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L’inaspettato diario di Sarmatia ~ Episodio II

di Matteo Bona
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Pubblicato il 25/05/2017 15:48:04

Giovedì 18 agosto 2016

Prima giornata nella città di San Pietroburgo. 

 

Il risveglio è stato traumatico. 

La sveglia di sicurezza, ovvero lo squillo assordante di un telefono, mi ha fatto sobbalzare: la vertigine del sonno non s’è dissolta sino al caffè. Questa brodaglia bruna, dal vago gusto di bacche tostaste e bollite, era abbastanza gradevole, ma nulla è comparabile alla sontuosa colazione continentale che ci è stata proposta. Tutto qui sembra più grande, anche se meno ricercato. 

Appena usciti dal hotel ci siamo ritrovati nel bel mezzo di una melancolia nordica: un cielo gridellino si muoveva sinuoso, come un pellegrinaggio silente e lontano, e grossi banchi di nubi scure si stagliavano minacciose sul porto della città. Il programma era stato canonicamente programmato: giro panoramico di San Pietroburgo, pranzo in un ristorante turistico e visita al Palazzo d’Inverno, con annesso Museo dell’Ermitage.

Semplice, no? 

S’è dimostrato l’esatto opposto: il nostro autista, Boris, ha caricato una marmaglia di anime ancora dormienti, sedate e stroncate dalle braccia di Morfeo. La città non si sveglia presto, anzi: appena alzato, dalla finestra panoramica che dà sulla Moskovskij Prospekt, ho notato che - nell’arco di circa quindici minuti suonati - sono passate circa una decina di macchine. Erano pressappoco le sette e mezza del mattino e mi ha stupito che una città da cinque milioni di abitanti s’adoperasse ad andare a lavorare con questo ritardo. 

Il fittissimo traffico pietroburghese, famoso per il suo frastuono di marmitte, nasce verso le 9 del mattino e si dissolve verso mezzanotte e mezza; ma la reale stranezza è come tutta questa grande macchina umana si muova nel più esistenziale dei silenzi. 

Nessuno parla, se non gli ubriachi della notte: tutti sono avvolti nel loro giubbotto anti-vento, chi con una ventiquattrore e chi con un ombrello. 

Solo rumori di macchine o di mezzi pubblici, ma nessuna parola: nemmeno alla fermata dell’autobus la gente chiacchiera, anche solo per tenersi compagnia. Tutti scompaiono nelle membra di questa città senza fine e tutti si dissolvono in silenzio, come se si fosse partecipi di una morte apparente. 

 

Appena partiti inizia a sentirsi la voce della guida della città, Tania, che inizia ad elencare - palazzo per palazzo - la storia di San Pietroburgo: è splendido sentirsi confermare che la sensazione storica che ebbi precedentemente era fondata! Da palazzi della nobiltà zarista in servizio presso la corte imperiale ad edifici imponenti dell’ex URSS, tutto si conferma: ogni pietra, ogni cortile o giardino ed ogni canale hanno da raccontare qualcosa e l’indissolubilità della bellezza si perpetua eterna in percezioni sensibilissime. 

Borghese e nobile, sociale ed operaia, ogni mattone è storia: nuda e cruda realtà passata!

Dal Corso di Mosca ci siamo diretti verso l’antica zona dell’industria marittima, superando i fiumi Fontanka e Moyka: oltrepassato il corso ci siamo immessi nella Gorokhovaya Ulitsa sino a giungere alla Nevskij Prospekt. Infine, superato il meraviglioso Neva, siamo giunti dalle Colonne Rostrate, un’evidente citazione della Roma antica, la quale - dopo le vittorie - era solita ornare le colonne trionfali con i rostri delle navi nemiche abbattute o catturare. 

Dirimpettaio delle colonne, di là dal fiume, v’è la romantica vista del Palazzo d’Inverno, con le sue colonne bianche e dorate su infiniti muri verde acqua. 

Il fiume scorre mansueto ed un vento freddo s’è alzato dal golfo, soffiando a raffiche intense ma intermittenti: banchi di nubi dense fanno largo a radure cobalto, lasciando passare a tratti il tiepido sole del nord. 

Dopo aver passeggiato per una quindicina di minuti circa per visitare la zona delle colonne, con il suo annesso sbocco pedonale sul fiume Neva, siamo ritornati sull’autobus per dirigerci all’Isola dei Conigli. 

Abbiamo superato il Museo Zoologico percorrendo la Birzhevaya ploschad’ per poi  imboccare il ponte Birzhevoy most, posto su uno dei principali rami del fiume: il Malaya Nevka. Tutto il paesaggio sembra una gigantesca panoramica senza tempo, ove si scorgono istanti differenti della medesima storia, e la suggestione creatasi diviene una realtà anomala ma interessante. L’unione di questi due antitetiche caratteristiche genera una conturbante aurea di mistero e di muta indifferenza: come? Mi chiedo. 

Superato il fiume imbocchiamo la Kronverskaya naberezhnaya e, superando uno stranissimo ponte interamente in legno, finalmente giungiamo nell’Isola dei Conigli. Lì ha sede la Fortezza di Pietro e Paolo: una forte di mattoni rossi cotti dalle mura titaniche, in alcuni punti spesse anche 24 metri. All’interno si trovano le tombe degli zar e delle zarine, compresa la cappella commemorative dell’ultima famiglia imperiale. 

Nicola II, la moglie, le targhe delle quattro figlie - compresa la figlia scomparsa Anastasia - ed infine il piccolo Alessio; la storia si scrive inconsapevolmente ed ogni gesto diviene un eco funesto, oscurato dalla nebbia del tempo trascorso. Persino il ricordo storico diviene confuso, soprattutto per noi occidentali: tutto pare obnubilato da una fitta foschia, come se fosse naturale la non conoscenza degli eventi. 

Ogni orizzonte di verità si tuffa nelle profondità del passato ed il confine fra realtà e diceria si assottiglia vertiginosamente. La chiesa che custodisce le spoglie imperiali è affacciata sulla Petropavlovskaya Krepos, una via ciottolata con grandi sassi lacustri di differenti tonalità di marrone. Davanti si colloca la vecchia Zecca di Stato, un grande palazzo color aragosta, strutturato sulle solite monolitiche colonne bianche. 


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