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Supermonteradio 100.2 Mz - Cap. 1/5

di Michele Rotunno
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Pubblicato il 22/05/2011 18:06:18

Autunno, quasi inverno, 1977 – Nascita di un progetto

Da quando la nebbia ha cominciato ad avvolgere la sommità della montagna su cui si arrocca, come un muschio variopinto, l’abitato di Montepiano, la sera, puntualmente, la colonnina del mercurio scende di circa cinque gradi per cui l’orologio-termometro-datario piazzato sulla parete sovrastante la vetrina della cartoleria-edicola-tabaccheria di piazza Monumento segna costantemente circa dieci gradi al calar del sole riducendosi a poco meno di cinque all’approssimarsi della mezzanotte, e non si è che ai primi di novembre ma a settecentocinquanta metri di altitudine.
Come tutte le sere, in ogni periodo, tempo e stagione dell’anno, dalle ventuno in poi tutto il perimetro di piazza Monumento è una linea continua e ininterrotta di auto parcheggiate, e quando raramente qualcuna se ne va, sgommando, viene istantaneamente rimpiazzata.
La piazza è abbastanza grande da contenere così allineate una trentina di macchine aventi come unico comune denominatore l’autoradio ad alto volume, spesso intervallato da grida e lazzi degli occupanti intenti a sfottersi tra loro.
Il resto del paese appare come l’anticamera dell’obitorio ma piazza Monumento, con i suoi tre bar quasi equidistanti fra loro e l’altra piazza del paese, piazza Cavour, lontana circa duecento metri, con l’unica strada che la collega alla prima, pomposamente denominata corso Garibaldi, ma larga appena sei metri, pullula di vita sebbene tende a scemare con l’avanzare incalzante della notte.
Nella vecchia Ford Escort del sessantatré color amaranto sbiadito Franco Dicaro, sbadigliando e ruttando contemporaneamente, lacera un provvisorio silenzio e sbuffando di noia, dopo essersi puntellato con braccia e mani contro il volante, prorompe:
“puttana miseria, porca e maledetta, ogni sera è sempre la stessa solfa, se non si fanno le dieci quel morto di sonno non arriva. Mi sono rotto di aspettarlo”.
“perché hai di meglio da fare?” lo apostrofa sghignazzando Gino Plasmati, infossato nel sedile a fianco a quello di guida con le ginocchia puntellate sul cruscotto, suscitando l’ilarità del terzo occupante, a sua volta stravaccato lungo tutto il divanetto posteriore dell’auto.
”non riesce a stargli lontano nemmeno per un minuto che subito comincia a frignare, sta a vedere che è geloso!” insinua infatti a coronamento Savino Andrulli, schizzando a sedere per affrontare la scontata reazione plateale dell’amico che ridendo si è voltato fingendo un attacco manesco.
“un giorno o l’altro te la tappo per sempre quella boccaccia di fogna che ti ritrovi, ricchione sarai tu, provolone del cazzo!”
“ma la volete piantare tutti e due di rompere le scatole, ahoooooo!” reagisce a quel punto Gino, sfiorato da una pericolosa quanto casuale gomitata di Savino, ma che ottiene l’effetto di coalizzare gli altri due contro di lui.
“vostro Onore si disturba? – conferma infatti Franco e con un cenno del capo indirizzato a Savino – tienilo fermo che gli calo i pantaloni” continua eccitato.
In pochi istanti nella Escort non si capisce più niente, è tutto un groviglio di mani e braccia schizzanti da ogni parte mentre urli e gridolini d’ilarità colmano l’angusto spazio della macchia. Ma di tutto il trambusto interno ben poco traspare all’esterno, sia per i finestrini chiusi che per l’alto volume della radio. Unico segno della convulsa amichevole lotta sono i visibili sobbalzi della macchina di cui nessuno si interessa più di tanto. Improvvisamente, così com’era iniziata, la scherzosa baruffa cessa lasciandoli esausti e ansanti.
“Ragazzi non si vede più niente, tutti i vetri sono appannati. Franco, dove lo tieni quello straccio?” chiede Gino, e intanto con il palmo della mano toglie la parte centrale del vapore sul parabrezza.
“ehi!, quello non è Andrea, il gemello?, chiamalo e chiedi di Gionni” esorta rivolto a Franco, intento ancora a cercare lo straccio.
“Andrea – chiama questi ad alta voce il ragazzo che mani in tasca, ingobbito nel giubbotto jeans, con una cicca penzoloni dalle labbra, cammina spedito verso il centro della piazza – Andrea, dov’è quel morto di sonno di tuo zio?” Questi mal celando una nota antipatia verso di loro risponde scorbutico di non saperlo e che, comunque, a lui non interessa un accidenti di dove sia e cosa stesse facendo lo zio.
