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Un volto e un’anima

di Michele Fiorenza
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Pubblicato il 28/01/2013 16:59:03

Un volto e un'anima                                                                            

 

         Fui chiamata tramite la solita agenzia di lavoro interinale, gestita dalla mia amica Gloria. La mia attività era soltanto saltuaria, in quella città del profondo sud, e avevo una vaga aspirazione ad andar via. Però qualcosa di simile a radici profonde mi tratteneva. Forse, dopo quell’antica delusione, un nuovo amore avrebbe potuto farmi restare, chissà.

         Con i miei trentacinque anni ben portati, da lontano ero piuttosto appariscente: bionda, alta, snella, dritta, con le labbra carnose, le gambe tornite e un discreto decolté, facevo fatica a tener lontano gli avventurieri; ma gli uomini a modo, posati, esigenti, che desideravano metter su famiglia, magari un po’ tardi, mi guardavano con più attenzione, per capire se ero il loro tipo, e rinunciavano.

         Infatti i lineamenti del mio lungo viso erano piuttosto irregolari e in disaccordo tra loro; la mia bella voce, calda, sottile e sensuale, contrastava con quei tratti, e il mio italiano quasi perfetto, “risciacquato in Arno” ai tempi dell’università, generava per telefono aspettative destinate a essere deluse.

         Per assistere persone anziane o svantaggiate, oppure con problemi psicologici, ero ideale: di bella presenza, ma complessivamente dimessa (anche per via del mio sobrio abbigliamento), discreta e abitualmente silenziosa, ma capace di dar compagnia con la mia piacevole voce e la mia cultura, preparata professionalmente, non riusciva difficile a Gloria segnalarmi ai migliori clienti.

         Fu così che mi propose a quell’ingegnere cieco, di circa quarant’anni, rimasto solo dopo la morte della madre. A me disse:

         - E’ una persona per bene, colta e gentile, amministratore di un’azienda di componenti meccanici e proprietario di un agriturismo, “Il tulipano”, lo conosci? Ha perso la vista durante l’adolescenza, per malattia. Però credo che da un occhio veda un po’, come tra una fitta nebbia. Ho proposto te, alla tariffa massima, e ha acconsentito. Naturalmente avrai un tuo orario, il giorno libero e le ferie. Può anche offrirti vitto e alloggio e te lo consiglio, perché vive in una villa a … con bella vista sul mare, ed eviteresti di viaggiare. In casa non sareste soli, perché ha una nutrita servitù: cuoca, cameriera, giardiniere e autista, imparentati tra loro, tutte persone fidate, a suo dire. Prova per un mese, poi deciderai.

         Risposi che praticamente non lavoravo da tre mesi e i risparmi si assottigliavano, quindi ritenevo una fortuna quell’occasione.

         Arrivai con la mia utilitaria entro le otto e trenta del giorno stabilito. Mi aprì subito una ragazza dal sorriso franco e cordiale, che immaginai fosse la cameriera. Tolto il leggero soprabito, mi accompagnò in un salottino, nel quale poco dopo condusse, guidandolo per un braccio, l’ingegnere.

         Questi si accomodò da solo, ma con qualche incertezza, sul divano, sedendosi accanto alla mia poltrona. Ci presentammo.

         - Lei è troppo bella per assistere un povero cieco. Riesco a notare che è alta, bionda, ben vestita e si esprime bene. Come mai fa questo lavoro?

         Gli spiegai che non avevo voluto allontanarmi dalla nostra città.

         - Se lei è qui, vuol dire che conosce e ha accettato i termini del contratto, come me, del resto. Fra un po’ Maria le assegnerà una stanza al primo piano, anzi potrà sceglierla fra tre, tutte comode. Io non sono ricco, ma mia madre voleva una bella casa. Non s’impressioni per il numero di persone a servizio, perché, a parte il vitto, l’alloggio e la disponibilità di qualche vecchia automobile, guadagnano ben poco. Soltanto il suo onorario è elevato, perché il suo compito sarà più gravoso: accompagnare, leggere, parlare, descrivere un po’ di tutto a un povero cieco. Questo per circa sei ore al giorno e per sei giorni alla settimana. Io cercherò di non esserle troppo di peso, perché il mio occhio sinistro riesce a vedere qualche ombra; per esempio intuisco che lei è molto bella.

