Pubblicato il 21/05/2019 07:20:52
La parola poetica di Maria Benedetta Cerro L'INCHIESTA 21/11/18
La parola poetica di Maria Benedetta Cerro, che intride di sé i versi di Lo sguardo inverso (opera edita da LietoColle, Faloppio - Como, 2018), è palpabile testimonianza delle potenzialità commesse alla Poesia di farsi strumento straordinario di conoscenza estetica, qualora –e questo è il caso- di Poesia autentica si tratti. Una conoscenza che, diversamente da quelle promosse dalla logica puramente razionale, filosofica (anche se è vero che non tutta la filosofia –come dirò più avanti- sia basata unicamente sulle attitudini razionali), o scientifica oppure matematica, per mettersi in moto abbia bisogno di una scintilla affatto particolare: quella che gli antichi greci chiamavano enthousiasmòs. L’entusiasmo, non più ispirato –come presso i greci- da una potenza divina, ma suscitato dal moto di stupore, tutto umano, che sorprenda il poeta al manifestarsi improvviso di segni che, se pur inerenti al mondo fenomenico, sembrano volerlo indurre ad andare oltre la scorza di quella che è l’apparenza del reale. Ė allora che scatta il cortocircuito di ragione e senso, di veglia e sogno, di buio e sole, mancanza e desiderio, freddo e caldo, immaginazione e memoria. Il senso unidirezionale del tempo umano, passato-presente-futuro, è interrotto … il tempo è sospeso. Lo stupore di fronte alle varie epifanie sensibili del nostro divenire si fa così pietra focaia della poesia e inizia il viaggio verso l’oltre. Da subito, già in apertura, Lo sguardo inverso promette il labirinto e comincia a dipanarsi il filodarianna (l’immagine del filo torna più volte in questi versi: ad esempio: cercai la lingua che dicesse il nodo/-come si scioglie e si rannoda il filo).
Ebbi nozione dell’inverso e ne sondai l’inganno. Da quel punto vidi la realtà farsi apparenza. La lingua delle convenzioni rantolare un dire fuggiasco il diverso gettare all’opposto l’unico ponte prossimo al vero. C’è nella poesia di Benedetta Cerro come un richiamo implicito ad Eraclito l’Oscuro. E non a caso, ché il filosofo presocratico parlava da poeta. Il frammento 123 DK, nella traduzione del Marcovich che tra le molte formulate a me sembra essere la più convincente, recita così: La reale costituzione delle cose ha l’abitudine di nascondersi. La scoperta del gioco (tragico e stupefacente) della contraddizione tra ciò che delle “cose” appare e il “vero” che sotto la superficie rimane nascosto affascina la nostra autrice, la quale scopre nello sguardo diverso l’unico ponte che possa approssimare il vero e nel dire sorgivo, nella parola maiuscola (come a dire la “parola poetica” anticonvenzionale per sua costituzione) il compito di significare il thauma che muove le cose: lo “stupore” (ma che può essere anche “orrore”). E in questa ricerca folgorante, nel labirinto delle contraddizioni in cui si dispiega l’ambiguità del reale, la parola poetica sperimenta l’altrove e, così facendo, incontra baleni promananti dalla dinamica sotterranea che presiede al farsi delle maschere metamorfiche della physis. Poi che tale dinamica procede attraverso l’associazione dei contrari, non desterà meraviglia il ricorrere felicissimo e sorprendente, in questi versi, alla figura dell’oxymoron (e ancora al buio splende la chiarezza; o ancora: Incomparabile è il suono/dell’assenza di ogni suono). Alfonso Cardamone
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