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Due poesie di Juan Armando Rojas

di Matteo Veronesi
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Pubblicato il 21/08/2014 19:51:18

La poesia di Juan Armando Rojas (docente di letteratura spagnola alla Ohio Wesleyan University, e autore di raccolte fra cui spicca Río vertebral, Fiume di vertebre, da cui sono tratti i due testi che presento) è strettamente legata all'immagine e all'idea della frontiera: quella arida e ardente, torrida e consumata che divide il Messico dagli Stati Uniti; quel lembo di deserto segnato dalla disperazione e dalla speranza dei migranti, ma anche dal sangue del narcotraffico e del martirio (misterioso ed inesplicabile se non alla luce, o meglio nel buio, di un machismo folle ed assurdo) di una grande numero di donne.

Fra queste, per inciso, Susana Chavez, poetessa ed attivista, a cui si attribuisce l'invenzione del motto ni una mujer màs, ritrovata con la lingua e una mano mozzate quelle, nel muto e cruento linguaggio dei carnefici, con cui non avrebbe dovuto mai parlare e scrivere sebbene le autorità abbiano avuto cura di precisare che l'omicidio nulla aveva a che vedere con la militanza poetica e civile dell'autrice. (Ma diverse, per inciso, sono le poetesse, le dolorose ed assorte Muse del deserto, che laggiù levano la loro voce sommessa e altissima: come Micaela Solís, con la sua accorata Elegía en el desierto: «Enredada en sus calles, la ciudad, / impávida ancla la muerte / en la profundidad de su silencio. // Enredadas sus horas y sus días / en las pérfidas mentiras de la luz, / amanece exhausta del último naufragio» ‒ «Avvolta nelle sue strade, la città, / impavida àncora la morte / nella profondità del suo silenzio. // Avvolti i suoi giorni e le sue ore / nelle perfide menzogne della luce, / sorge esausta dall'ultimo naufragio» ‒ o come quelle, fra cui Martha Urquidi, dalla vena più sentimentale, sensuale, e insieme metafisica, ma sempre segnata dalla luce immensa, intensissima, quasi dolorosa, del deserto ‒ luce di desolazione, di azzeramento, ma anche di verità e di rivelazione, di vastità, d vita che si rinnova : «En la luminosidad sobre los mares infinitos , nunca duermen la noche ni el día, ni los incandescentes danzantes eternos en los confines del mundo» ‒ «Nella luce sui mari infiniti non hanno riposo la notte né il giorno, né gli ardenti eterni danzatori entro i confini del mondo»).

L'immaginario della poesia di Rojas sembra ruotare intorno ad un triplice nodo, in sé multiforme e tortuoso, di temi e di motivi: la frontiera, le vertebre, il fiume. Frontiera come barriera, come limite, ma anche come passaggio ‒ stasi e movimento dunque, ostacolo e invito ad andare, limitazione e possibilità ‒ com'è, in fondo, nella natura stessa del linguaggio poetico, che ubbidisce allo spazio e al limite del verso, della pagina, del respiro, nel momento stesso in cui li crea, li definisce, o li riplasma. E fiume-vertebre ‒ vita e morte, fluire terso ed animato, perpetuo moto, assidua metamorfosi, ma anche residuo inorganico, traccia disseccata di una vita svanita, montaliana aridità di greto e di detrito ‒ e, in pari tempo, Albero del Mondo, tramite fra terra e cielo, veicolo del teotl, dell'universale energia vitale che, secondo le cosmologie precolombiane a cui l'autore si sente forse atavicamente vicino, permea l'universo e anima la natura con il suo perpetuo trascorrere e il suo molteplice, inesauribile manifestarsi, il suo ramificarsi lungo i corsi sotterranei e le nascoste ossature chiusi nel vasto grembo del reale.

Il lettore italiano percepisce, nel primo dei due testi riprodotti, una consonanza dannunziana. Eppure niente più di questa poesia, che conosce l'aridità, la sofferenza, la desolazione più prosciugata e sconsolata, è lontano dall'immedesimazione panica con una «arborea vita», un «verde vigore» rigogliosi, turgidi, perennemente rinnovati. Nulla è più lontano dall'estasi meridiana, dal rapimento dionisiaco, da qualsiasi forma di edonismo e di estetismo. Semmai, si potrebbero citare l'«albero mutilato» di Ungaretti, o il «secco greto», la «reliquia di vita» di Montale ‒ se non ci fosse, in sottofondo, il brusio soffocato del teotl, il persistere e il riaffiorare, a tratti, di una perpetua forza vitale che si ostina, anche nel degrado e nell'umiliazione, a voler vincere la morte, di una dignità che vuole essere più forte di una sofferenza iniqua, contrastare la feroce forza che possiede il mondo. (Matteo Veronesi)

 

 

Contemplación

 

De lluvia es el desierto

De lluvia las ciudades que lo habitan

La lluvia para ahogados

de puentes y fronteras

 

Regreso a casa

También lloverá

Regreso a casa

 

Llueve de tiempo

llueve de spacio

Llueve de espaldas

junto al de enfrente

Llueve en la superficie

de una gota de agua

Llueve en silencio

sobre el mar de fondo

Y llueve entre las vértebras del río

 

la lluvia en nuestra ropa

La lluvia en el cielo

La lluvia en astrolabios

Llueve del otro lado

 

