Nella Fossa
Un boato proveniente dalle gradinate troncò le parole sulla bocca del tribuno e l’attenzione di tutti tornò all’arena dove una dozzina di corpi giacevano per terra, morti o feriti; in piedi erano rimaste due sole coppie di combattenti: un lacqueator, che aveva già preso al laccio l’avversario e Valentinus che stava serrando Ostorio un po’ malfermo sulle gambe. Sdegnando i primi, l’interesse del pubblico si concentrò su questi due.
“Spedisci quel reziario a Caronte!” gridavano i sostenitori di Valentinus.
“Non avrai paura di quel secutore?” rispondevano quelli di Ostorio.
Non mancava, naturalmente il sostegno degli amici; quelli veri.
“Forza Valentinus! - lo incitava Marco - Sei il più forte!”
“Valentinus! Valentinus!” quello della piccola Keriat.
“Non dargli il fianco!... Attento alla destra. - e neppure mancavano gli avvertimenti di Milos. - Non sulla destra! Non sulla destra!... “
Era la prima volta, forse, che il principe trace guardava dall’alto, quella fossa insanguinata. Lui amava il rischio. Lui esultava quando sugli spalti i suoi tifosi urlavano di entusiasmo alla sua famosa “spaccata”. Quando, busto flesso e ginocchia protese, la rete appoggiata al braccio, quasi abbandonata sul fianco, aspettava l’attacco dell’avversario. Un atteggiamento che mandava in visibilio quella massa scatenata. La eccitava, creava confusione, la spingeva perfino a menar le mani.
E si eccitava anche lui al ruggito di quella belva. Belva più belva di tigri, tori e leoni. Belva che tanto più godeva quanto più lunghi erano gli spasimi dell’agonia di chi precipitava in quella fossa. Lo eccitava quel rombo finale di mille tuoni. Lo eccitava il silenzio precursore della lotta finale: il silenzio totale ed infinito delle decine di migliaia di respiri trattenuti.. l’attimo di estrema solitudine violentato dall’applauso intriso di piacere omicida. “Ahhh!” l’urlo che salì dalla fossa distolse Milos dalle sue emozioni: laggiù, il destino dei due gladiatori stava per compiersi.
Col braccio destro sollevato e pronto a lanciare la rete, Ostorio cercava di tenere lontano l’avversario con la punta del tridente.
Valentinus gli girava attorno saltellando allo scopo di afferrare un lembo della rete e tirarla a sé. Per farlo doveva ridurre al minimo la distanza e affrontare il tridente avversario. Un riuscì, strisciando sul suo scudo, a raggiungere il suo braccio e squarciargli il muscolo.
“Ahhh!” Valentinus cacciò un urlo; l’intera tribuna fece lo stesso, poi balzò in piedi.
“Ferita leggera.” gridò il magnifico atleta, mentre, con un formidabile colpo di reni arretrava di un paio di metri.
L’avversario incalzò; egli arretrò ancora. Di due o tre passi.
Ostorio imprecò, ma parve tornare baldanzoso.
(continua)
brano tratto da
LA DECIMA LEGIONE -Panem et Circenses
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