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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Proust- Hahn : Conversazioni in grigio perla e nero

Argomento: Letteratura

Articolo di Giorgio Mancinelli (Biografia)

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Pubblicato il 05/12/2019 16:32:08

‘CONVERSAZIONI IN GRIGIO PERLA E NERO’
Marcel Proust / Reynaldo Hahn

«Bonsoir monsieur Proust!»
«O forse, vista l’ora, dovrei darvi il buongiorno!»
Lo accolse così Reynaldo Hahn dando maggiore enfasi alle note del piano sul quale
andava affinando la partitura di una sua nuova composizione canora: “Non! Vous ne
m’aimez pas”, “No, non mi amate”. (1)
«Avete passato una buona serata in compagnia delle vostre piacevoli
amiche, immagino?», chiese Hahn con un pizzico di sarcasmo.
«Niente di che, le solite quattro chiacchiere mondane sulle ultime
stravaganze della moda con la contessa Élisabeth de Greiffoule, credo ‘di non aver
visto una donna più bella’ … », rispose Marcel affatto sorpreso che Reynaldo lo
stesse aspettando seduto al piano a quell’ora tarda della notte, che già incombeva
l’alba.
«Cherchez la femme, chi lo crederebbe! Un niente che vi ha tenuto in piedi
fino alle quattro del mattino», soggiunse Hahn con una punta di scherno, levandosi
in piedi ad accoglierlo.
«Me non, mon chere ami, perché avete smesso, sapete che apprezzo molto
sentirvi suonare?»
«Non giova avervi finalmente qui e pensare ad altro, non ha senso.»
«Avreste dovuto accettare l’invito delle nostre amiche, invece di restare
chiuso in casa … se la cosa può interessarvi a una certa ora ci ha raggiunto anche
Marthe …»
«La Bibesco, quella poi …»
«Ultimamente ho come la sensazione che ‘Voi non coltiviate più il vostro
amore per la bonne societé … è il successo che vi preoccupa mon Maitre, o è il piacere per la musica che vi trattiene’ dal farlo, tale da non condivederlo con nessuno?» chiese Marcel, abbandonandosi sui cuscini dell’ampio divano, avvolto nel pesante cappotto nero foderato di pelliccia che tratteneva addosso.
«‘Ho sperato che presto avreste provato disgusto per questa vita insipida’ e
alquanto disperata …»
«Disperata dite, perché mai?, certamente non più della vostra … ‘Come
potete saperlo voi che non avete vissuto’ che per la vostra musica?»
«State forse insinuando che un sol giorno dedicato alla musica non vale
un’intera vita spesa a riempire pagine e pagine di … o che la felicità della musica
non …», insinuò Hahn interrompendo di tanto in tanto il suo dire per non
sembrare offensivo nei riguardi dell’amico.
«‘Ma la felicità la troviamo soltanto nelle occupazioni che amiamo con le
tendenze profonde della nostra anima’, non lo credete Hahn?», chiese Marcel
lasciandosi travolgere da uno sbadiglio che la diceva lunga sulla stanchezza
accumulata.
«Solo se non ci lasciamo prendere dalla voglia ossessiva di una passione
impossibile…», replicò Hahn, quando Marcel sembrava già essersi assopito sugli
effetti protratti dell’oppio aspirato.
Tuttavia cosciente ‘che l’immoralità della buona società contro la quale
l’amico si dibatteva ogni istante della sua vita, e che l’aveva lasciato sempre
indifferente, cominciava a far presa su di lui e lo feriva crudelmente, come il rigore
delle stagioni abbatteva i corpi che la malattia rendeva incapaci di lottare’.

Ovviamente Reynaldo parlava della propria ‘affezione’ per la musica, così
come della scrittura per Marcel, certamente encomiabile ma, certamente offensiva
riguardo alla raggiunta felicità, in quanto relegata entro gli spazi di una solitudine
estrema; nell’effimero e vago estraniamento che strappava all’esistenza la gioia di un
‘vivre la vie’ che era ormai nel desiderio dell’intera società, non solo parigina, che si
abbandonava volentieri nel vortice mirabolante della Belle Epoque.

«Era poi così immorale ‘lasciarsi vivere’ una sera dopo l’altra come faceva il
suo amico Marcel, in cene e festeggiamenti, spettacoli e concerti, fumerie e salotti?
Lasciarsi coinvolgere in amicizie quanto mai ambigue, cui non sempre prendeva
parte per dedicarsi alla sua amata musica?», si chiese ancora, dissimulando per un
momento il risentimento profondo che riversava nei confronti dell’amico.
Reynaldo “..malgrado le differenze temperamentali, sapeva di avere molte
cose in comune con Marcel: come l’amico veniva da una buona famiglia di origini
ebraiche, coltivava interessi artistici (e un talento musicale precoce), adorava la
mondanità e aveva gusti sessuali controversi. Insieme frequentavano in modo
complice e licenzioso i salotti colti”. (2)

Così come i ‘bistrot’ e i salotti della ‘bonne societé’, in cui si entrambi si
aprivano a una ‘parvenza’ di sensualità tutt’altro che a buon mercato, per lo più
impreziosita dall’eleganza al passo della moda, con le loro abitudini di snob assurde
e mortificanti riguardo l’incomprensibile mondanità e i suoi protagonisti.

«Non era forse quella ‘l’air du temps’ che si respirava a Parigi nell’incombente profumo d’una preziosità artistica? A cominciare dagli abiti da sera e il cilindro per gli uomini; l’organza, il taffetà e lo schiffon per le donne, il cui frusciare era tale da riempire i teatri e le hall degli alberghi più prestigiosi? Quella Parigi che amava ornarsi delle couture più sofisticate e dei gioielli, ‘vere e proprie opere d’arte’, da mostrare la sera all’Operà o al Moulin Rouge, ai tavoli del baccarà e della roulette, allo stesso modo che nelle ‘gite in landò’ sul lungo Senna, e nelle ‘passeggiate’ al Bois du Boulogne?» – aggiunse Hahn ai suoi pensieri, lasciando riposare Marcel fra le braccia di Morfeo, andando a preparare una tisana per sé e per l’amico, allorché si fosse svegliato.

