Ancora mettono segni, apostrofano
il marmoreo con saluti,
avvicinano la bocca al cemento
pensando di scavargli una risposta.
Mentre sorridono e fanno un passo
avanti la vita, con i piedi ed il busto
eretti sopra dove riposi, perpendicolare
senza linfa, ma con i nodi giusti per
l'intaso mortale, mentre giocano, ti
credono in mezzo, con la disinvolta
franchezza distratta di un partecipante
annoiato. Bisognerebbe dirglielo,
e calciargli via l'ardire , smanicargli
la voglia inopportuna di raccontarti
cose che andavano dette prima.
Intanto qui è freddo nuovamente:
al cielo sembra sfuggire la sorte
della primavera. Così come gli sono
sfuggiti gli anelli delle tue ossa,
tronco ancora tenero,
in espansione.
O una via di esonero per tanto,
inutile strepito.
Ed ha pensato così, sempre lui,
cielo e boia,
d'un tratto, di liquefarti il capo,
sbordarti la resistenza,
sfilacciarti fino all'ultimo
dai gomiti, dai tarsi e dalle nocche.
Come se spurgasse un
giovane, gustoso carapace.
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