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Il giorno libero

di Alberto Rizzi
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Pubblicato il 04/08/2017 19:09:21

        Si era scelto una vita da scapolo e un lavoro sulla strada; e arrivato ai cinquanta, gli erano comparsi come da copione i primi malanni, oltre ad avere una madre ultraottantenne ricoverata in casa di riposo, ma che non poteva certo dimenticare là come una radio fuori uso in una cantina, fingendo che non esistesse. Per fortuna il suo datore di lavoro era comprensivo e quando ne aveva bisogno, sia per lui che per lei, gli dava giornata libera, senza creargli troppi problemi: dopotutto avevano iniziato trent’anni fa quasi assieme, lui era uno dei suoi primi autisti. 

        Così si poteva prendere il lusso di gestire quella giornata coi suoi tempi, per esempio alzandosi e facendo colazione alle 10: come quel giorno, mentre nella strada di sotto la vita quotidiana aveva già preso da un po’ il suo ritmo. Un rumore secco e improvviso si sovrappose a quelli della gente e delle auto; un rumore che il ricordo della vita militare e di qualcuno dei film che ogni tanto vedeva, gli permisero di riconoscere subito. 

        “Sono arrivati anche qui.”, pensò. 

        Con cautela si avvicinò alla finestra; mettendosi quanto più possibile di sguincio e scostando appena la tendina, poteva vedere la via d’infilata. Alla sua imboccatura uno zombie in nero gridava qualcosa in arabo, brandendo un Kalashnikov. 

        “Non è la mia guerra…”, pensò. Non aveva una gran cultura: aveva iniziato a fare il camionista, subito dopo aver terminato una scuola professionale; ma era sempre stato curioso e si era tenuto informato come meglio poteva. E c’erano diverse cose, che non lo convincevano. Per carità, Assad sarà anche stato un gran figlio di puttana: ma era di sicuro nemico giurato di quei fanatici. Quanto all’ISIS riceveva soldi da alcuni Paesi arabi, che a parole li combattevano; e i governi europei, compreso il nostro, con quei Paesi ci facevano affari. Che senso aveva? Un mese prima la Turchia aveva abbattuto un cacciabombardiere russo, che bombardava le basi del Califfato; e la NATO, che assieme alla Turchia sosteneva di essere in prima linea in quella guerra, aveva detto che sì, ci poteva anche stare… 

          No, alla faccia di giornali e televisione, il conto non tornava. Ma per gli altri pareva proprio che non fosse così. Quelle volte che le discussioni coi colleghi erano finite sull’argomento, quando aveva cercato di far notare queste contraddizioni, non aveva avuto la minima soddisfazione: le risposte erano andate dal chiudersi nelle spalle con rassegnazione, agli sfottò di qualcuno molto vicino alla Lega. 

        Nel frattempo lo zombie in nero si era fermato di fronte a uno dei primi negozi della via, uno che vendeva soprattutto hi-fi, e aveva appena svuotato un caricatore sulla vetrina; ricaricò l’arma e ne vuotò un altro. C’erano di sicuro delle persone dentro, ma non si capiva se stava mirando a loro, o se si divertiva a fare a pezzi tutti quegli oggetti superflui. Poi si era piazzato in mezzo alla strada e aveva cominciato a guardare in alto, sparando qualche colpo contro le finestre dei palazzi e continuando a urlare slogan.

        Lui si ritirò un attimo e quando torno a spiare, quello aveva ripreso ad avanzare; udì i rumori di due auto che partivano a gran velocità. Lo zombie in nero si inginocchiò con calma e sparò una serie di colpi singoli contro di loro: uno stridore di lamiere gli fece capire, che una delle due auto era stata fermata, mentre il rumore più lontano dell’altra significava che ce l’aveva fatta. Quanti minuti erano passati? Tre, quattro? Il suo primo impulso era stato quello di afferrare il cellulare e chiamare le forze dell’ordine; ma poi aveva lasciato stare: chissà quanti l’avevano già fatto. E come mai non si sentivano sirene? Altra cosa che non quadrava. 

        Lo zombie in nero si era rialzato e stava sparando una raffica in aria, girato verso l’imboccatura della strada. Questo permise a lui di osservare un po’ meglio: c’erano due corpi all’inizio della via, seminascosti dalle auto e dagli angoli dei caseggiati; poi notò un anziano, rannicchiato come poteva dentro un androne quasi a metà della strada. Gli tornò alla mente che, alle medie, il professore di Storia aveva narrato di quando un vecchio era entrato in un teatro ateniese pieno zeppo di gente; e nell’indifferenza generale solo gli ambasciatori di Sparta si erano alzati, per cedergli uno dei loro posti riservati. 

        “Adesso si è arrivati che mandano dei disperati, strafatti di tutto, ad ammazzare della gente qualunque.” – Pensò. – “Ma la solidarietà è da un bel pezzo, che l’hanno ammazzata.” 

        L’anziano doveva essere molto fortunato; o lo zombie proprio strafatto, perché l’aveva superato, sempre rimanendo in mezzo alla strada. Più probabilmente le auto in sosta glielo avevano nascosto. Lo vide deviare improvvisamente verso il marciapiede di sinistra; lui sapeva che lì c’era un negozietto di alimentari, conosceva bene i gestori, naturalmente; si sentì una raffica, seguita da tre colpi singoli. Lo zombie in nero uscì gridando ancora e agitando il fucile. 

        “Non è la mia guerra, maledizione.”, pensò. Corse nella stanza vicina ed estrasse da uno stipetto la semiautomatica, che teneva sempre carica e che portava con sé nei suoi viaggi di lavoro. Calcolò che, quando fosse scomparso dalla sua visuale e tenuto conto che abitava al secondo piano, sarebbe stato a dodici, forse quindici metri sotto di lui; al poligono se la cavava bene, ma quello era tutto un altro affare: e lo zombie aveva di sicuro un giubbotto antiproiettile addosso, quindi provare a mirare alla testa, era un lusso che non poteva permettersi. 

        Quando non lo vide più, aprì di colpo la finestra, si sporse impugnando l’arma con entrambe le mani e gli esplose contro sei o sette colpi, mirando dalla cintola in giù. Un paio presero il bersaglio alle gambe e quello gridò e cadde, girando su se stesso. Lui si fiondò lontano dalla finestra, rotolando sul pavimento fino a rintanarsi nell’angolo alla sua destra. 

        Lo zombie in nero urlò un ultimo slogan, poi un’esplosione feroce mandò in frantumi i vetri di tutto l’isolato. Le sirene della polizia ancora non si sentivano.


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