Non vi era dubbio che tutto ciò ‘conferiva una certa grandezza a quel sogno
di ambizione al quale anch’egli aveva sacrificato la propria libertà, le ore di piacere o di riflessione, i doveri, le amicizie e perfino l’amore’ – si disse.
Ma chi era in vero Hahn? Un edonista dell’inviolabilità della musica, o
semplicemente uno snob epicureo che utilizzava la musica per riempire i vuoti della
sua creatività, ‘come di un sogno che riallacciava il presente al passato, costellato dal fremere e quasi cantare di gioia’ al piacere dei giorni trovati, di cui sentiva il
ridestarsi nelle composizioni dei grandi nomi contemporanei della scena musicale
parigina.

«‘Non siete andato a letto questa notte e stamattina non vi siete ancora
lavato’», ingiunse l’amico a Marcel quando questi riaprì gli occhi.
«‘Perché proclamarlo’, Hahn?»
«‘Con tutto il vostro talento pensate di non distinguervi a sufficienza dal resto
dell’umanità e sentite ancora il bisogno di interpretare un personaggio così
meschino?’»

«Un personaggio voi dite?»
«Sì, un clochard puzzolente e trasandato, malgrado il vostro atteggiarvi a
‘dandy vestito in grigio perla e nero’, presentandovi qui a quest’ora indecente, solo
per eludere la vostra reiterata infedeltà.»
«È davvero ciò che pensate di me Hahn, o state soltanto approfittando
dell’occasione per riversarmi addosso tutto il vostro rancore?»
«Rancore per avervi amato o perché vi amo ancora?»
«Non saprei, amate la vostra musica più d’ogni altra cosa, non discernete
che un sentimento umano come l’amore possa evolversi al di sopra di tutto,
superare gli ostacoli posti dalla morale comune, dal comune pensare dell’intera
società che ne ha posto i limiti, travalicare le barriere dell’indicibile e accedere a
quell’impossibile cui, in uno sprazzo di folle lucidità, tutti aneliamo e che ha nome
‘libertà’.»

«Che forse non amate la scrittura più di voi stesso, Marcel (?), la cui natura
può ancora suggerire alle nostre labbra quelle ‘parole che, strappate al silenzio,
diventano vere quanto è vero lo sgomento dinanzi all’inconoscibile’.» (3)
«Solo ‘…quando la scrittura diventa per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi
ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire,
allora la sua funzione diventa salutare’. […] ‘Noi non dobbiamo fare altro che
attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello
spirito’.»
«Ma che può diventare ‘…pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita
individuale dello spirito, tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale…’» replicò Reynaldo, tenendogli testa.

«Che cosa intendete con ciò, siate più loquace.»
«Lo sarò se è questo che volete … ‘Siete assillato dai creditori … eppure siete
un uomo dabbene, abbastanza ricco per non fare debiti se non li riteneste necessari al vostro genio, abbastanza sensibile per soffrire di solitudine … anche se non sfuggite la compagnia dei vostri simili, la sapete apprezzare, e la vostra intelligenza sarebbe già sufficiente a farvi notare. Inoltre, apparite in società indossando un abito da sera …non vi togliete i guanti per far vedere che non mangiate, eppure avete un robusto appetito, mangiate a quattro palmenti prima di andare a cena fuori e v’indispettite quando poi in pubblico dovete digiunare. Per poi, di notte, se avete la febbre, vi fate preparare la ‘victoria’ per andare al Bois de Boulogne’, una precauzione inutile, non è forse così mon Maitre?»

«Proseguite, vi prego», soggiunse Marcel chiedendo all’amico di essere
sincero fino in fondo, pensando (forse) di rinfacciargli poi le sue scappatelle che lo
facevano soffrire come un cane.
«Orbene, ‘le sole malattie delle quali soffriate, ve le prendete di notte, nel
corso delle passeggiate a cui vi costringe la vostra ‘originalità’… Avete abbastanza
immaginazione per far nevicare o per bruciare cinnamomo senza l’aiuto dell’inverno o di un bruciaprofumi, siete abbastanza letterato e abbastanza musicista per amare
Lamartine e Wagner in spirito e verità … Non potete leggere Lamartine se non in una notte di neve, né ascoltate Wagner senza bruciare cinnamomo … Ma a un’anima
d’artista, unite i pregiudizi borghesi dei quali, senza riuscire a trarci in inganno, non
fate altro che mostrarci il rovescio» di voi stesso, aggiunse poi tutto d’un fiato.

«Null’altro?», chiese Marcel affatto indispettito perché tutto quanto
Reynaldo andava dicendo era come specchiato nell’apparente superficialità
dell’uomo; per quanto ciò non rispondesse alla profonda sensibilità dello scrittore
che effettivamente Marcel era e ancor più sarebbe diventato con la pubblicazione
progressiva della sua voluminosa Recherche, intimistica e franca della sua
personalità.

Al dunque Hahn avrebbe attraversato quelle pagine sotto altro nome, come
tanti altri del resto, in quanto personaggio di un’epoca, la Belle Epoque, che nel
momento in cui veniva ascritta ad opera letteraria, segnava già la sua decadenza e si
allontanava dalla realtà storica di una società in declino. Reynaldo rammentava
ancora di quella lettera terribile che Marcel gli aveva scritto, (in una scena di gelosia
in tipico stile Swann che troviamo nella Recherche), e che si concludeva con
un’amara constatazione: “...che un giorno, ne è certo, tutta questa sofferenza gli
servirà, per ora non può fare altro che viverla”.

