Ho rubato al telefono la tua rabbia,
adombrata da nuvole di malinconia,
e da vuoti cliché donna/ forte donna / sicura,
tutta sesso e odore di mimosa.
Ho rubato i tuoi 30 denari,
nella certezza che tu, mai, mai nella vita saresti riuscita a incastrarli
nei torrenti torridi della macchinetta jukebox, incassata,
una domenica mattina, senza scontrini, nel mio stomaco.
Sbronza d'una notte d'estate,
vomito sulle strade ibernate di Oslo,
amore, mi hai chiamato: amore,
e hai chiamato amore mille e mille altri uomini,
d'una mediocrità insistente,
registrati sul tuo sismografo da Madame Bovary
strattonata sulle scale del suo castello.
Pure, tu, camaleonte instabile,
mi hai chiamato amore,
e io ho rubato i tuoi seni, i tuoi sospiri, i tuoi sdegni,
insabbiandoli nei venti,
irridendone ardore e sincerità;
ma, adesso, condannato all'ergastolo,
attendo d'uscire, e di trovarti, ancora, fremente,
nella rubrica intonsa, idrofoba dei miei domani.
[Versi introversi, 2008]
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