Pubblicato il 04/08/2012 15:46:01
Le Avanguardie destrutturanti dell'arte, che corrispondono, in filosofia, alla distruzione dell'epistéme metafisica, si diluiscono al presente come "arte terapeutica". Come l'uomo deve credere alla morte per distruggerla e inventa poi rimedi, filosofici e pratici, sempre più complessi, all'angoscia determinata dal Divenire (=Morte), cosi' l' "artista" - oggi quasi tutti, l'arte è di massa - elabora l'art therapy come procedimento esplicito di terapia, l'agire artistico diventa auto-terapia, rimedio al disagio esistenziale che segue la distruzione di canoni estetici come dei valori epistemici. Quasi che la vita sia ormai diventata una malattia. Il meccanismo si ripete: la storia dell'uomo è (anche) storia dell'elaborazione di rimedi a cio' che egli stesso ha "creato" (crede di aver creato). L'impossibilità del non-agire - l'agire essendo consustanziale all'uomo - sta al fondamento di questo meccanismo. L'agire essendo distruzione che si crede creazione, poichè afferma il diventar altro di ogni oggetto dell'azione (compreso lo 'spirito', l' 'anima', e simili), chiama necessariamente un rimedio alla distruzione, cioè a se stesso. Ed è necessario che questa aspirazione a un rimedio oscilli tra il ricorso a specialisti (psicologi, psicoterapeuti, attori di svariate discipline sempre più specialistiche) e una terapia auto-gestita, generalizzata ma individuale, cioè di massa. Tutto cio' non sottintende alcun giudizio negativo: è solo la descrizione di un processo necessario alla liberazione dell'uomo da se stesso. Sottintende invece che questa vita/malattia e vita/terapia non avrà l'ultima parola: accompagna il crescente dominio della tecno-scienza e tramonterà con esso. Ma noi, qui e ora, siamo ricercatori.
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