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Niels. Diario di bordo

di Teresa Nastri
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Pubblicato il 26/02/2014 16:13:16

Niels. Diario di bordo

 

IERI - Era nata, senza saperlo, sotto il segno dell’attesa, del “poi. Cresciuta nel lungo dopoguerra di stenti e di debiti da pagare - con bambole fatte di pezze per lei e palle di carta per il fratello che la precedeva di tre anni - andava a scuola a spizzichi e bocconi, perché la mamma si ammalava spesso e c’erano tre fratellini piccoli a cui badare. A 9 anni, dovette smettere per badare anche a lei - la mamma, immobilizzata a letto con i reumatismi -  e alla casa. Perse due anni, poi riprese. In quarta ginnasio fu rimandata in greco, ma non poté presentarsi all’esame di riparazione. E smise del tutto.

A 21 anni ripiegò su un istituto professionale che prometteva buone possibilità di impiego, e apprese i rudimenti di tre lingue straniere. Alla fine del secondo anno convinse i genitori a lasciarla partire per la Germania, dove - durante le vacanze estive - fece la sua prima esperienza di lavoro in un albergo di Francoforte. Imparò a versare e servire grossi boccali di birra, senza farne traboccare la schiuma; e a pulire le camere dei clienti senza dimenticare, prima di uscire, di controllare che anche il vaso da notte, nel comodino, fosse pulito.  E per la prima volta qualcuno le disse - in tedesco - che lei aveva talento per le lingue.

Il corso era quinquennale, ma lei decise che non poteva continuare a caricare il magro bilancio familiare di tutte le spese necessarie per altri due anni. E alla fine del terzo partì per l’Inghilterra come “ragazza alla pari”, ospite di una famiglia con quattro bambini, di età comprese fra le tre settimane e i sette anni. Vi rimase sei mesi.

Al ritorno trovò facilmente lavoro in campo turistico, nel capoluogo regionale. Nel giro di pochi anni veniva citata come esempio di professionalità da molti operatori del settore. Ma viveva il rimpianto di una formazione universitaria che le era stata preclusa.

Dopo molti anni, decise di colmare l’antico vuoto. Lasciò il lavoro, prese da autodidatta il diploma di scuola media superiore e si iscrisse alla facoltà di filosofia. Aveva cinquant’anni. Verso la fine, quando non le restava più che il lavoro di tesi, un professore che l’aveva sentita parlare in tedesco le offrì la possibilità di approfittare del progetto Erasmus per trascorrere un semestre presso la stessa facoltà, a Düsseldorf.  Partì insieme a cinque giovani studenti, per i quali la sua presenza era ritenuta determinante: nessuno di loro conosceva una parola di tedesco.

 

OGGI - La piccola scrivania è da anni ricoperta di carte  e libri di ogni genere. Inutile tentare di mettere ordine: ogni volta che prova a catalogare, a sistemare, deve rileggere ogni riga prima di decidere se gettar via della cartastraccia o conservare uno scritto in cui si riconosca. Ma non va mai molto avanti: ci sono sempre tante cose da fare in casa. 

Alla fine decide di mettere al sicuro almeno le note, le riflessioni e i ricordi fissati in un grande quaderno, simile - nel contenuto - a un diario di bordo: accende il computer, crea un documento, lo intitola Prezioso e inizia a digitalizzare tutto ciò che un tempo vi ha scritto. Navigando a vista tra cancellature, aggiunte fra le righe, date incerte e punti interrogativi, segue il filo conduttore di una trama che si spezza e va riannodata di continuo. 

 

« Düsseldorf  -  Studentenheim[1] n. 12  (In Italia è Ferragosto)

Mi mancherà questa stanzetta, simile a una piccola cella monastica, e questa scrivania accanto alla finestra, dove - sedendo a volte per qualche ora  di studio - ho imparato a distinguere lo stormire delle frondi o il respiro del vento dal rumore della pioggia, che talvolta cade improvvisa e a grosse gocce nel suolo erboso.

La finestra consiste di un’unica vetrata di cm. 120 x  150, e quando è del tutto aperta i rami più bassi mi vengono incontro, fin quasi a sfiorare il bordo esterno del davanzale. Quando sono seduta, il vano incornicia un  pezzo del piano superiore della casa 13, della quale solo una delle tante finestre - pur così vicine, date le ridotte dimensioni degli alloggi - è quasi interamente visibile. Le altre sono abbondantemente coperte dai rami che s’incrociano sulla facciata.  La vista compone così tre piani diversi in un unico campo visivo: i due alberi appena oltre la mia finestra, l’edificio color ocra al di là di essi, e i grandi capanni verdi degli alberi alle sue spalle. Null’altro, quindi, che rami verdi dilatantisi in tutte le direzioni, ma che lasciano intravedere un petit pan de mur jaune[2] e qualche finestra.