«Non siete stato molto benevolo nei miei confronti, ma lo accetto solo da
voi, a nessun altro permetterei di … ma avete ragione», disse Marcel ricevendo
nelle sue mani la tisana fumante che Reynaldo aveva preparato per lui, rinunciando
per una volta a una scenata di gelosia che tanto somigliava, per intensità e
frustrazione, a quelle del pur amato Swann.
«Del resto anche in voi si nasconde qualcosa cui io non posso avere accesso
mon cher amì … ma vi prego venite a sedervi qui, per voi ci sarà sempre un posto
accanto a me», aggiunse volgendogli uno sguardo languido che accusava una certa
sfinitezza e un dimesso risentimento che si trasformava quasi in una confessione,
(come poi dirà in un’altra lettera), “...Voglio che siate presente ovunque (nel mio
romanzo), ma come un Dio travestito che nessun mortale possa riconoscere”.

«Nascondervi qualcosa, io, per qual ragione?», chiese sorpreso Hahn.
«Non ditemi che l’aver musicato quelle liriche di Verlaine che avete
annotato come ‘Chansons grises’ l’abbiate fatto solo per soddisfare il piacere sottile
di una masturbazione segreta», lo invogliò Marcel a rispondere, ponendogli nel
frattempo una mano nella piega dei pantaloni.
«Se vi riferite a “C’est l’heure exquise” (4) forse, per ‘quell’esigenza del
libertino che vuole (mantenere) una verginità’ ma non è questo il momento», rispose
Hahn, carezzandogli la nuca e ritirando dalle sue mani la tazza di porcellana fine,
prima che Marcel la lasciasse cadere.

«È tuttavia ‘una forma dell’eterno omaggio che l’amore rende all’innocenza’,
non trovate?»
«Non certo la vostra, Marcel, non credo stamane vi siate specchiato, avete
una faccia, non proprio d’innocente.»
«Perché che faccia ho?», chiese Marcel alzandosi d’un tratto dal divano,
guardandosi nel grande specchio sulla parete del salotto e sistemandosi il nodo
semi-disfatto della cravatta.

«Emaciata dite?»
«‘Sono già parecchie volte che la rendi più languida e allenti con aria sognante
il mio nodo espressivo e un po’ disfatto … Siete dunque innamorato, mio caro amico;
ma perché triste?’», chiese Marcel.
«A causa vostra mon ami, ‘a rischio di sciupare con un eccesso di artifici le
gioie che speravo da questo amore nascente …’»
«Non vogliatemene ‘il vostro amore fedele e condiviso poggerà per l’eternità
sul basamento inalterabile della vostra pazienza’, non è una promessa Reynaldo è un
giuramento.»

«Sulla vostra infedeltà?»
«È forse questa la ragione del vostro essere triste (?), non ditemelo … Mon
chere ami, com’è che ‘...non comprendete nemmeno gli inconvenienti di questa (mia)
intimità che, seppure portata all’eccesso, in breve finisce per facilitare un solo scambio, quello delle affettazioni’», soggiunse Marcel.
«Fare lo snob non mi si addice», lo riprese Hahn.
«Malgrado lo siate fino al midollo mio caro […] ‘..riconoscerete e
ammetterete l’imparzialità della vostra simpatia equanime che mette in luce allo stesso modo gli aristocratici, le belle donne e gli uomini di talento’.»

«‘Conciliazione temeraria’ la vostra Marcel, esattamente ciò che più vi piace,
come trascinare gli altri nelle vostre stesse scelte, e le vostre bassezze, ‘..e tuttavia
ancora insufficiente agli occhi del mondo, per di più ingiusta nella prospettiva della
ragione’.»
«La ragione voi dite?»
«Sì, ‘...e tuttavia tale da fare della vostra cerchia di amicizie un piccolo
universo indifferente’.»
«Neppure voi come musicista ne siete estraneo, la bonne societé non ve lo
permetterebbe, ‘...non comprenderebbe … forse lo giudicherebbe ispirato a un
realismo pessimista’, esattamente contrario al ‘saper vivere’ che meravigliosamente
invoca.»

«Chi come me, ‘...seppur non frequentando salotti come il vostro, si
stupirebbe nel vedere riuniti dal ‘saper vivere’ duchi senza alterigia e romanzieri senza presunzione’, o un grande scrittore che ha tutta l’aria di essere alquanto snob’, non credete mon cher maître?»
«‘Non avete anche voi qualcuno di questi ritorni?’», chiese Marcel assonnato
più che mai.

«S’è fatto tardi Marcel e a quanto sembra voi non siete meno assonnato di
me», affermò Hahn assecondando la sua volontà di ritirarsi.
«C’è posto anche per me nella vostra alcova?», chiese ancora Marcel.
«Potrei mai dirvi di no?, ma solo se vi toglierete di dosso quel vostro
pastrano che mi farebbe sembrare d’essere a letto con un gorilla», replicò Hahn con
ilare bonarietà.

. . .

«Bonjour monsieur Proust!…»,
annunciò Reynaldo rientrando nella stanza da letto con passo felpato, attutito da
comode ciabatte da camera e nelle mani la teiera fumante sul vassoio apparecchiato
per la colazione.
Marcel lo guardò da dietro le palpebre socchiuse lasciando che la luce tenue
che s’intravedeva dietro la tenda chiusa non gli ferisse gli occhi, sicuramente prima
di rendersi davvero conto che fosse pieno giorno.
«Non me ne vogliate monsieur l’écrivain ma, data l’ora, non potevo fare a
meno di avvisarvi della mia indispensabile uscita.»