         Avrei voluto dirgli che non era così: il viso lungo, i tratti irregolari, i capelli radi… ma volevo fare una buona impressione e mi schermii debolmente:

         - Lei è molto cortese, ma io non mi sento affatto bella.

         - Comunque lei è qui per le sue capacità e per le referenze. Ci vedremo nello studio alle dieci e trenta per spiegarle qualcosa del mio lavoro, in realtà molto leggero, e sulla sua occasionale collaborazione. Per qualsiasi esigenza, può anche  rivolgersi a Maria.

         Suonò un campanellino di ottone e ricomparve la ragazza di prima, che mi aiutò a prendere il mio modesto bagaglio e a scegliere la stanza.

*        *        *

         Impiegai pochi giorni per conoscere le abitudini, peraltro tranquille, del mio assistito. Poiché eravamo in primavera, gli piaceva passeggiare nel piccolo parco della villa, chiedendomi di descrivergli il paesaggio. Dedicava molto tempo ai pasti, che gustava centellinandoli. Dalle dieci alle undici si ritirava nello studio a trattare i suoi affari per telefono. Di solito dopo mi chiedeva di scrivere qualche breve e-mail e inviarla; a tal fine mi confidò la sua password, chiedendomi di mandarla a memoria e di non riferirla a nessuno.

         Nel pomeriggio riceveva qualche amico o collaboratore e spesso voleva che fossi presente. La sera a volte mi chiedeva di accompagnarlo a qualche concerto. Quando venivo impegnata oltre le sei ore, esigeva che lo annotassi per avere poi una mezza giornata libera a titolo di recupero.

In quelle mezze giornate lui chiedeva all’autista di portarlo in giro per contrade poco frequentate, fermandosi in qualche piccolo bar a consumare un dolcetto o in qualche negozietto di campagna ad assaggiare un salume particolare accompagnato da un vinello locale.

         Migliorando il tempo, le nostre passeggiate nel parco si prolungavano.

         - Com’è oggi il mare? Me lo descriva.

         Io eseguivo con piacere e con dovizia di particolari. Una volta mi disse:

         - Le sue descrizioni sono splendide, come la sua voce. Com’è che non è sposata?

         - Forse per una vecchia delusione.

         - Io non ho avuto delusioni, perché nessuna si è mai innamorata di me, e credo che ormai si sta facendo troppo tardi.

         - Lei merita un grande amore.

         Tacque. Volle che lo accompagnassi presso un muretto prospiciente il mare e lì espose il viso alla brezza, respirando profondamente. Poi disse:

         - Mi scusi per la mia domanda indiscreta di poco fa. Per quanto riguarda me, non sono stato del tutto sincero: ho avuto anch’io un amore nell’adolescenza, prima che perdessi completamente la vista. Allora mi parve un rapporto prematuro e colpevole. Invece lei, accortasi della mia incipiente cecità, mi lasciò. E oggi sono felice di aver vissuto almeno quell’unico precoce, superficiale amore.

         - Lei è un bell’uomo: avrebbe potuto avere un sacco di amori.

         - L’amore vero deve nascere dall’anima…

         Forse fu per la sua cecità, forse per la mia capacità di saper ascoltare senza tradire eccessive emozioni, Gianni, come voleva essere chiamato, pian piano mi si rivelò completamente. A volte si scusava di ciò. Un giorno gli chiesi di chiamarmi Olga e il giorno successivo lui mi chiese di darci del tu. Ne fui lusingata: soltanto l’anziana cuoca e il vecchio giardiniere gli davano del tu.

         Con discrezione cominciò a chiedermi qualcosa in più di me e ascoltava senza fare domande, come un vecchio amico.

         Così, in un luminoso mattino di Giugno mi svegliai scoprendomi innamorata. “E lui?” Fu il mio primo pensiero. La risposta non sarebbe tardata molto.

         Qualche giorno dopo andammo in spiaggia per la prima volta, a prendere un po’ di sole e ”inspirare il profumo del mare”, disse lui.