Llueve al filo del agua

 

Durante el día

el camaleón se esconderá en la lluvia

porque de noche

solamente lloverán gatos pardos

 

Si llueve en el desierto llana será la lluvia

 

 

Contemplazione

Di pioggia è il deserto
Di pioggia le città che lo popolano
            Pioggia per gli annegati
                  di ponti e confini

Ritorno a casa
        Ancora pioverà
              Ritorno a casa

Pioggia di tempo
             pioggia di spazio
Piove dietro le spalle
             addosso a chi hai di fronte
Piove sulla superficie
             di una goccia d'acqua
Piove in silenzio
             sul mare profondo
       E piove fra le vertebre del fiume

La pioggia sulle nostre vesti       
       La pioggia nel cielo
            La pioggia negli astrolabi
                 Piove al di là


Piove a fior d'acqua

             Durante il giorno
                      il camaleonte si nasconderà nella pioggia
             perché di notte
                      pioveranno solo gatti neri  
            

Se piove nel deserto piana sarà la pioggia

 

 

 

 

Repercusiones de una ciudad llamada Juárez

A esas mujeres rotas

 

Terregales de un polvo blanco que se transpira

suciedad

blancura de la sociedad

ritmos que se injertan en los ladrillos

 

Ciudad desubicada entre sus casas

tan sola tan enteramente sola

tan alejada de Jerusalén

por la circunferencia de la tierra

 

Hagamos oración por la ciudad que sangra

por la mujer que espera un puesto en la maquila

arranquemos los cables y mastiquemos

el azufre almendrado de los coches

 

Llegaremos temblando

hoy se terminó el trabajo en la fábrica

hay tres pares de ojos que me observan

tienen hambre

 

Oramos por la migración de los mojados

al darnos cuenta de que nos encontramos solos

entre las manchas mercuriales en el espejo

se desvanece la memoria de los puentes

 

Hablemos de esta ciudad a nuestros hijos

que no aparece en el mapa

crucifiquemos los brazos de este cielo

con mayor derecho que el vecino

 

Busquemos a las desaparecidas

entre las aguas

y sus médanos

donde siempre sobrará basura

 

Busquemos a las violadas

en la construcción geológica de nuestros hogares

entre las dunas blandas y su arena fresca

y el calcio de sus huesos

 

Hablemos de los latidos del puente

del poco oxígeno que se respira

en el minuto y medio de silencio

a que es acreedor todas las noches

 

Hacemos un círculo e imponemos

nuestras manos orando por el alcohol y la poligamia

rasguñamos el hielo ardiente del asfalto

esta batalla en el desierto

 

Las sombras de los ahorcados

rueguen por nosotros

por la fragilidad y el alto precio de una casa subsidiada

escúchennos

 

Por el segundo que separa un milenio de otro

recordemos la línea divisoria

el furgón en que mueren los mojados

la costumbre del silencio

en donde terminó el río bravo

en donde comenzó el río grande

 

Iniciamos la oración

para lograr el reino de los suelos

por los sueños

de los sueños

de los días

ahora y siempre

 

 

 

 

 

Risonanze di una città che ha nome Juárez

 

Alle donne spezzate

 

Lurida tempesta di una polvere bianca

che trasuda marciume

biancore della società

ritmi che strisciano fra i mattoni

 

Città smarrita fra le sue case

così sola così completamente sola

così lontana da Gerusalemme

per la circonferenza della terra

 

Leviamo una preghiera per la città che sanguina

per la donna che cerca un posto in fabbrica

strappiamo via i cavi e mastichiamo

la mandorla sulfurea delle macchine

 

Arriveremo tremanti

oggi è finito il lavoro alla fabbrica

ci sono tre paia d'occhi che mi fissano

affamate

 

Preghiamo per la migrazione dei pezzenti

mentre ci accorgiamo di sentirci soli

fra le chiazze di mercurio sullo specchio

si dissolve la memoria dei ponti

 

Parliamo ai nostri figli di questa città

che non compare sulla mappa

inchiodiamo le braccia di questo cielo

con più certo diritto del vicino

 

Cerchiamo le scomparse

fra le acque e le dune

dove sempre regnerà la spazzatura

 

Cerchiamo le stuprate

nella geografica costruzione delle nostre case

fra le dolci dune e la sabbia mite

e il calcio delle ossa

 

Parliamo del batticuore del ponte

del poco ossigeno che si respira

in quel minuto e mezzo di silenzio

di cui è degno ogni notte

 

Tracciamo un cerchio e stendiamo

le nostre mani per l'alcol e la promiscuità

grattiamo il ghiaccio ardente dell'asfalto

questa battaglia nel deserto

 

Le ombre degli impiccati

preghino per noi!

per la precarietà e per il prezzo di un alloggio popolare

ascoltateci!

 

Per il secondo che divide due millenni

ricordiamo la linea di confine

il cassone in cui muoiono i pezzenti

l'abito del silenzio

dove il rio bravo ebbe inizio

dove il rio bravo ebbe fine

 

Diamo principio alla preghiera

per guadagnare il regno della terra

per i sogni

dei sogni

dei giorni

ora e sempre


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