«Bonjour mon chéri amì … uscire dite, per qual ragione?», chiese Marcel.
«Semplicemente perché sono le due del pomeriggio e devo consegnare alla
stamperia il mio articolo per l’edizione serale di ‘Le Figaro’, in tempo per il
concerto di questa sera che mi vede interprete musicale di mie composizioni sui
versi di Verlaine, Daudet e Stephane Mallarmé; al quale, spero, non mancherete di
accordare la vostra presenza.»
«Stasera … che intendete per stasera, a che ora?»
«Semplicemente allora in cui si terrà il concerto, attorno alle nove, ora in cui
spero di potermi onorare della vostra presenza?»
«Penso di sì, credo … non saprei», ripeté Marcel disorientato, sorseggiando il
tè.
«Potete restare a letto, se volete, consumare qualcosa per il pranzo, lavarvi e
vestirvi qui, Alfonse troverà senz’altro qualcosa di fresco per voi da indossare, come
dire, che vi vada ‘a pennello’. Io sarò di ritorno non prima delle sette, in orario per
raggiungere il Conservatorio in vostra compagnia.»

«‘Avrei voluto, se questi impegni non fossero troppo arditi perché siano
percepiti così distintamente’ da me, prima di incominciare la giornata, ma… non
saprei davvero cosa fare aspettando il vostro ritorno Reynaldo, se non di lasciarmi
andare sulle note ‘...delle opere di Wagner o le sinfonie di Franck e d’Indy’ poggiati
sul vostro pianoforte aperto …».
«Ho compreso, ‘il vostro sorriso sdegnoso’ che ostentate in mia presenza
mostra chiaramente che non … ‘vi accontentate di una camera spoglia dalle vostre
immaginazioni, per farvi scorrere tutte le visioni del vostro universo’ scrittorio, l’arte
e la bellezza del bel mondo così meschinamente materiale», replicò Hahn con fare
leggermente contrariato.

«Non ve la prendete così a cuore mon cher, ben conoscete il mio modo di calcolare il tempo …»
«Verrete al concerto?»
«Ci sarò … in qualche modo.»
«L’avevate promesso!»
«Sì?»
«‘Ci saranno le vostre amiche più incantevoli’.»
«‘Beh, se è così, torno a promettervi che verrò … anche se (devo ammettere), le
donne ‘più incantevoli’ realizzano la bellezza senza comprenderla … del resto amiamo semplicemente una bellezza che non è la stessa che amate voi, mio caro’.»

«‘Perché (poi) la vera bellezza dovrebbe essere la vostra e non la nostra?’»,
replicò Hahn.
«‘Mi si lasci dire almeno una cosa: sono poche le donne che comprendono
l’estetica alla quale appartengono! Una certa vergine di Botticelli, non fosse che questo pittore è di moda, lo troverebbe rozzo e maldestro, non è così!’»
«L’art pour l’art certo, ma la musica è un’altra cosa, naturalmente è una mia
opinione, nient’affatto uno snobismo d’autore.»
«Sì, certo, adesso però fatemi il favore di chiedere ad Alfonse di chiamare
una carrozza.»
«E dove andrete?»
«A casa mia, dov’altro a quest’ora?»
«Quand’è così, poiché sto uscendo, vi darò un passaggio sul mio landò.»
«Mais ouì, merci. … ma lasciatemi utilizzare per un momento la vostra stanza
da bagno.»
«Sì, ma fate in fretta!», lo lasciò Hahn canticchiando: ‘Si mes vers avaient des
ailes’ … il motivo che lo aveva reso famoso in tutta Parigi e, di conseguenza, in tutta
la Francia, una canzone scritta a 14 anni, nel 1888, su un testo di Victor Hugo.

Duante il tragitto in carrozza Marcel lo interrogò Hahn sul suo impegno
quotidiano al Conservatorio, ‘...insopportabilmente contaminato dagli snob’,
immagino? Discorso che Reynaldo preferì deviare sulle invettive musicali che
Gustave Flaubert imbeccava nei due personaggi di sua creazione “Bouvard e
Pécuchet”, tuttavia non nascondendo una certa ilarità aperta al disincanto … quella
‘bêtise’ infinitamente più diffusa, ma anche più feconda, rivelatrice, e in un certo
senso più opportuna che, a suo dire, rasentava la stupidità umana.

«Ancorché Bouvard e Pécuchet si dedichino seriamente alla musica, non
risparmiano nessuno», proferì Marcel sottolineando di fatto una certa invettiva che
i due riservavano proprio ad Hahn. (5)
«‘Tuttavia, mentre Pécuchet, eterno amico della tradizione e dell’ordine,
lasciava che si salutassero in lui l’ultimo appassionato delle canzoni licenziose e del
Domino noir’, tanto per rispecchiare la mentalità tradizionale e la pruderie di moda;
‘Bouvard, rivoluzionario se mai ce ne fossero, si mostrò risolutamente wagneriano;
sebbene … ‘a dire il vero, non conosceva nemmeno una partitura del fracassone di
Berlino’», lo assecondò Hahn.

«Trovo ‘…insensato provare a suonare (le sue opere) al pianoforte: è necessaria
l’illusione della scena, come l’invisibilità dell’orchestra e l’oscurità in sala’ non siete d’accordo?», lo interrogò Marcel.
«Flaubert dice che ‘...il preludio del Parsifal era costantemente aperto sul
leggio del pianoforte di Buvard, tra le fotografie del portapenne raffiguranti César
Franck e la Primavera del Botticelli’», replicò Reynaldo prestando attenzione all’ora
sull’orologio da taschino che quasi fuoriusciva dal paciotto di seta blu.
«Un controsenso non vi pare?»
«Sì, forse, visto che ‘…dalla partitura della Walkiria era stato strappato
accuratamente il Canto della Primavera, e dall’indice delle opere dello stesso Wagner, nella prima pagina, Loengrin e Tannhauser erano state cancellate, con un fregaccio indignato di matita rossa’.»

