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Che cosa faccio qui

di Luca Tegoni
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Pubblicato il 20/12/2018 07:56:21

Quando vedo le teste calve

e ancor di più il colore bianco

dei capelli vecchi

resistenti al tempo che passa

dei miei compagni di giochi,

poi amici,

oppure di quelli più grandi

che facevano cose

che forse, dopo qualche tempo,

avremmo fatto anche noi,

 

allora mi guardo intorno

e mi trovo in piazza

nella solita piazza

della mia città

disprezzata, sconsiderata, sopportata

e milioni di capelli dopo

ancora lì ed io con lei

forse un po' più compresa

ad attendere che m'accolga,

dopo tutto questo tempo

in fuga

e poi di ritorno.

 

Le vetrine coi nomi che cambiano,

ma non tutti,

ed è lì che si capisce

quanto tempo sia passato,

riflettono la mia immagine

che continuo a riconoscere

sempre fuori posto

sempre casuale

sempre come se non dovesse essere riflessa.

 

Paurosamente o timidamente

distolgo lo sguardo

come se non fossi li

a due passi dai portici,

oggi del grano

ieri,

quando volevo andarmene,

del comune.

Invecchiano anche i nomi

per tornare importanti

per avere un'identità

o un'origine,

una esclusiva esistenza

che si crede comunità.

 

Poi come sempre mi accade

per trovare la bellezza

che mi rasserena

e aggiunge un po' di felicità

alla mia giornata,

qualche cosa

che assomiglia all'amore,

raggiungo il lungo torrente

e lo percorro dal Ponte di Mezzo

verso il Ponte Italia.

 

Verso sera le luci

del tramonto sovrastano i caseggiati

e poi si incastrano tra di essi

creando ombre e riflessi

che si immergono nell'acqua

che scorre, quando scorre, della Parma.

Poi ritorno per cambiare

la prospettiva e i colori

più pieni e quasi maturi

che da Ovest raggiungono la città

a poco a poco si spengono

dietro le case dell'Oltretorrente.

 

Al Ponte di mezzo

resto sulla Via Emilia,

chiusa la città tra San Pancrazio e San Prospero,

accarezzo i capelli che sopravvivono

e mi chiedo che cosa ci faccio qui

nonostante il torrente

la luce radente che abbaglia via D'Azeglio,

le biciclette che arrancano per passare sul ponte,

i fili dei filobus,

i ragazzi che scherzano e bestemmiano

e ancora non sanno che tra cinquant'anni saranno ancora qui

a camminare per questa città eterna

che profuma di nebbia quando fa freddo

che profuma di sisso quando fa caldo

senza nemmeno guardarla

per capire

che ne è stato del loro futuro.


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