Il vento è un amico spesso presente nel campus, e quando circola all’interno del perimetro segnato dagli edifici 12, 13, 14, urtando nei rami degli alberi più alti e folti, la sua voce si frantuma in sibili bisbigli e sussurri che svegliano i sonnolenti abitatori originari del luogo: il tasso e lo scoiattolo li vedo arrampicarsi sui rami, proprio qui, a un palmo dalla finestra, del tutto indifferenti alla mia estranea presenza.

Ho visto dappertutto paesaggi che bloccano il respiro per l’emozione che trasmettono, ma a questa vista resterò legata come al simbolo di una possibilità di esistenza in cui l’essenziale sia sempre visibile, sullo sfondo di poche altre cose che hanno la funzione accessoria di ‘accenderne’ il sapore senza alterarne il gusto, o il senso.

Cara Düsseldorf, per questa breve promessa (o illusione ?) sarò indulgente verso la tua fastosa opulenza - ostentata e indifferente nei confronti di coloro che spinge ai margini dei boulevard scintillanti di vetrine e di addobbi. Questi Studentenwohnheime[3] sono l’isola magica in cui l’illusione si costituisce, surrettiziamente infiltrandosi, attraverso varchi misteriosi, nella coscienza critica: come immagine onirica nella cui estatica felicità si dissolva il senso della differenza fra veglia e sonno.

Domenica, 20-8  -  James Dean redivivo nei tratti del viso: biondo e dalla pelle scura di chi vive per strada, come i gatti senza padrone alla ricerca di un po’ di calore. Si chiama Niels.

Oggi ha parlato tanto. Non ha mangiato perché vive solo e non ha voglia di prepararsi il cibo. Dice che “questa è la Germania: ciascuno per sé, ciascuno è il solo prossimo di sé stesso. Non come a Napoli…”. Non ha voluto la pasta che gli ho offerto. Ha risposto che non mi devo preoccupare: nei fine-settimana non ha importanza. Ma mi ha detto “grazie”, poggiandomi una mano sulla spalla.

Sono tornata in camera, pregandolo di chiamarmi quando arrivano i miei amici. Dopo dieci minuti ha bussato alla mia porta; ho aperto e lui mi ha teso la mano con una piccola rosa bianca e un semplice “bitte schön !” .[4] 

In quella sua parlata chiusa e rapida, già difficile da capire, usa spesso termini incomprensibili - forse dialettali -, ma poi non sa spiegarli con parole diverse. Ha detto di avere una sorella sposata, con due bambini, ma non la vede da anni. E non conosce i nipotini. Dico: “Schrecklich!” [5]. Risponde: “Wieso ? es ist normal, das ist Deutschland ”.[6]  Ha anche un fratello, è medico, ma di lui non ha detto altro.

Era ancora lì  (nella saletta della televisione), quando sono tornata stasera sul tardi. Voleva offrirmi del tè. Ha detto di aver mangiato spaghetti cucinati da Chiara.

Stamattina, lunedì dopo Ferragosto - è venuto verso le 10, per chiedermi come stessi. Gli ho detto di aspettarmi giù e che avremmo fatto un pezzo di strada insieme, fino all’Università; ma poi mi ha chiamata da sotto la finestra e gli ho dovuto dire di andare, perché avevo da fare. Ho provato un gran senso di colpa, fino a che non l’ho incontrato dinanzi alla Caffetteria e ho potuto spiegargli che avevo ricevuto una visita in camera: Christof, il mio vicino, che mi ha invitato a cena a casa della fidanzata, e col quale ho parlato anche di lui.

Stasera, martedì  22 - ha suonato ed è salito. Sono uscita sul corridoio credendo fosse Giovanni. Mi ha chiesto ancora come stessi. E’ bastato gli domandassi se fosse stato lui a suonare per farlo andare via, dopo aver annuito. Lo ha preso per un rimprovero e proprio come un gatto randagio si è allontanato, forse per evitare di essere cacciato via bruscamente. Più tardi, sul piazzale davanti alla casa, mi ha domandato all’improvviso: “Warum bist du traurig, Teresa?”.[7]  Ho risposto che sono solo stanca, perché non riesco a dormire. Poi, ridendo, ha aggiunto: “A patatine, tè e biscotti posso sempre invitarti… und zu meiner ewigen Liebe”. [8]

Perché mi commuove tanto ? forse perché è giovane e bello, e quell’aria selvatica  contrasta con gli occhi dolci e il sorriso di chi ha già compreso tutto della vita - e sa che questa specie di  asimmetrica amicizia è un dono gratuito e irripetibile ».