“uhuuu, ma come siamo delicati – punzecchia Franco, poi cambiando tono di voce ringhia – togliti dalle palle idiota frocio che non sei altro, se non vuoi che scendo e ti cambio i connotati”
“ma vaffanculo, stronzo” gli risponde per nulla intimorito il ragazzo che, comunque tira avanti senza fermarsi.
“ma tu guarda che educazione danno oggi a questi stronzetti…, sto cretino, non ha nemmeno diciott’anni e già si crede un padreterno, ma si stesse attento che un giorno o l’altro glie lo insegno io il modo di comportarsi. Stronzo e mille volte stronzo” bofonchia irritato Franco ma senza uscire dalla macchina per cui lo sfogo rimane solo di natura verbale. Gli altri due amici, pur condividendo l’indignazione con grugniti ed esclamazioni di vario genere, non accennano alcuna reazione perciò quest’altro fuocherello si estingue prim’ancora di accendersi.
“ehi Franco, cambia stazione, metti su radio Stella che per le dieci e mezza aspetto una dedica” dice Savino da dietro e rizzandosi a sedere, improvvisamente conscio dei minuti che mancano all’appuntamento.
“chi è questa volta, la frangetta del quarto liceo?” chiede Gino.
“no è una di fuori, l’ho conosciuta la settimana scorsa alla fermata della corriera a Senise, quando sono andato a prendere Lucia che veniva da Roma” specifica mentre Franco improvvisamente mostra il proprio interesse nei confronti di Lucia, la sorella di Savino.
“e’ tornata Lucia e non mi dici niente?, a proposito come si è fatta?”
“è sempre bionda, te lo dico io che l’ho vista con il ganzo ieri mattina” interviene ridendo Gino ammiccando a Savino. Entrambi sanno del debole di Franco per la ragazza ma, per pudore verso l’amico, non osa avvicinarla. Tanto basta che gli altri, compreso Savino, a denti stretti, lo prendano spesso in giro, divertendosi a vederlo arrossire come un’aragosta.
“che canzone ti dedica questa qui?, come si chiama a proposito?”
“Angela, ma non è una canzone vera e propria”
“cioè, che significa non è una canzone vera e propria? Chiede Gino.
“Voglio dire che non è la solita canzone del solito cantante” risponde ancora più confusamente.
“senti, come si chiama” insiste allora spazientito Gino.
“è la colonna sonora del Padrino, cantata da Dorelli in italiano, quella che fa “parla più piano….”eccetera”.
“dì, sei sicuro che la dedica sia per la simpatia e non perché la tipa ti ha forse conosciuto bene, chiacchierone come sei .”interviene Franco ridendo.
“bla, bla, bla, invidiosi!” Tronca Savino piccato dall’ilarità degli altri.
Per alcuni minuti a seguire i tre amici rimangono in silenzio ad ascoltare la colonna sonora del Padrino, ognuno immerso nei propri pensieri o alle prese con la personale fantasticheria.
Quella quasi surreale atmosfera viene infine rotta da un grugnito di Franco appena scorge in lontananza la sagoma del quarto amico, quello che ancora manca all’appello. Giovanni Ferrara, Gionni per gli amici, è infatti spuntato da un vicolo in fondo a corso Garibaldi, quasi in prossimità di piazza Cavour, e in direzione diametralmente opposta alla propria abitazione. Avanza con le mani insaccate nel giubbotto di tela jeans, completamente abbottonato e con il colletto alzato. La testa china come a proteggersi da un impetuoso quanto inesistente vento, e la sigaretta infilata strettamente tra le labbra. Cammina spedito senza alcuna necessità di guardarsi intorno alla ricerca degli amici tanto sa benissimo dove stanno. A testa bassa, quindi, procede verso piazza Monumento a passi lunghi e con gli occhi quasi chiusi perché infastiditi dal fumo della sigaretta.
“ma da dove cavolo viene, quel disgraziato? Non sta venendo da casa” esclama Franco rizzandosi a sedere e cominciando ad armeggiare con uno sgualcito pacchetto di Gitane alla ricerca di una mezza cicca precedentemente fumata a metà e poi conservata. Tra le rimostranze di Gino verso la puzza della mezza cicca Savino riprende lo sfottò di poco prima.
“te lo avevo detto che è geloso il ragazzino! E dai Franco apri almeno il finestrino per la miseria santissima, se no ce ne usciamo!”.
