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Poesia

Nisida Bortone Frainetti
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Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 02/02/2018 12:00:00

 

Intensa e coinvolgente per prossimità e partecipazione alle disunità del mondo nelle ferite delle sue solitudini e delle sue scelte questa seconda prova poetica della Bortone Frainetti, insegnante d'inglese di Terracina. La crepa, il punto d'osservazione nel bene primario della famiglia, nucleo nel quale l'orizzonte personale a seconda del modello e dell'impronta può compiersi e manifestarsi al di fuori o cadere. Così nella struttura delle tre sezioni nelle quali è diviso il testo, la narrazione prende spunto dalla memoria dei propri nonni e genitori nella costruzione di un amore provato da fatiche e guerre, attese e pudori, nella ritualità di incontri vegliati, custoditi, sovente testati dalla storia. Ed allora l'apprendimento quotidiano dello stare insieme e del parteciparsi nell'educazione al rispetto e allo sguardo insieme stretto all'essenziale al buon vivere e allargato alla sua condivisione (ché nessuno è solo, nessuna famiglia è- o dovrebbe essere- mai sola) diventa luce di una sacralità incarnata da perseguire e moltiplicare nell'offerta di una terra che nessun seme vuole perdere ("ogni chicco merita attenzione e cura" ci dice; se cade a terra può esser schiacciato e cedere alla malia del sangue). Ed allora più che un omaggio alla propria famiglia questo bel libro ci appare, nello specchio che attraversa il secolo scorso fino ai riflessi e alle incrinature dei nostri giorni, l'appello a un tempo nelle sue radici a illuminare ancora nel mistero, senza disperdersi, "l'argine della strada". Lo strumento, gli strumenti come detto sono entro un'esistenza di coinvolgimento e di presenze a dirsi nell'affermazione dell'altro, dove la stessa infanzia nel calore e nella semplicità degli interni evocati viene colta nella crescita entro un "amare senza chiedere pegno", allevata ad uno sguardo di misericordia (anche verso se stessi) nella pazienza di un'esistenza che non manca di chiedere prove (e di cui l'uomo saggio sa le misure- "a volte dobbiamo dimenticare per vivere"). La comunità riunita nella letizia e negli affanni, sempre nell'intreccio con amici, vicini e figure care è dunque il lascito affidato ad una parola (là appresa) che proprio dalla memoria sa attingere nelle sue evocazioni per dare carne "al desiderio/ di dare alla storia un corso nuovo,/ fatto di comprensione, fatto di dialogo,/offrire alla pace un'opportunità concreta". Parole queste che non a caso prendiamo a prestito da un testo dedicato allo sbarco sulla luna, la terra piuttosto- la nostra terra- sempre presente nei suoi occhi come il suolo più difficile da raggiungere e ben perseguire. Naturale dunque nel proseguo, in età adulta, da educatrice e da donna che si lascia coinvolgere, l'attenzione estrema all'altro nell'esplosione di quei piccoli e grandi mondi che sovente proprio nelle distorsioni della famiglia trovano motivo e perdita- questo infatti restando, e non potrebbe essere diversamente, il punto d'osservazione. Ecco allora tutta questa schiera di ragazzi dolenti, di uomini e donne sole nel margine terminale di se stessi tra rifiuti e abbandoni, nel silenzio di un'esistenza- e di un indifferenza- che volta le spalle e che la Bortone Frainetti sa ben riportare nella spina di una ferita, quella propria di ognuno, che dall'intimo della carne reclama quantomeno cittadinanza, il riscatto del ricordo. Il tutto nella tecnica cui si affida l'autrice, o così almeno ci pare nella ricchezza dei riferimenti, grazie alla grande lezione di tanta poesia inglese - e irlandese (su tutti l'amato Patrick Kavanagh)- dando luce nella trasfigurazione anche da un piccolo ritaglio a quel luogo dell'abisso cui ognuno nella cattività del suo demone rischia di volgere. Echi allora dalla Bibbia e da antiche leggende si fondono alle urgenze di un'era che va affondando, ancora e sempre tra l'avidità di mammona e la cieca violenza di un mondo che non ha altro modo per riproporsi, le donne sempre le prime a cadere ma sempre le prime con gli ultimi (e qui ce ne sono tanti) ad abbracciarlo e a sostenerlo però a fronte di una società e di una politica che procede per separazioni. Una parola quindi che si risolve nella fedeltà all'imprinting da cui nasce, la famiglia, per volgere allo splendore dell'unicità cui rammenta nell'essenzialità del dettato lo sforzo necessario, il dovere nel reciproco sostegno (e che i versi dello stesso Kavanagh in esergo puntualizzano: "Dobbiamo registrare il mistero dell'amore senza parole inutili,/Sottrarre le passioni al tempo prima che sia troppo tardi"). Perché è un discorso sulla bellezza questo lungo discorso su noi stessi, nel suo bisogno di cura e costante attenzione nella consapevolezza comunque di come ogni volta si debba ripartire dai giovani, dalle loro aspettative come anche dai loro pericoli (non dimentichiamo che è un'insegnante). In conclusione un testo riuscito che non ha cedimenti ma che anzi nutrendosi continuamente di se stesso continuamente si ripropone nel circuito di interrogazioni cui il lettore è costretto. Una cosa sola aggiungeremmo a proposito dell'edizione. È bene sempre mettere qualche riga di riferimento biobibliografico, e al libro, in aiuto al lettore. Non ha grande senso, non è necessaria inoltre in copertina la dicitura "poesia narrativa". Si tratta semplicemente di poesia con andamento prosastico, tra l'altro ben compiuta.

 

 


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