«Dopo di che, non restava nient’altro al povero Wagner se non
l’indignazione, mi pare … ‘Delle prime opere resisteva soltanto il Rienzi’.»
«Beh sì, Bouvard e Pécuchet ne avevano davvero per tutti …», sostenne
Marcel sollecitando l’amico musicista a entrare ancor più nel dettaglio.
«‘Perfino Bouvard poteva, senza umiliarsi, salutare in Bach un precursore,
mentre Beethoven, tuttavia, gli pareva una figura importante, come quella di un
messia’. A pensarci bene Bouvard e Pécuchet hanno in parte distrutti tutti i miei
ideali, a cominciare da Saint-Saëns, il quale secondo Bouvard ‘manca di sostanza’,
per poi dire di Massenet che ‘manca di forma’. Mentre, invece, agli occhi di
Péuchet, ‘Saint- Saëns ha soltanto la sostanza e Massenet soltanto la forma’… Anche
per questo l’uno ci istruisce e l’altro ci incanta, ma senza elevarci’», che ve ne pare?», aggiunse Hahn, mettendoci a bella posta del suo.

«Per quel che io ne sappia, per Bouvard (6) ‘…erano entrambi egualmente
trascurabili. Massenet trovava qualche idea ma volgare; Saint-Saëns possedeva una
certa tecnica, ma fuori moda, e d’altronde anche le idee hanno fatto il loro tempo …
giacché non c’è francese che non sia cavalleresco e non faccia passare le donne davanti a tutto, cedendo galantemente a quest’ultime il primo posto tra i compositori del giorno’», si sperticò a confermare Marcel con quel ‘pincée de sarcasme’ che lo
distingueva.
«Très bien mon choer, eccoci giunti a destinazione, siamo a casa vostra», gli
confermò Hahn guardando l’orologio, rendendosi conto d’essere ormai in ritardo.

Fu quella una mancanza di tatto che Marcel in seguito annotò. Ancor più
risuonarono nella sua mente le parole che il malinconico Hahn aveva pronunciate
durante la notte, prima di levarsi dal letto: “Il piacere che offre l’amore non vale
davvero la felicità che distrugge”, il cui significato, ineludibile per Marcel, era la
conferma che il loro rapporto si avviava verso la conclusione.

«Vi rivedrò?», chiese Marcel all’amico, dimentico di aver preso un
appuntamento per quella sera stessa.
«Comprendo che non verrete al Concerto?»
«Oh sì, forse … non so», pensò Marcel scendendo dalla carrozza.
«Passerò comunque a prendervi e se non sarete disposto, come immagino
sarà …», frase che rimase sospesa quando già il landò s’avviava verso il
Conservatorio.
«‘D’altronde, sostenendo la teoria dell’arte per l’arte, dell’esecuzione senza
sfumature e del canto senza inflessioni, lo stesso Bouvard dichiarava che non
sopportava di udirlo cantare», ammise Marcel confermando a se stesso che era anche
il suo parere … o forse perché, in segreto, ne era geloso.

Del resto Reynaldo Hahn era pur sempre l’oggetto delle più vivaci discussioni
del duo Bouvard e Pécuchet … ‘Se la sua intimità con Massenet, attirava su di lui di
continuo i crudeli sarcasmi di Bouvard, che lo designava irrimediabilmente come
vittima delle predilezioni appassionate di Pécuchet. Lui aveva però il dono di
esasperare quest’ultimo con la sua ammirazione per Verlaine, d’altronde non
condivisa da Bouvard’, (e nemmeno da Proust medesimo) … preferendo liquidarlo in odio a Wagner piuttosto che assolverlo per amore di Verdi».
Questo pensò rincasando Marcel, quando, fermo sull’uscio, rifletté sulla frase
prodiga di Pécuchet: “Che la Valchiria possa piacere, persino in Germania, ne dubito …”, frase che lo fece sorridere non poco.
«‘Confessate che vi ho fatto ridere’», immaginò Marcel che gli dicesse
Pécuchet rivolgendogli la parola ‘…senza riprovevole fatuità, giacché la coscienza del loro merito era tollerabile (solo) nelle persone d’ingegno’.»
«‘Qua la mano, siete disarmato!’», vagheggiò ancora Marcel, prima di infilare
la chiave nella porta di casa.

. . .

«La mia amabile Céleste», l’appellò Marcel nell’entrare in casa, affaticato più
del solito.
Fu proprio la governante ad accoglierlo nel disimpegno e ad accorgersi del
suo precario stato di salute, inammissibile nel constatarlo con i suoi occhi.
«Monsieur Proust, a quest’ora, perché non ha chiamato? Odilon (suo marito)
sarebbe venuto a prenderla con l’auto, almeno ha mangiato qualcosa? Ho pronto
un caffé ben caldo …», lo ravvisò la governante, premurandosi di aprirgli la porta
della sua stanza.
«Il caffè, d’altronde, era negli ultimi anni il suo unico alimento, dire che non
mangiava niente non è un’esagerazione … Non ho mai saputo di nessuno, di nessun
altro, voglio dire, che per anni e anni si sia nutrito quotidianamente di due tazze di
caffelatte e due croissant», pensò Céleste con celata disapprovazione.» (7)

Ciò nondimeno, vedendolo che si stendeva sul letto ancora vestito, non
aggiunse altro, lo aiutò a togliersi di dosso il soprabito, le scarpe, gli sciolse il nodo
della cravatta e gli sbottonò il colletto della camicia, lasciando che s’infilasse nel
letto semisvestito per poi rimboccargli le coperte e ascoltare ciò ch’egli andava
farfugliando:
«Celéste … in serata passerà monsieur Hahn, gli dica che non sono in casa.»
«Se mi chiederà dov’è?»
«Risponda che sono via o in qualsiasi altro luogo, precipitato dall’alto …
‘vorrei morire subito’.»

