LA STIRPE DIVINA
(leggenda poetica)
I Poeti sono come angeli (de)caduti: figli cadetti degli dei, che - forse per un atto di superbia - persero il diritto di accesso e di dimora all’Olimpo.
La Poesia una volta doveva essere nel cuore di tutti. Era il respiro stesso della Natura confuso con quello degli Uomini. I quali, nelle lunghissime sere d’inverno, quando ancora non c’erano l’elettricità e la televisione, vedevano intorno a sé forme pure e ne capivano la bellezza, e sapevano ritrovarla nelle cose di tutti i giorni. Poi venne la Discordia, che assunse volta per volta la faccia del Diritto negato, delle Leggi necessarie, della Giustizia calpestata.
Allora la Poesia fu scacciata dal cuore degli Uomini e trovò rifugi sempre solo temporanei, qui e là, in alcuni mortali che si scoprivano poco adatti ai rapporti conflittuali e alla vita di tutti i giorni. Essi furono chiamati Poeti e considerati - a seconda delle situazioni, delle epoche, degli ambienti in cui si trovavano “gettati” - con tolleranza, con rispetto, con fastidio o con sufficienza. Ma qualche volta su di essi si scaricarono anche le tensioni e i rancori generati altrove, perché fra tutte le loro incapacità la più accentuata è sempre stata quella di far comprendere in che cosa consista la loro particolare diversità, rispetto al comune sentire - che tuttavia né affratella né rende solidali e chiari i rapporti fra i loro contemporanei.
In tutte le epoche e in tutte le latitudini i veri Poeti furono e sono soprattutto delle creature che hanno difficoltà ad inserirsi nelle strutture sociali dominanti, e che per questo chiederebbero solo di poter essere accolti senza diffidenze, e senza doversi snaturare per compiacere questa o quella fazione, in cambio di un diritto di cittadinanza che sarebbero pronti ad onorare con l’unica cosa veramente propria di cui dispongono: la Poesia.
(scritto degli anni '90 - pubblicato su Cosmoggi, periodico dell'ass.ne culturale Cosmopolis, sul n. di marzo-aprile 2001)
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