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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Quando gli squali mangiano vento

Romanzo

Enrico Meloni
Edizioni Progetto Cultura

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 01/04/2022 12:00:00

 

Il ricordo della morte del cantante Rino Gaetano è la scintilla che riporta un anziano professore di filosofia all’anno 1981, che con registri diversi ricostruisce un anno denso di sfide per la società, per i suoi alunni e in particolare per uno di essi, Ale. La narrazione è costruita come un collage di ricordi del periodo, ricordi ancora più lontani della gioventù del professore e brani del diario di Ale. La lettura è molto gradevole e schietta, corre veloce tra il linguaggio giovanilistico, scivoloni dialettali e pensieri filosofici e profondi. Ci sente veramente immersi nel momento, è netta la percezione che quanto si sta leggendo sia raccontato dalla vivida voce dei protagonisti. Lo sfondo della vicenda sono le rivolte studentesche, l’occupazione delle classi e le manifestazioni in piazza. La società ha appena digerito il ’68, il ’77 (gli anni maiuscoli), la rivoluzione sessuale e ora è alle prese con un nuovo periodo di rivolte. Le richieste sono sempre quelle, maggiore libertà, maggiore democrazia, libertà di scelta eccetera. Sembrerebbe uno sfondo ideale, sul quale poter disegnare delle linee che dalla gioventù ambiscono a sfiorare il cielo, il mattino dell’uguaglianza, dei diritti per tutti e di una maggiore libertà sessuale. Invece non è esattamente così, anzi, gli slogan che vengono urlati a gran voce, per alcuni, sono solo frasi fatte. Le due figure chiave sono Ale e Rob, a quest’ultimo spetta la parte del ragazzo bello e muscoloso, il classico don Giovanni, scanzonato e sicuro di sé, sebbene anche per lui la vita sia affatto priva di dubbi. Ale, invece, nella scorza tenace di atleta nasconde un animo accogliente, ama gli animali, si fa carico di un vecchio cane, entra in relazione con Safi, un girovago bislacco, è curioso, insomma incarna bene la giovanile apertura verso il mondo esterno.

In breve, Ale si trova, quasi senza rendersene conto, a essere irresistibilmente attratto dal bel Rob, il quale ricambia le attenzioni, l’affetto, la compagnia e certe esperienze intime. Ma la morsa della società e dei compagni di classe è troppo ferrea, il pregiudizio, malgrado gli slogan, come dicevo, è forte. La parola omofobia nel testo credo compaia poco, ma è perfettamente descritta nei suoi due aspetti più evidenti. Uno è la derisione, lo scherno e l’isolamento di chi viene anche solo “sospettato” di essere omosessuale. L’altro aspetto, legato al primo, è l’omofobia interna che prova chi si sente attratto da qualcuno del suo stesso sesso, ma per il pregiudizio degli altri, e il suo, tenta di distruggere l’oggetto dell’amore nel – vano – tentativo di distruggere quel lato di sé che mette tanta angoscia. Rob incarna perfettamente questo triste stereotipo, dapprima accetta e condivide le effusioni di Ale, ma quando qualche compagno di classe comincia a fare delle battute di troppo ecco che comincia a evitare Ale, fino a volerlo materialmente estirpare dalla sua vita. Ale ne esce distrutto, ovviamente, forse non si rende subito conto di quel che sta succedendo, ma nel preciso momento in cui – per scherzo – viene data un’attribuzione al legame, scatta la censura. Ale e Rob sembrano dirsi siamo etero anche se ci vogliamo bene, che male c’è? ma nel momento in cui si fanno la domanda, siamo froci?, la risposta fuga prepotente ogni dubbio e li “condanna”. Il rapporto deve essere distrutto, e soprattutto deve essere distrutta la parte che porta alla luce la pulsione, interna ed esterna. Ale dovrà affrontare un lunghissimo percorso, metaforizzato in una lunga nottata che passa fuori di casa (giocando sul out of the closet) per metabolizzare il dolore immane che sta vivendo, e mettere al mondo l’Ale adulto che affronta la vita con una nuova consapevolezza di sé.

Anche il professore narrante sembra avere avuto nel suo passato pulsioni simili, ma poi la routine, o le convenzioni, hanno preso il sopravvento, pur permanendo in forma di ricordi vitali. In più, dalla parte del prof e di Ale, c’è tutta la cultura ellenica sulla quale indulgono per cui l’amore tra due uomini è, oltre che accettato, idealizzato. Intrecciati alla storia di Ale, vi sono molti momenti di riflessione, soprattutto verso il finale, che analizzano il tema della discriminazione sessuale e di genere, viene sottolineata l’ingiustizia ma anche l’assurdità del negare pari diritti alle diverse forme d’amore. Una parentesi ricorda anche come l’omologazione e la discriminazione siano un bagaglio talmente presente nelle menti delle persone che viene anche riproposto all’interno della stessa “comunità gay” che emargina chi non corrisponde a determinati canoni. Ma poi il professore riequilibra la riflessione con il fatto che, fortunatamente, non è possibile veramente determinare chi sia gay e chi no dall’aspetto o dalla professione, al di là dei cliché e delle macchiette, che fanno comunque parte della discriminazione e servono a tranquillizzare gli eterosessuali, catalogando gli omosessuali come qualcosa di talmente altro che possono sentirsi al sicuro. Inoltre, il professore, nelle sue riflessioni, evidenzia come anche l’essere gay o etero non siano limiti così stringenti, categorie così marcate, ma anzi una certa fluidità di preferenze è sinonimo di profonda libertà e fiducia in sé stessi. A testimonianza di ciò il finale è aperto, spetta al lettore scegliere come procede la vita di Ale, proprio all’insegna dell’abbattimento delle barriere.

La lettura di questo romanzo, nella semplicità del suo linguaggio e della sua struttura riesce a sollevare interrogativi profondi e a trattarli in modo non banale né scontato, e la sua lettura darà dei buoni spunti di riflessione.

C’è un personaggio nel libro, una sorta di folletto che lega la vita del professore con quella di Ale, è Safi, un poeta girovago, cui spetta la title track:

 

Quando gli squali mangiano vento

S’accende al sole un lampo di follia

Anche nell’onda nera di burrasca

È lecito sperare nella fuga.

 

Quando gli squali mangiano vento

Un monito che gela la paura

Un attimo che può essere sempre

Un attimo soltanto immaginato

Ognuno, uomo o pesce ha un turbamento

Otarie e tonni apprendono la pace

S’aprono gorghi di visioni nuove

Esiste un altro modo di aspettare

Esiste un luogo che scavalca i sogni.

 

Quando gli squali mangiano vento

Ricordati di cogliere il momento.

 




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