«Precipitato dall’alto?», si chiese la governante.
“Tutto là dentro era alto – scriverà in seguito: le finestre, le lunghe tende blu
chiuse contro la luce del giorno in pieno pomeriggio, il soffitto che pareva distante
metri e metri, e il lampadario spento che pendeva nella nebbia, […] pannelli di
sughero fissati torno, torno da listelli inchiodati, in modo da impedire ai rumori di
arrivare fin là. […]
Continuo a chiedermi dove attingesse la volontà di vivere come vive, senza mai
concedersi tregua … non ho mai saputo quanto dormisse, neppure se dormisse, perché questo si svolgeva tra lui e le quattro mura della sua camera, il luogo privilegiato della sua creazione. […]
Proust scriveva a letto, lavorava seduto, neppure per un momento si alzava per
prendere appunti. […] Ogni volta che l’ho trovato intento al lavoro era nella stessa
posizione: è inconcepibile che abbia potuto alzarsi e scrivere quando non c’ero io.
Rimaneva quasi semisdraiato: non si raddrizzava nemmeno sul guanciale; tutt’al più,
era sostenuto dai maglioni accumulatesi sulle spalle che, in qualche modo, gli
formavano come una specie di schienale.» (8)

Ogni cosa doveva essere a portata di mano, tenuta in ordine dalla governante
che l’accudiva in tutto: «Come scrivania non aveva che le ginocchia. […] Chiunque,
al posto suo, dopo ore e ore trascorse a quel modo, sarebbe stato almeno intorpidito,
qualunque gesto del polso e della mano, qualunque movimento della testa
conservavano l’eleganza dell’elasticità e della vivacità. Era là, nella luce che si
spandeva sotto il piccolo abat-jour verde della lampada, sempre sul dorso: non l’ho mai visto su un fianco. […] Quel che sorprendeva era la velocità con cui poteva scrivere in quella posizione, che era comoda solo per lui. Bisognava veder la penna correre e tracciare quella sua scrittura sottile e legata. Non si serviva che di pennini Sergent Major, che erano lisci e appuntiti, con sopra un piccolo incavo per trattenere una goccia d’inchiostro, se ricordo bene.

Non l’ho mai visto adoperare una stilografica. […] In quanto alle penne, ne aveva sempre una buona quindicina a portata di mano, perché se per caso gli sfuggiva e cadeva a terra quella di cui si serviva non la si doveva assolutamente raccoglierla per paura della polvere, se non in sua assenza. […] L’organizzazione consisteva essenzialmente nel tenergli sottomano i cinque ordini principali del suo lavoro: i vecchi quaderni che datavano da molto prima; i nuovi quaderni sui quali lavorava; i quaderni di appunti; i taccuini di appunti e ciò che hanno chiamato ‘paperolles’, […] che erano pezzetti di carta volanti dovuti all’ispirazione del momento e buttati giù, a volte, sul retro di una busta o anche sulla copertina d’una rivista.» (9)

. . .

Proemio alla Recherche:
È infatti ai numerosi taccuini lunghi e neri su cui scriveva i suoi appunti che Proust
pone in rilievo la funzione poetica della memoria involontaria, di quelle che
definisce le ‘intermittenze del cuore’, quei movimenti istintivi, che riportano alla
luce, per mezzo di meccanismi casuali, episodi riposti nelle pieghe profonde della
memoria.

“Se ne ricorderà il narratore della Recherche nel celebre episodio della petite
madeleine (nel primo libro, Dalla parte di Swann), il dolcetto a forma di conchiglia
che, inzuppato nell’infuso di tiglio in una giornata uggiosa, si rivela capace di
richiamare, associando meccanicamente il gesto al tè dell’amata zia Léonie, tutto un
mondo dell’infanzia a Combray che pareva sommerso dal passare del tempo. […]
In termini di tecniche narrative, decisivo risulta il passaggio dalla narrazione in
terza persona di Jean Santeuil alla prima persona utilizzata dal narratore delegato,
lungo i sette libri della Recherche, a osservare il mondo intorno a sé: un narratore che, se pure presenta diversi caratteri riconducibili alla figura di Proust, va da questi
distinto in quanto finzione letteraria, sua proiezione e non semplice oggetto di
identificazione: come ha modo di spiegare l’autore in un’intervista in occasione
dell’uscita del primo volume: ‘voi vedrete il personaggio che racconta, che dice ‘io’ (e che non è me)’. […]

Sospeso tra l’incanto del passato e l’analisi della società presente, il narratore
parte dai luoghi dell’infanzia per abbracciare la sua formazione culturale nella vita
parigina dei primi decenni del secolo, in cui, come in un grandioso finale di dramma,
Proust riannoda le trame di vivi e morti, all’infuriare del conflitto mondiale. Le
immagini di una tale bellezza ritrovata nel passato lo rendono di colpo indifferente al
pensiero della morte e della finitudine umana, e lo dispongono a riprendere in mano
l’opera che dovrà terminare prima che egli scriva la parola ‘fine’.” (10)
“Magari Proust iniziò come snob, ma di sicuro finì con l’essere il più penetrante
critico dello snobismo che sia mai esistito.

