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Châtellerault

di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 15/02/2012 01:59:55

Simon si allaccia assorto la giubba, le sue mani rese un po’ ruvide dal lavoro si attardano sui bottoni, poi esitano incerte lisciando il tessuto, lo sguardo vaga, insegue il pensiero triste ed euforico, e insiste nel posarsi sul giovane che, appena discosto da lui, esegue gli stessi movimenti. Certo, le mani del giovane sono più bianche e curate, e, soprattutto, più veloci nell’eseguire i consueti movimenti di chi si appresta ad un addio. Simon vorrebbe parlare, chiedere il nome del bel giovane, farfuglia imbarazzato qualche veloce frase di circostanza. Banali parole che vorrebbero moltiplicare i minuti arrestandoli in quella luce pomeridiana che rende dorate le foglie primaverili al Bois de Boulogne. Il giovane sembra non capire, osserva, coi suoi occhi chiari, Simon, arrossisce, borbotta qualche parola, estrae l’orologio dal taschino, un guanto gli cade, lo raccoglie, è evidentemente confuso. Simon sfoglia i suoi ricordi, in tanti anni di servizio presso la principessa accenti ne ha sentiti tanti, abbastanza per dare una collocazione al giovane. Inglese, pensa, ma con un’aria familiare; forse fa parte del corpo diplomatico, oppure è il figlio di qualche nobile britannico, servito e ringraziato chissà quando in un salotto. Simon vorrebbe stringere le mani del giovane, un saluto, certo, ma anche un arrivederci, un non dimentichiamoci. Non vuole che gli attimi consumati con l’ansia ma non senza passione, con trasporto, sebbene in silenzio, vadano persi. Il corpo di Simon si è inteso alla perfezione con quello del giovane, le mute parole dell’amore erano comprensibili ai due, ma ora le parole sonore del mondo creano un divario tra loro. L’uomo vorrebbe poter donare qualcosa al giovane, ma non sa cosa, osserva il cappotto di ottimo tessuto, la catena dell’orologio e la canna da passeggio che trasudano ricchezza. Quella ricchezza che in genere significa sprezzo nei suoi confronti, lui, un povero lacchè la cui bellezza lo ha esonerato dai lavori più umili, ma non ha potuto evitare il suo confino al di là di un vetro: lui da una parte e il mondo dei nobili dall’altro, mondi incomunicabili ma contigui, e se qualche contatto c’è stato è sempre stato come la mezz’ora appena trascorsa, intenso ma furtivo, una parentesi entro la quale sigillare le proprie condizioni sociali per dare libero corso al desiderio. Il giovane ormai è pronto, le mani ancora hanno qualche momento di nervosismo, le labbra sono serrate in una smorfia acre, ma gli occhi tradiscono una profonda commozione, Simon intuisce che anche il giovane vorrebbe prolungare quei momenti, ma non può permetterselo. Il giovane si volta di scatto e si allontana seguendo la traiettoria del suo bastone da passeggio, Simon immagina la carrozza con l’equipaggio in attesa del signorino, pronta a trasportarlo nel suo misterioso mondo. Anche per l’uomo è ora di tornare, la fermata del tram è a qualche centinaio di metri, Simon copre la distanza senza rendersene conto, in preda a una malinconica felicità che gli farà compagnia, lo sa, per qualche giorno, in cui ogni possibile speranza si sbiadirà nel ricordo e nel rimpianto. Mentre il tram attraversa la città Simon osserva le carrozze che incrocia, immaginandosi il suo giovane amico di una manciata di attimi, adagiato sui cuscini, chissà, pensa, forse si affretta dalla giovane e titolata moglie, forse lo attendono al club, l’uomo tenta di calcolare quanti minuti impiegheranno la mente e il corpo del giovane per scacciare il suo ricordo, pronto a negare di essere stato al Bois quel pomeriggio, mormorando frasi di circostanza, adducendo forse un mal di capo, un improvviso invito.

 

Nel frattempo il giovane sta salendo sulla sua carrozza osservando distrattamente gli inchini dei lacchè, si siede e chiede di essere portato a casa, tira le tende e si immerge nei suoi pensieri. Rivive quel che anche Simon sta rievocando nella sua mente mentre entra nel palazzo della principessa, finché le sue mansioni non lo riporteranno bruscamente alla realtà, domani ci sarà un grande ricevimento e lui ha la responsabilità che tutti vengano accolti con il dovuto riguardo, senza confondere genealogie e titoli. Il giovane stancamente rincasa, e chiede di non essere disturbato, si barrica nelle sue stanze, ma ancor più sembra asserragliato in un pensiero, il sorriso timido ed imbarazzato di Simon. Il giovane ripercorre con il pensiero il tragitto delle sue mani sul corpo dell’uomo, ne sente la mancanza, si rammarica di non poterlo più vedere, vorrebbe condurlo con sé alla tenuta in campagna e vivere una vita desiderata ma proibita dalla società. Il giovane rinuncerebbe volentieri al suo titolo, alla sua posizione per non doversi più nascondere, ma sono pensieri dettati dal cuore in tumulto, ebbro di un sentimento sinora sconosciuto, ma di cui ha orrore a compitare il nome. Annulla tutti gli impegni, ma si sa costretto al grande ricevimento dell’indomani, in cui dovrà essere galante con le fanciulle, virile con le loro madri e sprezzante con tutti gli altri.

 

La sera del ricevimento sta per iniziare, Simon riceve le ultime disposizioni dalla principessa di Guermantes, mille raccomandazioni, su come sistemare i valletti lungo le scale, i più carini nei punti più luminosi; sa Simon, ripete la principessa, è uno degli eventi più importanti della stagione mondana e non possiamo fare qualche sbaglio, soprattutto Oriane è così inflessibile nei suoi giudizi, e tutti la temono. Io no, continua la principessa, ma non vorrei scontentare lei e Basin, che mi sono tanto cari, conclude – mentendo, pensa Simon – la scialba donnetta che tra qualche ora di paziente lavoro diventerà un delle più affascinanti dame del Faubourg. Simon procede alla disposizione dei valletti, e in ognuno ritrova uno dei tratti del giovane del giorno prima, in uno lo sguardo, in un altro il sorriso, in un altro la manciata di efelidi che si rincorrono da una guancia all’altra. L’uomo ormai si è persuaso di aver incontrato l’ennesima meteora, dove sarà, si domanda, forse sul ferry che lo riporta in Inghilterra, forse al Bois a cercare un altro Simon, un altro corpo, un altro momento di pace.

 

La carrozza entra nel cortile della residenza della principessa, questa sera ci sono proprio tutti, pensa il giovane osservando gli equipaggi che intasano l’angusto spazio, un vortice di stemmi, colori, livree, che però questa sera hanno un gusto diverso dal solito, sono venati di malinconia. Il giovane sale le scale osserva i valletti e in ognuno di essi ritrova qualcosa che gli ricorda l’amico troppo presto perduto al Bois: un naso impertinente, delle mani un po’ grosse, un sorriso allusivo ricompongono i tratti impressi nei suoi ricordi. E d’improvviso tutti i tratti esattamene al posto giusto, è lui, pensa imbarazzato mentre porge il cartoncino all’uomo. Simon ha un fremito, ma la sua professionalità ha la meglio mentre esclama con voce stentorea, accarezzando ogni sillaba: “Sua Altezza Monsignore il duca di Châtellerault!”



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