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l’immaginazione

Rivista

Aa. Vv.
Manni Editori

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 21/07/2015 12:00:00

 

Ricco di spunti e riflessioni questo numero de L'immaginazione per buona parte dedicato, nella sezione "Per ricordare" con cui la rivista si apre, alla preziosa figura di intellettuale, intessuta a tutto tondo come vedremo, rappresentata da Paolo Volponi. Preziosità a cui ben si richiama Fabio Moliterni e che qui riportiamo subito, esemplificativamente a dire di un acume e di un rigore etico e critico assolutamente non marginale nella cultura del nostro paese del secondo novecento. Così infatti Moliterni ce lo presenta (ne Sul Materialismo di Volponi):"Eretico e "fuori canone" sin dagli esordi lirici e poi nelle colate espressive dei romanzi e delle ultime colate di versi- nella elaborazione di una prassi di scrittura ispirata alla più anarchica osmosi dei generi e delle forme letterarie,tra poesia e prosa, tra epica e saggismo- testimone e interprete controcorrente delle diverse mutazioni che hanno intaccato il midollo della società italiana dagli anni cinquanta e sessanta fino alle soglie del nuovo millennio". Ed ancora:"Volponi resta all'altezza di questo presente (insieme con vecchi e nuovi compagni di strada) una delle voci più potenti e necessarie per decifrare in senso antagonista il nostro contemporaneo". Questa ricca introduzione a dire anche della densità del lavoro operato in questo numero per una più esaustiva, seppur ancora parziale ovviamente, sua conoscenza nel corredo oltre che critico anche di semplice, ricordo personale (si veda ad esempio quello di Vito Bruno a proposito di un viaggio fatto insieme da Milano a Pesaro nel giorno della semifinale Italia-Polonia dei mondiali spagnoli) e nella cucitura di fotografie che lo ritraggono tra affettuosità familiari e pensosità critiche tra colleghi (Guttuso, Pasolini tra gli altri). Lavoro, dicevamo, che a poco più di vent'anni dalla scomparsa (e con la contemporanea uscita proprio per Manni dei "Discorsi parlamentari- qui presentato a pagina 53) ci riporta un Volponi sotto la lente delle sue tante sfaccettature, anche caratteriali certo nelle comunanze e discordanze con altri autori ed amici persino in dinamiche a volte di difficile scioglimento (vedi Gian Carlo Ferretti nel racconto dell'incrinatura dell'amicizia per una definizione- a proposito dell'opera poetica- in una recensione su L'Unità). Così, interessanti sono le diverse testimonianze relative alle dinamiche professionali che Volponi ebbe nelle sua esperienze alla Olivetti e alla Fiat , poi da sfondo o spunto pei suoi romanzi ( basti riportare quanto Enrico Capodaglio scrive a proposito di "Corporale " o "Le mosche del capitale" dove lo scrittore coglie con chiarezza "che smateriare l'economia attraverso la finanza e l'informatica, vuol dire sì renderlo più leggero, ricco e rizomatico ma rendendo anche i lavoratori più leggeri e incapaci di resistenza nell'attrito sociale"). Eppure in queste pagine, ed è ben comprensibile, i ragguagli più numerose forse restano quelli relativi agli intrecci con Pasolini. Evelina De Signoribus riporta l'incontro con l'autore-regista alle origini con il riconoscimento dello stesso Volponi nell'altro- almeno all'inizio del legame- della figura del maestro (sul tema del maestro si veda più avanti soprattutto il bello scritto di Gian Luca Piccone) che lo spinge a superare le suggestioni dell'ermetismo e a portare il discorso poetico e letterario nella direzione approfondita delle trasformazioni sociali e politiche. Ad occuparsi invece della corrispondenza (1956-75) di un'amicizia, nata a Pietrasanta nel 1954 nell'occasione di una premiazione, è Daniele Fioretti anch'egli confermando e insistendo sul ruolo di maestro (oltre che di amico, ovvio) che Pasolini ebbe per Volponi favorendo una maturazione che nell'approdo alla più congeniale forma del poemetto in versi ("Le porte dell'Appennino") lo disancora, come lo stesso Volponi riconosce e gli scrive nel settembre del 1960, "fino a stabilire sulla mia paura e poi sulle cose e sulla società dell'Appennino, una scala di valori