         Io indossai il costume più sobrio e castigato che avevo, intero, nero e accollato; credo che feci così per una forma istintiva di pudore nei confronti di un uomo che certamente desiderava ammirarmi.

         Infatti lo fece con il candore e la sfrontatezza che hanno sempre gli ipovedenti, dichiarando:

         - Con l’aiuto del sole, persino attraverso la nebbia dei miei occhi, intuisco che hai un corpo stupendo.

         - Non sono bella come tu immagini, Gianni.

         Lui continuava a guardarmi e sorrideva.

*        *        *

         L’estate passò nella migliore serenità e in autunno le passeggiate si allungarono e moltiplicarono. Agnese, la vecchia cuoca, mi confidò che non lo aveva mai visto così felice.

         Un giorno, mentre eravamo seduti su una delle solite panchine del parco, mi chiese di fargli toccare il mio viso:

         - E’ il mio modo di vedere.

         Temevo di deluderlo, ma gli offrii il viso. Lo tastò con entrambi le mani:

         - Fronte bassa, sopracciglia folte, occhi distanti, naso sottile, labbra carnose, mento sporgente, collo lungo, capelli radi… Dovresti farti curare i capelli da uno specialista: te ne indicherò uno. E le sopracciglia dovrebbero essere sfoltite da un’estetista. Occhi, naso e bocca sono splendidi.

         - Domani prenoterò per lo specialista e andrò dall’estetista, se ti fa piacere.

         - Fa’ mettere tutto sul mio conto.

         - Neanche per sogno.

         - Allora prenoterò io per te.

         - Vedi che non sono bella?

         - In ogni caso, tu sei bella nell’anima.

         Il sabato successivo, dopo aver controllato le mie sopracciglia e i miei capelli, notevolmente accorciati, mi chiese di sposarlo.

         Lo disse così, come quando mi chiedeva di porgergli il braccio per una passeggiata.

         - So di avere un grave handicap, ma per il resto sono in buona salute e posso darti quello che vedi qui intorno in qualità di padrona e non d’impiegata. Inoltre possiamo avere dei figli per la nostra vecchiaia. Avresti tanti bei vestiti, un’automobile nuova, amiche di classe; faremmo feste, ricevimenti…

         - Taci, io accetto perché ti amo.

         A tentoni trovò il mio viso e mi baciò, facendomi felice.

         Che dire? La nostra intimità aumentò di giorno in giorno e a volte lui se ne scusava. Fissammo presto la data delle nozze.

         - Ci saranno pochi intimi, se per te va bene.

         - Va benissimo, Gianni.

*        *        *

         La svolta avvenne quando un giorno a pranzo mi riferì che forse avrebbe potuto recuperare la vista:

         - C’è un minuscolo apparecchio americano, una specie di microchip, che va inserito sotto la pelle, vicino al nervo ottico, il quale consente di migliorare notevolmente la vista: è stato sperimentato con successo su una decina di pazienti. Costa molto, ma ho dei risparmi.

         Rimasi di sasso, pensando che sì, ero felice per lui e … per chi lo avrebbe sposato, ma quella non potevo essere io: lo avrei doppiamente deluso, per il mio brutto viso e per averlo ingannato.

         Fraintese il mio silenzio:

         - Stai tranquilla, non c’è alcun pericolo, anche perché mi farei operare all’occhio più debole, quello quasi completamente cieco. Inoltre la presenza del microchip non si nota.

         Intanto io mi pentivo di non avergli detto che il mio viso era brutto, ma mi ero sentita così lusingata di essere amata per quella che avrei voluto essere!

         Gianni sprizzava gioia da tutti i pori e io ero contenta per lui. Voleva riacquistare la vista prima delle nostre nozze e io ero angosciata.

         In camera mia mi guardai allo specchio, immaginai Gianni in ospedale mentre i medici gli toglievano le bende oppure lui stesso si toglieva un paio di occhiali scuri nella penombra della camera e mi guardava deluso.

         Molti uomini attribuiscono alla propria donna tutte le qualità e la vedono bellissima; anche Gianni era convinto di avere una fidanzata molto bella: nella sua fantasia di giovane uomo desideroso di amare, aveva dato un volto meraviglioso a quella vaga ombra pallida e bionda, che intravedeva da vicino.

