In campo Santa Margherita,
gentile e sicura, sulla soglia
di settembre, si scioglie la vita.
Ad accordare sono venuta
un sordo violino, un’arpa pentita
all’urto generoso
del vetusto e dello sconosciuto.
Sugli scalini dell’istante
assaporo l’indiviso minuto
nell’aria colma di campane,
d’interezza di gesti raggiante.
Scrivo segni sull’acqua del canale.
Li scrivo già perduti. Sillabe
disfatte. Saette della mente.
Venezia, mia sete diletta,
Venezia, mia dimora, mio esilio,
scorre in fretta, scorre via
la sincera clessidra.
Per testamento ti lascio, Venezia,
l’inerzia dell’essere,
tutti i nomi dell’acqua,
la ragnatela della mia ignoranza,
tutta l’arte di sciogliere me
nell’irrisolto compito incognito.
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