e quindi a emettere un giudizio". Aiuto che gli venne anche nell'ambito del romanzo ("Memoriale", "La macchina mondiale") con lettere appunto che lo testimoniano. Piuttosto, sarà durante la stesura di "Corporale" che la sintonia in campo letterario fu messa in crisi quando il poeta-regista vedendovi un "cedimento" alla neoavanguardia reagì negativamente- anche se il contatto tra i due restò comunque saldo fino alla fine testimoniandolo il fatto che durante la stesura di "Petrolio" Pasolini chiese la consulenza proprio di Volponi nel delineare la figura del dirigente industriale in crisi date le sue esperienze alla Olivetti e alla Fiat. Piuttosto sul periodo alla Olivetti pregnante è lo studio di Giuseppe Lupo su alcuni testi poetici che, contemporaneamente a "Memoriale", ne fanno riferimento. Su tutti "La durata della nuvola" nella sezione "Foglia mortale (1962-66)" della raccolta "Poesie e poemetti" in cui la fabbrica di macchine da scrivere viene indicata attraverso la metafora del giardino:"luogo virtualmente d'incanto, solo in apparenza rassicurante, dal momento che, al contrario di quanto ci si possa immaginare, nasconde l'insidia della prigione" aprendo dunque l'immagine di Ivrea come idea di città-giardino però "piegata alle severe regole dell'economia e del profitto". In riferimento al versante poetico si segnala anche Giorgio Luzzi coi suoi bagliori in un'analisi che, oltre a intrecciarsi a modi e forme del dettato linguistico in riferimento a una dicibilità del mondo che non sia quella della narrazione pura, invita a soffermarsi sugli eventuali svantaggi il successo del narratore può aver procurato al poeta ricordando che, a suo dire, Volponi è soprattutto poeta. A chiudere è Massimo Raffaeli che ricordando l'importanza del rapporto col gruppo di "Officina" (soprattutto per la spinta al versante in prosa , al romanzo) ci offre una splendida analisi del testo "La paura" all'interno de "Le porte dell'Appennino" - da lui considerato "baricentrico"- e dedicato in epigrafe proprio ai tre fondatori e redattori della rivista, Leonetti, Pasolini, Roversi. Analisi, dicevamo, che non a caso dunque parte da una foto scattata con loro alla metà degli anni cinquanta sulla collina bolognese di San Luca essendo principalmente "La paura" un testo di congedo dalla giovinezza ma, insieme, "anche la premonizione di un altrove o di un trapasso". Tutto nella suddivisione in 7 movimenti e composto di endecasillabi il cui vettore nell'andirivieni spazio-temporale è detto "navicella" nel richiamo alla "navicella dell'ingegno" dantesca del Purgatorio disposta "a un viaggio di espiazione e conoscenza". Viaggio dal quale Volponi ridiscende con una paura che non è scomparsa ma "consapevolmente introiettata per essere metabolizzata e infine utilizzata" giacché riconosciuta come "principio della conoscenza di sé e delle cose del mondo" entro una "verità da pagarsi sempre in prima persona" non essendoci tra l'altro "letteratura che non sia (classicamente, etimologicamente) una cognizione del dolore". Eredità questa, per Raffaeli e con il quale concordiamo, monito per una letteratura di oggi, al contrario, dimissionaria. Terminato il lunghissimo e appassionato omaggio a Volponi (sul quale segnaliamo ancora i versi dedicatigli da Eugenio De Signoribus e il rapporto con la storia dell'arte di Leonardo Manigrasso) la sezione "Per ricordare" si prolunga quindi con i brevi ricordi dapprima del pittore Armando Pizzinato di cui Silvana Tamiozzo Goldmann segnala il rapporto con la poesia di Andrea Zanzotto "La contrada. Zauberkraft"(in "Idioma") a cui era molto legato per l'evocazione in trasfigurazione del proprio paese e poi di Giovanni Ragagnin e del convegno a lui dedicato nel paese natale di Buja nel 2013 ("Giovanni Ragagnin. Dire no al nulla. Vita, impegno e scrittura") su cui Carlo Londero sottolinea, tra gli altri, l'intervento di Marina Marcolini dell'Università di Udine a segnalare una scrittura fortemente legata alle sperimentazioni del secondo novecento- soprattutto negli anni settanta- e "all'immissione di altri linguaggi speciali appartenenti ad altri generi". Delle Noterelle di lettura di Anna Grazia D'Oria