         Io ero angosciata, e l’angoscia e l’ansia crebbero progressivamente, man mano che si avvicinava il giorno dell’operazione. Gianni pensava che fossi preoccupata per lui e tentava di tranquillizzarmi.

         Dieci giorni prima del fatidico mattino presi una decisione disperata: piuttosto che deluderlo, sarei andata via, lasciandogli così il ricordo di un’altra Olga, quella che avrei voluto essere e purtroppo non ero.

         Ma prima di lasciarlo, dovevo fargli un dono, qualcosa che addolcisse il rimpianto e il rancore: dovevo far sì che quello fosse almeno un amore compiuto, affinché lui potesse col tempo porre la parola fine a quella strana storia.

Riacquistando la vista, sarebbe stato corteggiato da decine di donne bellissime. Ero contenta per lui, ma per gelosia e per alleviare il dolore che avevo deciso di infliggergli, dovevo dargli tutta me stessa.

         Dopo una giornata in cui lui mi rimproverò i lunghi silenzi, la sera mi recai nella sua stanza, aprii la porta dicendo: - Sono Olga. – poi diedi un giro di chiave.

         Mossi appena le persiane, per lasciar entrare un po’ della luce dei lampioni, mentre udivo il suo respiro farsi più frequente. Poi m’infilai nel letto, sentendolo emozionato almeno quanto me…

         Molte ore dopo si addormentava appiccicato a me, spossato.

         Mi alzai prima di lui, alle otto. In corridoio incontrai Maria che mi sorrideva, complice:

         - Preparo la colazione?

         - Grazie, Maria, tra un’ora.

         Andai in camera mia a preparare la valigia. Non ci volle molto a radunare ciò che rimaneva del mio bagaglio di quando, quasi un anno prima, ero giunta lì. Dei suoi regali non volevo portar via nulla. Di me gli lasciai una foto molto ritoccata da un abile fotografo, così, per dare comunque un volto a quella Olga che l’aveva amato.

         Avevo quasi terminato, quando qualcuno bussò ed entrò. Prima ancora di voltarmi sapevo che era Gianni. Si avvicinò a tentoni, tastando i mobili, sino a toccare la valigetta.

         Impallidì e temevo che mi svenisse davanti. Avvertii una fitta al petto.

         - Stai… stai andando via? – chiese con voce tremante.

         - Ti ho mentito, Gianni: io non sono bella; per questo non sono sposata. Con te non ho saputo resistere alla tentazione di essere considerata bella ed essere amata, e alla tentazione di farti felice, anche basandomi su una bugia. Ma non voglio deluderti e ingannarti ancora.

         Mi osservò un attimo, poi si rianimò, quindi a tentoni trovò il divanetto e vi si accomodò. Io lo seguivo con l’animo in pena.

         - Vieni qui. - disse

         Mi fece accomodare sulle sue gambe, come ormai facevamo spesso per baciarci, accarezzarci, ridere e chiacchierare felici. Mi diede un pizzicotto sul mento sporgente.

         - Sei una sciocchina, e questa è l’unica piccola delusione che mi dai. Prima di tutto, il mio occhio sinistro da vicino riesce a vedere qualcosa, specialmente al centro dell’immagine; poi le mie dita e la mia mente sono capaci di dare una forma a tutto. Inoltre il tuo viso non mi deluderà, perché è comunque il “tuo” viso, il viso della mia Olga, l’unico vero amore della mia vita, la ragazza che mi ha detto di amarmi con tutto il suo cuore. Ma, se tutto questo per assurdo non avesse importanza, io amo la tua anima e il tuo corpo, e da ieri sera il tuo modo di amarmi fisicamente. Se tu non mi ami, vai liberamente: io non ti dimenticherò. Ma se mi ami, lasciarmi sarebbe il tuo peccato più grande.

         Sono una donna e, come tutte le donne, quando mi emoziono troppo, piango; ma se le mie lacrime potevano essere di dubbia interpretazione, non lo fu il mio abbraccio.

         - Ricordati sempre – mi disse Gianni – che io ti amo soprattutto per la tua anima meravigliosa.

 

F i n e

 

Michele Fiorenza

opera registrata

 


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