Mostrò quanto fossero vuote le sue vittorie, e quanto evanescenti le sue conquiste. In particolare, dimostrò la vanità, la crudeltà, l’insicurezza e l’affettazione – oltre che lo snobismo! – anche dei più ricercati appartenenti all’alta società. Molti degli originali dietro ai suoi personaggi riconobbero nei suoi ritratti una condanna schiacciante … benché nel profondo del suo cuore giudicasse le persone per il loro vero valore. […] Curiosamente, questa capacità letale di giudicare le persone era nascosta dalla sua elaborata cortesia – che egli rivolgeva anche ai servitori (il che era insolito per un’epoca in cui la gran parte delle persone mostrava disprezzo per le classi sociali inferiori alla propria). Il modo di parlare complicato di Proust era indicato dagli amici con un verbo francese inventato ‘proustifier’, vale a dire ‘proustificare’ … ‘per quanto l’etichetta e le questioni più profonde, di vera gentilezza e rispetto l’ossessionarono per tutta la vita’. […]

Ciò nonostante, non poteva tollerare i cliché della cortesia, che lui e l’amico
Lucien Daudet chiamavano ‘louchonneries’, termine con il quale intendevano
‘espressioni che fanno sbarrare gli occhi’ – vale a dire, variazioni falsamente eleganti … oppure espressioni chiaramente ipocrite, il modo con il quale gli aristocratici definivano i contadini. […] Come lui stesso ebbe a dire in più di un’occasione, le persone d’azione (la gente mondana è nel suo piccolo gente d’azione), sono sempre troppo impegnate a prepararsi per l’avvenimento successivo per ricordare il passato. […]

Il rapporto di Proust con l’alta società era tutto racchiuso nella ricerca
d’informazioni, talvolta indirette, perché raccolte da un maggiordomo bene informato e buon osservatore, nell’interesse di aneddoti che gli ospiti stessi dimenticavano velocemente. La cui preservazione del ricordo, in ‘Alla ricerca del tempo perduto’ diede inizio a una delle maggiori tendenze del secolo – il confondere autobiografia e invenzione. Ciò benché l’originalità delle sue innovazioni formali non sia stato subito evidente ai suoi contemporanei, poiché la sua opera era radicata nel passato aristocratico e il suo stile non era asciutto, indiretto, pregno di omissioni e silenzi, ma piuttosto uno stile pieno, saturo, che non si rifaceva a nessun altro scrittore del passato francese. […]

Se il mondo dei salotti aristocratici fornì a Proust il suo tema più avvincente, lo
stesso tema gli alienò molti dei suoi potenziali lettori. Tuttavia, dopo essere diventato
famoso – e soprattutto dopo la sua morte – molti degli intellettuali e artisti seri che in
precedenza l’avevano respinto ritenendolo un leccapiedi, un parassita dell’alta società e un cronista pettegolo (e di fatto Proust scriveva i suoi resoconti dei salotti mondani per la rivista Le Figaro), improvvisamente dovettero dubitare delle proprie
convinzioni e rivalutarlo”. (11)

Come scrive Maurizio Ferraris: “Nel progetto narrativo della Recherche le
alterazioni dei personaggi assolvono […] molteplici funzioni: manifestare in forma
emblematica e sensibile l’azione del tempo; rendere evidente la natura imprevedibile e quasi insensata dell’esperienza; sottolineare gli effetti patetici della memoria, che ci ricorda individualità ed eventi del tutto diversi da quanto registriamo nel presente”. (12) Ciò, per quanto gli andasse riconosciuta una certa maestria nello stile e l’ironico scintillio di una cultura rara ma, forse, proprio perché si sapeva che era
omosessuale (per lo meno all’interno della sua cerchia più ristretta), nessuno fra i
suoi contemporanei poteva immaginare che un simile damerino, ‘uno snob in grigio
perla e nero’, sarebbe poi diventato il più grande romanziere del secolo.

Epilogo:

La costruzione del dialogo fra Proust e Hahn sopra riportato è di esplicita
ideazione dell’autore di questo articolo e in alcun modo riporta qualcosa di
verosimilmente avvenuto, né ripreso da alcuna corrispondenza riservata fra i due.
Ciò, allo scopo di evidenziare lo ‘spirito letterario e musicale’ della Belle Epoque,
nel modo in cui questo era fatto oggetto di dileggio nell’alta società colta e raffinata
di quegli anni, la cui eco, con esiti in parte eleganti e certamente non così ben
educati, era recepita dal resto d’Europa. Lo direi piuttosto un ‘divertissement’ alla
maniera che Erik Satie andava realizzando in musica, per dire ‘giocherellando’ sulla
tastiera – come egli stesso diceva – con ogni aspetto della realtà/irrealtà sociale
dell’epoca, afferente alla politica, allo spettacolo, allo sport e al susseguirsi delle
mode, foss’anche con un occhio rivolto al ‘futurismo’ delle idee … ‘chi oserebbe
dubitarne?’.

Ricordo la massima di Baudelaire, altro noto dandy, che recita: “Il bello è sempre
ciò che è bizzarro”. Allo stesso modo, la poesiola di Proust fa parte di quella voglia,
che è propria d’ogni uomo catturato dalla Bellezza e dall’Arte, di far coincidere, e
confondere, Arte e Vita, fino al punto, se possibile, d’eliminare totalmente la
seconda.