“e poi dov’è scritto che deve rendere conto a noi delle sue mosse” completa Gino, ma subito dopo aggiunge “chi ci abita da quelle parti? Non è che il fetente si è fatto abbindolare da qualcuna e non ci ha detto niente?”
“già, così sarei io quello che pensa male!” sostiene allora Franco.
“dai, zitti che sta arrivando” sussurra Savino.
“embèh!” esclamano in coro gli altri, ma subito cambiano discorso perché Gionni è ormai giunto a pochi passi dalla macchina.
Senza dire alcuna parola, Gionni apre la portiera posteriore, dietro a Franco che sta alla guida, sputa lontano il filtro della Lido, ormai quasi raggiunto dalla brace, e si infila nella Escort.
“che schifo di tempo, non si vede un accidenti ed è così umido che ti bagna le ossa”. Brontola con voce rauca e strascicando le parole.
“Uh! Esagerato!” risponde ridendo Gino, che dei tre è quello con cui lega di più. “dì, piuttosto, da dove cavolo stai venendo? Casa tua, se non sbaglio, è esattamente dall’altra parte”.
“e chi ha detto che venivo da casa!” risponde enigmaticamente Gionni.
“abbiamo chiesto a tuo nipote poco fa e ci è sembrato che così avesse detto” specifica Franco, senza accennare al diverbio con Andrea,
“uh! Mi stupisce che ti abbia risposto senza mandarti a quel paese”. Commenta Gionni ben al corrente del pessimo rapporto esistente fra i due.
“insomma ce lo dici da dove vieni o no?” sbotta spazientito Savino e subito aggiungendo” non è che ce ne freghi più di tanto, comunque, questo sia ben inteso. Ma quando si va millantando una decennale amicizia…..”
“ma che vuoi? Visto che non ve ne frega mettiamoci pure una bella pietra sopra, ma di quelle grosse, anzi un macigno” risponde Gionni senza concedere alcuna soddisfazione alla curiosità degli amici. Al che Gino, guardandolo in tralice ma sorridendo, lo apostrofa:
“che figlio di una buona donna!, scommetto che hai fatto apposta tutto un giro così lungo per farci credere chissà cosa”, e visto che Gionni continua a tacere s’intromette Franco con una domanda diretta.
“scommetto che ti sei fatto una ragazza fissa, ma chi? Se passi tutto il tuo tempo con noi”.
“sarà una collega delle elementari” indaga Savino. Niente, Gionni tace.
“aspetta, aspetta, da quelle parti non abita Graziella, quella della segreteria?”
“Graziella? Ma sì, hai capito il bellimbusto, punta al meglio”.
“no, no, frenate ragazzi, Graziella sta con Tonino della scuola guida, li ho visti insieme ancora oggi”
“allora, faccia di rospo, ce lo dici o no!” sbotta infine Franco.
“no”. Risponde ermeticamente Gionni, col tono di chi intende archiviare l’argomento e a conferma di ciò scandisce “non sono cazzi vostri!”.
I tre si guardano allora sconcertati e fingendo un malanimo assolutamente inesistente gli voltano, per così dire, noncuranti le spalle. Gionni, allora, emettendo sospiri di vittoria, allunga un braccio e con le punta delle dita cambia stazione radiofonica esclamando:”che cos’è questa lagna, trova una radio più allegra, che ne so, sintonizzati su radio Stella, che sentiamo almeno qualche fregnaccia”. Inviperito Savino reagisce “era già su radio Stella, imbecille!”. E mentre gli altri due davanti sghignazzano Gionni risponde a filo di voce “scusa”.
“scusa un cazzo”.
“non lo sapevo, mi dispiace, perdonami, perdonami, non lo faccio più”. Sbeffeggia.
L’evidente presa in giro di Gionni, oltre a scatenare le risa di Franco e Gino, fa sorridere anche Savino che esclama “che stronzo!”.
“te l’hanno già fatta la dedica del Padrino?” chiede fingendosi interessato Gionni.
“e tu che cazzo ne sai?” domanda sospettoso Savino mentre gli altri due rizzano le antenne meravigliati.
“oh, niente, una certa Angela mi ha chiamato stasera a casa chiedendomi se il brano sarebbe stato di tuo gradimento. Fino in fondo, gli ho risposto. La poverina sapessi come era felice e sollevata. Se non era al telefono mi avrebbe sommerso di abbracci e baci di contentezza”.
“maledetto bastardo, come lo hai saputo?” insiste furente Savino.
“già, come?” chiedono gli altri due.
“ho le mie fonti d’informazione” replica secco Gionni, “e il giorno in cui non mi romperete le scatole ve lo dirò. Ma adesso nisba. Chiaro?!”
