Pubblicato il 22/03/2018 23:52:55
Non ha peli sulla lingua questo poeta dissacratore, anche se c’è rimasto ben poco da dissacrare, dato che il vero sacro è espatriato, insieme col sacro vero, da un bel pezzo. Ma se non proprio il sacro, da sbeffeggiare ci sono ancora torme di semidei terreni, uomini di soldi e di potere che si credono padreterni e albergano in facsimili plastificati di paradisi terrestri, tipo le Istituzioni Europee, oppure gli uffici di Mediaset, oppure le più blasonate Case Editrici. «Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni,/ la Merkel tuona da Bruxelles minacciando risoluzioni/ del Consiglio Europeo, in cui siedono retribuiti in modo sovrannazionale/i vari prestanome dell’una o dell’altra multinazionale/…».Né si salva la folla dei conformisti dell’intelletto: gli intellettuali, gli scrittori, gli artisti, verso i quali si sente rabbiosa pure l’eco di una sorda guerra generazionale: «i dati sociologici ci dicono che s’è alzata l’aspettativa di vita artistica,/magari con pasticche di Viagra a sbloccare afflussi alla vena conformistica,/e noi ‘generazione dimenticata’, a quarant’anni vagiamo rannicchiati in posizione fetale,/accompagnati da cinquantenni e sessantenni in piena crisi puberale». Neppure i versi rivolti agli amici smettono la veste fintocinica e strafottente: «Per una sera abbandoniamo il sarcasmo/e aiutami a continuare a sbattermene di tutto». Come si vede, della poesia che conosciamo c’è rimasta solo la rima che funziona anch’essa da flagello (soprattutto in cauda venenum). Quanto al resto, è difficile risalire a qualche altra fisionomia poetica consacrata da modelli. Ma non è proprio questo che cerca l’autore? [recensione a Qui gli Austriaci sono più severi dei Borboni, Limina Mentis, 2015, sulla rivista Incroci].
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