 [ P.S.  E’ uno dei ricordi più preziosi del mio soggiorno ‘erasmiano’ a Düsseldorf, ma ci avevo pensato solo di tanto in tanto. Rileggerne il resoconto a distanza di 16 anni, mi procura un’emozione intensa. E, col ricordo di Niels, mi ritorna in mente un verso di Petrarca che mi faceva un effetto simile: “… e la cetera mia si ruppe in pianto”. Anche la mia commozione, oggi, si stempera nel pianto: ma è un pianto amaro. Dove sei ora, Niels, cosa fai ? Perché non ti ho chiesto di scrivermi? ]

                                                _____________________

« Mercoledì, 23 - Sono uscita presto per andare alla Biblioteca. Piuttosto sollevata per il fatto che non fosse già lì dattorno ad aspettarmi. Non l’ho visto neppure al ritorno, e mi ha sorpresa il fatto - del tutto insolito - che il portoncino era chiuso.

Più tardi - mi preparavo da mangiare - il citofono ha squillato. Gli ho aperto, credendo ancora una volta che fosse Giovanni, il quale abita al numero 13. Nel corridoio si era intanto affacciata Angelika, l’altra mia vicina di camera, di origine ebraica, la cui espressione, nel vederlo, si tinse inequivocabilmente di repulsione - mista a soddisfazione per ciò che lei già sapeva. In basso, più tardi, mi hanno detto che per ordine di Frau Kassler  - la  Hausmeisterin [9] del campus, che abita nell’edificio di fronte - non bisogna più farlo entrare: per questo il portone era stato chiuso. Lui ha capito. Mi ha chiesto se ci fossero novità. Ho risposto di sì. Ha dato il via a una di quelle sue parlate rapide e ‘chiuse’. Ho capito solo che per lui era un miracolo che non fosse già successo prima. Mi pare anche che ne attribuisca la responsabilità al comportamento troppo vivace degli Irlandesi. Come a dire: “per colpa loro vengo punito io, che non ho fatto niente di male”. Ma poi ha ripreso con le sue considerazioni sulla Germania come “paese più egoista del mondo”. Fra altre cose, mi ha detto anche che dove abita lui non vede mai nessuno, che alcuni ci vanno solo per farsi la doccia… Povero NIELS !  ora so che non potrei viverci, nel “paese più egoista e più indifferente del mondo”.

(Temo che a far precipitare la situazione sia stato il fatto che lui è venuto un paio di volte fino alla mia porta. Qualcuno deve avere ‘denunciato’ il fatto. Forse la mia vicina, che in questi primi mesi ho intravisto appena un paio di volte, mentre ho sentito quasi ogni giorno, anche in ore diverse, la sua voce salmodiante…).

Ho l’impressione che fra me e la parte ‘pubblica’ di questo Paese scattino continui cortocircuiti. Io rappresento una specie di anticorpo ‘libero’ nei confronti dei suoi sistemi di sicurezza - della sua indifferenza verso chi soffre, o si trova gettato ai margini del suo sistema di valori: quelli dell’efficienza e della produttività !

                                                               *****

 [Tre giorni in visita a Berlino, con Marisa e una sua amica venuta dall’Italia. Scopro il sistema del Mitfahren[10]: alcune agenzie espongono avvisi di automobilisti i quali, dovendo spostarsi da una città all’altra, fissano un prezzo modico per il trasporto di occasionali compagni di viaggio, e così coprono le spese di benzina e altri consumi. Helmut, il fidanzato di Marisa, ci aspetta già in una pensione dove ha prenotato anche le camere per noi. ]

Martedì - rientro da Berlino alle 5.30 del mattino. Alle ore 10, noi napoletani siamo tutti convocati dal Prof. Lönne; poi andrò a mensa con Adriana.

Nel pomeriggio passo per il supermercato. Spesa. Rientro a casa sul tardi. Lo incontro nel viale, gira la bici, mi accompagna. Gli dico che qualcuno non vuole che lo si faccia entrare nell’edificio. Comincia a parlare in quel suo modo particolare, ma questa volta nella sua voce s’insinua una nota acuta, quasi stridula. La sua protesta soffocata è impotente contro l’ingiustizia del POTERE. Dice che sono tutte così le amministrazioni dei Wohnheime.[11] Anche la sua Hausmeisterin è così e non bisogna farci caso, ma mettersi al disopra e ignorarle… Quella nota alta stride in modo sempre più sottile.