Savino avrebbe voluto continuare la discussione, in fondo è l’unico veramente interessato alla vicenda, ma Gino gli fa cenno di lasciar perdere, quasi a dire “me lo lavoro io, dopo”. In verità Gionni ha semplicemente sommato due più due. In mattinata aveva incrociato Lucia, la sorella di Savino, che non vedeva da circa due mesi, appena tornata da Roma dove frequenta la facoltà di lettere, e durante la chiacchierata aveva saputo che il fratello, in attesa della corriera aveva fatto conoscenza con quella Angela, una ventenne di Corleto. Quando era scesa dalla corriera aveva captato qualcosa circa una dedica a radio Stella, ma niente di più. Gionni, sapendo che l’amico ha una fissa per quel brano e che la tipa, Angela, solo la sera aveva del tempo libero, a detta di Lucia, ha fatto quadrare tutte le informazioni azzeccando infine la dritta. Se ne sta, pertanto, rintanato e gongolante nel suo angolino di macchina, trattenendosi a stento dal ridere vedendo l’espressione scombussolata dipinta sul volto dell’amico. Embé sono piccole ma appaganti soddisfazioni!.
Per una mezza dozzina di minuti in macchina regna un relativo silenzio, verbale, poiché oltre all’autoradio accesa ognuno inganna il tempo con propri movimenti. Infine è Gino a rompere la tregua invitando Franco a cambiare stazione radiofonica, ovvero a cercare una emittente nazionale “purché non si senta più la voce di questo cretino delle dediche” sostiene sbuffando.
“vuoi che metto su Raitre” provoca Franco.
“sei scemo, tanto vale tenerci il cretino, allora. La lirica proprio non mi attizza”.
“visto che sei così esigente perché non te la fai per conto tuo una radio su misura?”
“perché, credi che non ne sia capace?”
“già, in fondo che ci vuole?” s’intromette Savino “quattro dischi e un megafono”
“e le dediche?, a chi le facciamo fare?, a Gionni, che legge nel pensiero della gente?”
“Solo a quello delle ragazze”.
“che ricominciamo?”
“mamma!, quanto sei permaloso, ancora non t’è passata?”
“passata a me?, ma che vai dicendo, mica sono io quello che se l’è presa”
“come vuoi!, tra dieci minuti ti richiamo”.
“ecco, bravo, stattene a cuccia. E tu la vuoi trovare una radio decente!”
“senti chi parla! Che musica vorresti sentire? Ovviamente italiana visto che non spiaccichi una parola che sia una d’inglese”
“a Gionni è sufficiente dargli l’elenco delle canzoni di Sanremo, non è vero Gio…?”
“non parlavo di canzoni, mi riferivo alla musica, quella non ha lingua”.
“beh, ragazzi, su questo Gionni ha ragione, ci sono delle musiche straniere che sono la fine del mondo. Neanch’io so pronunciare bene i titoli ma ad averne!”.
Gino, nel frattempo si è zittito di colpo, come folgorato da un improvviso pensiero e, dopo che anche gli altri si sono zittiti, quasi timidamente se ne esce con un profondo interrogativo, non immaginando l’importanza per tutti gli eventi futuri:
“ragazzi, cosa ci vuole veramente per farla?” sollecita con un’espressione seria.
“per farla cosa?” gli domanda Franco.
“ma una radio, ovviamente” risponde Gino con l’aria più naturale del mondo.
“Una radio?, che ti da di volta il cervello, per caso?”.
“chi ti fornisce l’erba?” domanda ridendo Savino, mentre il solo Gionni scruta in silenzio l’amico, perplesso circa la serietà dell’osservazione.
“non sto scherzando, parlo seriamente”.
“veramente parli sul serio?” chiede meravigliato Franco che, nel frattempo, è riuscito a sintonizzarsi su un’emittente che trasmette solo musica non stop.
“sì, seriamente, che ci vuole per mettere su una radio? A parte un locale idoneo e un po’ di attrezzatura….?”
“e qualche soldino” completa per tutti Savino, con l’anima del commerciante qual è.
“ragazzi – sbotta Gino spazientito – con voi non si può mai fare un discorso serio. Che ci trovate di tanto scandaloso? Forza pensateci sopra, per mettere su una radio, in fin dei conti, cosa ci vuole, burocrazia a parte? Un locale, delle apparecchiature e poi?”.
Stimolati dalla caparbietà di Gino gli altri si conformano alla serietà di quella improvvisa argomentazione e nei minuti e giorni successivi, infatti, si mette in moto una macchina destinata a non fermarsi più.

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