Ognuno è vicino alla sua polvere
di ricchezze private, di carezze
intimamente clamorose-
l’ossigeno, e due pietre
nude, sotto il sole
più lungo della notte
ho sognato Ashem Shabani
Altro non è lo sguardo azzurro
la mia visione umile improvvisa,
tra una luce sfiorata e la penombra,
un destino impronunciabile che chiama
la vita nuda gioia di una voce
benedetta dall'esistenza e dal suo peso
come nulla è vero ammutolisco
e sciolgo le domande nella cera
con le mani più infantili che conosco;
mi ripeti “ovunque sei
esisti se sorridi
tra le infinite madri della luce
con la lingua della lupa che altri lupi
hanno già percorso, con i lasciti
e le urine. Da qui ricominciamo
bagnando i nostri sessi nell’ascolto."
Il succo delle arance dentro agli occhi
spingendo sulle palpebre le mani-
alzava al mio risveglio quella voce
mutando le parole con la pelle-
e un fascio di capelli nello sguardo
per svelare ciò che in ultimo ci copre
dove l'aquila si ciba del leone,
nel luogo più profondo, il più elevato,
che sbuca nei polmoni come in piena,
con l’odore, poi, nel suo silenzio.
Senza chiedere o rispondere di quando
il nostro petto stava unito a meraviglia
come se fosse già detto o l’indicibile
mostrasse in una luce comprensibile
la grazia del contatto. Sei tu stesso,
se un alito distacca la radice
di tutto ciò che sulla terra cresce,
lo scavo nella carne e quel riparo
dove posso saltare nella luce
che si apre per l’ebbrezza, e la violenza,
tra il nome che rimane e chi va via
nel buio che precede l’innocenza,
è il miele alla Signora dell’agave
dove l'acqua nel bianco si ritira,
nel bianco delle rose di un'altura,
nel nostro impossibile morire.
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