Note d’autore:
(*) Tutti i ‘corsivi’ riferiti a Marcel Proust, sono tratti da “Marcel Proust: Snob” – Nuova Editrice
Berti 2013.
1) ‘Non! Vous ne m’aimez pas’, canzone di Reynaldo Hahn, su testo di Agnes Mary Robinson,
pubblicata nel 1899.
2) Alessandro Piperno, in un articolo apparso in La Lettura / Corriere della Sera, del 4 Ottobre
2015, in Atti della Conferenza di Alberto Beretta Anguissola ‘La corrispondenza proustiana’, 17
Ottobre 2015, tenutasi presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
3) Flavio Ermini, in “L’altrove poetico” Editoriale n. 95 - ANTEREM – Rivista di Ricerca
Letteraria 2017.
4) “C’est l’heure exquise”, musica di Reynaldo Hahn, su testi di Paul Verlaine, pubblicata nel
1887.
5) Essai da ‘Melomania’ è tratto da “Marcel Proust: Snob”, op.cit.
6) Essai da ‘Ritratto di Marcel Proust’ – Edmund White - Lindau 2010.
7) 8) 9) Céleste Albaret, “Monsieur Proust” – Rizzoli 1974
10) Essai da ‘Melomania’ è tratto da “Marcel Proust: Snob”, op.cit.
11) Essai da ‘Ritratto di Marcel Proust’ – Edmund White, op.cit.
12) Maurizio Ferraris, “Marcel Proust e la memoria del tempo” - Video completo disponibile su https://www.eduflix.it Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust.

Note biografiche:
Reynaldo Hahn (Caracas 1874, Parigi 1947) è stato un compositore, pianista e direttore d’orchestra venezuelano naturalizzato francese. La fama che acquisì gli permise di venire a contatto con i più grandi artisti della sua epoca, fra i quali Paul Verlaine, del quale musicherà molte poesie, Alphonse Daudet e Stephane Mallarmé, oltre ai suoi colleghi al Conservatorio Maurice Ravel e Alfred Cortot. Nel 1894 conobbe lo scrittore Marcel Proust con il quale ebbe una breve relazione sentimentale che però si trasformò in una lunghissima amicizia, durata fino alla morte dello scrittore (1922). I due si incontrano nel maggio del 1894 ad uno dei martedi di
M.me Lemarie, dove Hahn canta le sue composizioni su “Les Chansons grises” di Verlaine.

La sua canzone più famosa e attualmente più eseguita è “A Chloris”, che risente molto dello stile musicale impressionista e dello stile tardo-romantico dei suoi insegnanti. Sebbene sia molto famoso per la sua dedizione alle composizioni vocali, Hahn scrisse anche diverse opere per orchestra (fra cui un concerto per pianoforte e un poema sinfonico), diversi balletti (il suo “Le Dieu bleu“ fu eseguito per la prima volta dai Balletti russi di Sergej Diaghilev nel 1912), due colonne sonore, musica per il teatro e ben dieci fra opere liriche e operette, oltre che diverse composizioni di musica da camera.

Si rivedono nel mese d’agosto dello stesso anno al castello di Réveillon en Seine-et-Marne sempre da M.me Lemaire, e vi trascorrono insieme quattro settimane. Quell’estate, Reynaldo scrive a un amico di aver conosciuto: “un giovane affascinante, un letterato che, stupefatto di vedere un musicista che sa parlare di letteratura (...) mi ha preso in grande considerazione”. È con Reynaldo Hahn che Proust visita la Bretagna, ed è ancora con lui e la cugina Marie Nordlinger
che nella primavera del 1900 visita Venezia. È a lui e a Georges de Lauris che Proust legge per la prima volta “Du coté de chez Swann”.

Reynaldo Hahn fu l’unica persona che fino all’ultimo Proust ricevette sempre, a qualunque ora. Dopo la morte di Proust, Hahn divenne dal 1935, critico musicale de Le Figaro e nel 1945 direttore dell’Opéra de Paris. Morì nel 1947. È sepolto a Parigi,
nel cimitero del Pére Lachaise e la sua tomba è accanto a quella dell’amico di una vita, Marcel. “Bouvard e Pécuchet” sono entrambi personaggi del romanzo incompiuto di Gustave Flaubert pubblicato postumo nel 1881. Il libro fu scritto da Flaubert negli ultimi cinque anni di vita, durante i quali assorbì sentimenti e idee contrastanti nei confronti degli accadimenti della sua epoca, dal progresso agli ideali democratici, dall’affermazione della borghesia al momentaneo successo del movimento che lo insospettì maggiormente, ossia “la marea che rischiava di
trascinare tutto davanti a sé”, come Flaubert definì la Comune di Parigi.

Céleste Albaret, (Auxillac, 17 maggio 1891 – Montfort-l’Amaury, 25 aprile 1984) è stata una governante e l’unica confidente di Marcel Proust durante gli ultimi otto anni della sua vita in cui egli scriveva la Recherche. È autrice di proprie memorie sullo scrittore, dettate negli anni ‘70 a Georges Belmont, uscite con il titolo ‘Monsieur Proust’ nel 1973, tradotto in molte lingue e viatico per l’onorificenza di commendatore dell’Ordre des arts et des lettres. La governante di Proust
appare anche altrove, come nel libro di Christian Pechenard, Proust et Céleste (Table ronde, Paris, 1996) o nel romanzo di Lina Lachgar, Vous, Marcel Proust (Différence, Paris, 2007), sorta di diario personale immaginario. Un libro omaggio Mademoiselle de la Canourgue: hommage à Céleste Albaret di Jacques Blanc è stato stampato nel 1994 a La Canourgue, a cura del comune. Anche l’autore olandese Ben van der Velden (Céleste, het meisje van Proust, De Arbeiderspers, Amsterdam, 1971) e, in precedenza, Marie Scheikévitch (Marcel Proust et Céleste, Fayard, Paris 1960) hanno scritto un libro su di lei.

Curiosità:
Il film ‘Céleste’ (1980), di Percy Adlon racconta la storia del rapporto tra lo scrittore e la sua governante. Adlon cerca di restituire gli ultimi anni di vita di Proust e del suo rapporto con la donna a cui si ispirò per costruire il personaggio di Françoise della Recherche. (da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Céleste_Albaret)

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