particolare ci sembra quella relativa a Giulia Ricci, autrice novantenne col suo "Pizzicato (Omaggio giocoso al Cinque Maggio manzoniano") e tra i testi della sezione poesia (insieme a quelli di Cucchi, Tiziana Sala, Alessandra Pancotti) quello di Armando Balduino, filologo e critico qui nella veste inedita appunto di poeta (la sua unica raccolta, "Cielo sui vetri", è del 1957) con un testo del 1998 annotata su un foglio di convocazione di Consiglio comunale. Dei testi in prosa ci colpiscono su tutti quelli di Ivo Prandin, giornalista e scrittore di fantascienza, in "Parole del vissuto" tra memorie di infanzia e campagna e considerazioni sulla perdita di gioie, seppur piccole, del nostro tempo. A seguire ricordi e auguri al critico Remo Ceserani per i suoi ottant'anni da parte di Antonio Prete e Roberto Barbolini ma che qui vogliamo ricordare nell'arguzia delle sue notazioni con un suo pezzo nella rubrica A piè di pagina (dove ci sono scritti ancora di Prete). In queste pagine infatti, da una lettura del romanzo di Francesco Pecoraro "La vita in tempo di pace"(Ponte alle Grazie 2013), a proposito dei tormentati rapporti tra padri e figli cita, traduce e commenta l'incisiva poesia di Philip Larkin "This be the verse" , a suo dire, appunto, segno da parte dell'autore di concentrato e " disperato disprezzo per i sentimentalismi della famiglia mononucleare borghese ". Sapienza critica che ritorna in Pollice recto dove Renato Barilli tesse dapprima le lodi, a conferma di talento, di Giovanni Grieco che in "Ultima madre" (Feltrinelli 2014) affronta il tema dei bambini strappati in America Latina dai regimi alle madri naturali (con loro sparizione) e poi di "Strategie per arredare il vuoto" di Paolo Marino nel tentativo del protagonista tredicenne rimasto orfano di crescere da solo. Raccomandando le escursioni librarie di Piero Dorfles e l'interessante spunto di Cesare Milanese sulla teologia del Belli che lo indurrebbe più che alla devozione alla blasfemia per empietà e non per miscredenza (esprimendo così il crollo della fiducia nella divinità stessa) giungiamo alla rubrica Le altre letterature con versi dell'autore russo Dmitrij Grigor'ev e della spagnola Pilar Sastre Tarduchy. A catturare la nostra attenzione però nella successiva rubrica dedicata a I nuovi libri Manni (di Larocchi, Fiori, Abati, Sepa e come detto Volponi) sono Giuseppe Fiori ("La conversazione sparita") che nella forma della ricordanza autobiografica ci offre un trattato sulla conversazione e Marica Larocchi che in "Fantasmi" raccogliendo storie al femminile in aree dell'alta Italia ne disegna "il viaggio nel tempo, concreto e interiore, che, dall'industrializzazione lombarda del XX secolo e attraverso la deriva di guerra e dopoguerra, sfiora, tra conflitti, equivoci e tradimenti, il margine stinto e fangoso della crisi in atto". A chiudere Le recensioni con interventi tra gli altri di Alessandro Carrera su "Disunita ombra" di Luigi Fontanella (Archinto 2013), di Vincenzo Guarracino su "Riti di seduzione" di Ottavio Rossani (Nomos 2013) e Francesco Diaco su "Il sangue amaro" di Valerio Magrelli (Einaudi 2014). Tra queste ci è cara evidenziare quella di Donato Di Stasi relativa a "La corona dei dodici mesi" (LietoColle 2012) di Marcello Marciani, prezioso autore lancianese di provata forza poetica sia nel versante in lingua che in quello in dialetto. Qui è messo in evidenza quello che Di Stasi stesso, a buon diritto, considera uno dei suoi maggiori meriti, ossia "di inoculare nella lingua poetologica il proprio talento incentrato essenzialmente sulla nominazione e sulla dissacrazione" (qui incastonato nella scatola classica della Corona sonettifera di stampo realistico-giocoso): "libro rubicondo"," radicale e sempre giocato sul rovescio della significazione" (..) con lauta esibizione di mezzi raccoglie le polverizzazioni esistenziali, proprie e altrui, e le riaggrega, le annoda come rettili, cercando di arrivare al nucleo più autentico, più arcaico del nostro animo, quello che non si lascia intorpidire dai sogni senili di una civiltà vicina alla senilità antropologica e culturale".

 


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