Sulla porta della mia cameretta trovo un biglietto scritto a matita, appena leggibile:  “Hallo Teresa ! Ich war hier. Ciao. Niels ”. [12]

Mercoledì - mi aspettava anche stasera. Mi accompagna di nuovo e fa girare le ruote della bici stando in piedi su un solo pedale. Mi chiede quando potrà offrirmi una pizza. Accenno qualche scusa. Dice che la porterà qui da me, che non occorre andare fuori. Prometto: una volta o l’altra… Il gruppo dei Napoletani mi aspetta per chiedermi informazioni circa la gita a Berlino. Restiamo a parlare sul pianerottolo per una quindicina di minuti. Lui ci raggiunge e mi porge il cartone-vassoio delle pizze ‘da asporto’. Poi va via. Sollevo il coperchio: pizza alla napoletana  - marinara, con le acciughe - divisa in quattro parti uguali. Nel vassoio ce ne sono tre: la quarta, evidentemente, ha costituito la sua cena.  “Togliersi il pane di bocca”, si diceva una volta dalle mie parti - ma di solito ci si riferiva ai genitori nei confronti della prole…

Giovedì - Ha bussato e qualcuno gli ha aperto. Dopo qualche minuto era al primo piano. Ha chiesto di Christof, ma era un pretesto. L’ho ringraziato per la pizza e ho aggiunto : “ Ma perché? “ Risposta: “Das bin ich, das ist typisch von mir…” [13]

Poco dopo, in cucina, è riapparsa Angelika, l’Ebrea: il viso rosso è gonfio di stizza.

Gli ho detto con gentilezza: “ Niels, non dovresti stare qui”.  Risposta: “Ach so !” [14], poi si è girato ed è andato via, come un gatto senza casa, che lascia un angolo di muro abitato prima che qualcuno lo cacci via a pedate.

Venerdì… Sabato: non si è visto.

Domenica - gli ho chiesto scusa: gli ho spiegato che non potevo fare diversamente. Ha sorriso, come sempre, tirando in su gli angoli della bocca. In tali momenti gli sorridono anche gli occhi, le punte delle ciglia gli diventano più chiare… intenerisce come la vista  di un neonato, felice per la poppata appena presa.

Altra apparizione. Bussa al citofono. Credo ancora che sia Giovanni venuto a chiedermi aiuto per qualche nuovo problema. Mi sto truccando per uscire. Bussa alla mia porta, rispondo “ja”, poi “sì”, quindi apro io stessa. Resto un po’ a guardarlo con la vaga sospensione d’animo dei momenti di imbarazzo. Anche lui mi guarda per un po’, poi pronuncia un “liebe Teresa[15], che ha la dolcezza e l’intensità di un verso d’amore…

Ancora domenica. Christine (l’unica abitante tedesca della casa con cui si è stabilito un rapporto piuttosto confidenziale: dialogo, scambi di opinioni; siamo anche state insieme a cinema e a un incontro multiculturale organizzato da un’associazione islamica): mi fa un quadro apocalittico della situazione psichica di Niels. Accenna a episodi diversi - di cui non capisco praticamente nulla - per poi chiudere con una sentenza che equivale a un liturgico “Vade Retro !” Sarebbe un fenomeno di personalità scissa, così radicale che quando la ‘parte buona’ si rivolge a me, il suo stesso aspetto fisico, i tratti del volto, la sua espressione, risultano irriconoscibili, per chi conosca l’ALTRA. Da quel che mi si lascia intendere, sarei io sola - fra tanti - ad averne conosciuta la faccia buona…

Sarà per forza di suggestione, ma finisco per ammettere  con me stessa  che forse c’è qualcosa di vero. Il Niels che quando parla con me è una controfigura vivente di James Dean, prima che facessimo conoscenza - per così dire - lo avevo visto alcune volte nel parco: nei suoi tratti mi era parso di scorgere qualcosa di torbido e ne avevo un vago timore. »

                                                                  *****

Chiude il vecchio quaderno e lo getta nel cestino della cartastraccia. Poi lo riprende. Osserva le macchie che il tempo e l’abituale disordine  della scrivania - dove a volte  consuma anche i suoi rapidi pasti - vi hanno impresso. Che fare ? Ordine! Ordine…

Ma le metastasi avanzano… Saranno mani estranee, fra non molto, a fare piazza pulita di tutto, anche del vecchio pc. E Niels, appena ritrovato, finirà in discarica.  Meglio che lo faccia lei stessa… Ora !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Casa dello studente

[2]. Citazione da un celebre frammento di M. Proust

[3]. Pensionati studenteschi

[4]. “Prego!”

[5]. “Terribile!”

[6] . “Perché ? è normale, è la Germania!”

[7]. “Perché sei triste, Teresa ?”

[8] . “…e al mio amore eterno”

[9] Portinaia

[10]  Viaggiare insieme (dare/prendere un “passaggio”)

[11]. Pensionati

[12] .”Ciao Teresa! Sono stato qui. Niels”

[13]. “Io sono così, è tipico da parte mia…”

[14].”Ah, già!”

[15]. “Cara Teresa”


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