia come ‘brezza allo stato primordiale’ che sembra ascendere anziché cadere nello specchio lunare, come per una rivoluzione cosmica in cui il sole, dominatore implacabile del giorno, non è che una lampada del suo soggiornare nel vivere, che prosciuga ‘la sete della sua conoscenza’:
“Nuove onde muovono la mia zattera
ma i misteri del buio scorrono dovunque
là dove il mio occhio inquieto non può arrivare…”
…
“Le grida di un gabbiano
e le incertezze degli istanti
che mi separano dalla vita...”
E via, via così nel prosieguo di intenti poetico - linguistici che trovano conferma nella scrittura musicale della frase, nelle assonanze evocative dei verbi e/o nelle colorature aggettivate rivolte al sentimentalismo d’amore, sofferto più che ammirato, interiormente vessato più che realmente vissuto, frutto di una pena o forse di un pentimento che chiede qui, sulle pagine bianche del libro, negli interstizi dei componimenti scritti, la sua redenzione o forse la sua dannazione. Chi siamo noi per giudicare il ‘verbo’ di chi sa? Chi è in grado di accordare al ‘poeta’ la sua espiazione, di riscattare la ‘sua’ verità? La poesia come la musica non nasce dalle parole ma dai sentimenti, affrancata da indulgenze come da assoluzioni si espande libera nell’aria, il suo addivenire è nel canto interiore e profondo del ‘buio’:
“I poeti fioriscono al buio,
nascosti tra le rupi della notte
tendono il loro pugno sopra il grano
quando il sole capriccioso se ne va.”
Come anche in quello estrinseco e tumultuoso del cuore che, nel costante battere svela il proprio desiderio di rivelarsi all’altro e/o agli altri, per comunicare il proprio stato primordiale, il proprio avvento nella natura che a braccia aperte l’accoglie, il proprio narcisistico attaccamento alla vita, l’essere qui, oggi, al centro dell’esistenza matura dell’uomo che si rivela:
“Si è nascosto il sole
dietro la foglia appassita
e sotto le coperte ingiallite
ove il poeta si scopre
brandisce la spada della malinconia..
…
..danze di spuma disancorano
la voce del mare
e i nostri palpiti d’amore
naufragano cullati
nel disegno imperfetto dei nostri sensi.”
Perché in fine questo è il ‘poeta’, colui che ha ricevuto in eredità il suono e il canto iniziali, afferente a ciò che noi tutti siamo, individui effettivi del nostro comune essere, spuri abitatori d’una costellazione imperfetta nel ricalcare l’orma pessoana di ‘Una sola moltitudine’, l’essenza stessa della nostra vita:
“..nella solitudine del poeta / … / quando il fumo delle notti / agita le sue onde. /…/ la nascita non è più una nenia / oscura / da ricordare / ma una fulgida gemma / di acero fiorito”.
Fabio Squeo, laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, è studioso del pensiero di Sartre e della filosofia esistenzialista del XX secolo. Autore di poesie svolge la sua attività di saggista e curatore di opere letterarie e collabora ai progetti editoriali della casa editrice Limina Mentis.
Tra le sue pubblicazioni:
“Jean-Paul Sartre e il fenomeno della coscienza nelle sue relazioni con l’altro.” - Bibliotheka Edizioni 2014.
“Alber Camus e la condizione umana come testimonianza dell’assurdo” - Bibliotheka Edizioni 2014.
“Heidegger, Lacan, Sartre, Lévinas: L’altrove della mancanza nelle relazioni di esistenza.” - Bibliotheka Edizioni 2017.
Nota: Tutti i virgolettati sono tratti dalla raccolta poetica “I poeti fioriscono al buio” - Bibliotheka Edizioni 2017.
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