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Quaderni di Etno 12 ’Musica Celtica’ parte II

Argomento: Musica

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 11/05/2014 09:42:28

Quaderni di Etnomusicologia 12 (II parte)

‘L’eco celtica nella musica contemporanea’.

Che i Celti esistano ancora, o almeno esista una ‘differenza celtica’ nell’area della loro massima espansione che va dalla Bretagna alla Cornovaglia, dall’Irlanda al Galles alla Scozia, fino alle Ebridi è provato dall’adattamento al territorio che questo popolo, conosciuto come “il popolo che venne dal buio” ha maturato nei secoli, addensandosi nelle cupe foreste che ricoprivano gran parte del continente: dalle vaste pianure nebbiose attraversate da grandi fiumi, alle brumose e fredde coste settentrionali. Un popolo di cui scrissero Platone, Strabone e Diodoro Siculo, raccogliendo notizie e stupori che già allora circolavano nel mondo ellenizzato: “..del loro furore guerresco e della loro infantile passione per gli ornamenti, i monili e le vesti sgargianti; (..) nonché dell’esistenza di poeti lirici detti ‘bardi’ che solevano cantare panegirici e satire; e di filosofi e teologi cosiddetti ‘druidi’ che tutt’oggi continuano ad accendere passioni. (..) Ne descrissero i lunghi banchetti su pelli di cane o di lupo distesi accanto ai camini nelle capanne; e nelle campagne vicino ai fuochi, dove ardevano grandi fuochi sotto ai calderoni o sfrigolavano sugli spiedi grossi pezzi di porco tra cui sarebbe stata scelta, la ‘porzione’ per l’Eroe’, per onorare il più valoroso tra i convitati. (G. Herm in bibliografia)

Indubbiamente più interessante è per noi quanto riferito nel “De bello gallico”, in cui Giulio Cesare annovera l’estendersi dei regni dei Celti dai Carpazi alle Isole Britanniche e oltre; fin dove ancora oggi, innumerevoli luoghi mantengono i nomi originari di derivazione celtica e gaelica. A conferma che lo ‘spirito celtico’ sopravvive, generazione dopo generazione, nella memoria e nell’uso dell’antica convivialità, così come nelle tradizioni ‘orali’ che ne hanno permessa la conservazione e la trasmissione: come la lingua e le lunghe narrazioni, la musica e gli strumenti tipici che ancora oggi continuano ad accendere passioni.
Una ‘letteratura’ che contrassegna il retaggio di commistioni arcaiche e del cristianesimo medievale, in cui la fantasia fiabesca dei Celti “..si compiacque allora di seguire per fosche boscaglie e acquitrini, in rudi castelli e a festosi conviti”, le più antiche leggende gallesi del ‘Mabinogion’, le favolose imprese di ‘Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda’ e la saga irlandese di ‘Cu-Chulainn’; così come la poesia epica e trovadorica, il calore dei canti popolari e le danze scatenate che hanno conservato un fascino vivissimo che risuona ancora di antico vigore.

“The Celts” by Enya

Hi-ri, Hi-ro, Hi-ri.
Hoireann is O, ha hi, ra ha, ra ho ra.
Hoireann is O, ha hi, ra ha, ra ha ra.
Hi-ri, Hi-ra, Hi-ri.
Saol na saol,
Tus go deireadh.
Ta muid beo
Go deo.
Saol na saol,
Tus go deireadh.
Ta muid beo
Go deo.
Hi-ri, Hi-ra, Hi-ri,
Hoireann is O, ho hi, ra ha, ra ha ra.
Hi-ri, Hi-ro, Hi-ri.

“Per sempre / Iniziando dalla fine / Noi siamo vivi / Per sempre”: dicono i versi di questa canzone in lingua gaelica interpretata da Enya che ha il grande merito di aver contribuito a riportare in auge la musica celtica, seppure servendosi dei mezzi di comunicazione di massa e delle nuove tecnologie a disposizione, e nella forma musicale certamente più commissionata, quasi ibrida, se non che ancora capace di suggestionare l’ascoltatore avvolgendolo di quello ‘spirito celtico’ misterioso che sembra provenire dal lontano passato, mentre si tratta invece del ‘respiro musicale del nostro presente’. Questa, se può rendere l’idea, è la forza intrinseca di questa musica che ci permette oggi di comprendere dove la ‘differenza celtica’ si annida; cioè nel suo costante fare riferimento a una concezione del mondo costruita ad immagine e specchio del destino dell’uomo e sulla sua determinazione nel realizzarlo: “I Celti non hanno mai creduto nella materia, bensì nelle differenti manifestazioni e concretizzazioni di forze astratte, spirituali, considerando il mondo una delle tante manifestazioni del Cosmo”. (Jean Markale in biblio)

Tutto questo accade certamente qualche tempo fa in Irlanda (territorio celtico elettivo) e dintorni, mentre tuttora sussistono, leggende più antiche e nobili che tramandano l’esistenza di terre inafferrabili e incontaminate, esistite “al di là dei luoghi dove tramonta il sole”. Oltre a quella ‘Lyonesse’, che la fantasia dei marinai e dei poeti ha chiamato con nomi diversi: ‘Mag Mell’ (pianura del piacere), ‘Tir Nam Beo’ (terra della vita) e ‘Tir Nam Nog’ (terra dell’eterna giovinezza), sono conosciute ‘Avalon’ e ‘Lethosow’, ‘Cu Curlain’ e altre di mitica memoria. Terre queste scelte a dimora dagli dèi dei Celti che dominano il fato, abitate da una schiera di strane creature, quali Elfi, Fate, Folletti, Spiriti dell’acqua e della vegetazione come esseri magici dai nomi bizzarri e dal carattere burlesco. Tuttavia la tradizione orale parla anche di crude storie quotidiane, di malattie e sofferenze, di guerre e sopraffazioni straniere, di carestie e fame che per secoli, così lunghi da sembrare eterni, hanno dilaniato queste terre, soprattutto l’Irlanda fino ai giorni nostri.

All’Irlanda rimanda infatti l’immagine onirica di una comunità agricola suddivisa in una miriade di principati relativamente indipendenti, in cui la cultura orale risente della disseminazione in tante piccole ‘isole narrative’ in cui spesso accade che le stesse leggende siano la reinterpretazione di altre più antiche, narrate in modo diverso e verosimilmente accresciute dalla creatività di questa o quella fazione popolare, ora in Scozia come in Bretagna, ora nel Galles che in Cornovaglia. Sì da doverle conoscere tutte per poter raccapezzarci e rintracciarne il ‘corpus’ originario di questa o di quella saga e, comunque, perdersi in mille rivoli narrativi come dentro una selva. Tuttavia non essendo questo il tema della ricerca qui avviata, per lo più di genere etno-musicologica, (ed è improbabile ci riesca), mi sono affidato ad alcune figure ‘mitiche’ che ‘ab illo tempore’ e più di altre hanno rappresentato specifiche attività culturali, all’interno della miriade d’informazioni raccolte in libri diversi, citati in ‘bibliografia di consultazione’.

Tutte le informazioni del caso riconducono ad un'unica realtà oggettiva che sposta l’interesse scaturito dalla leggenda a quelle che sono le scoperte archeologiche di riferimento a quella ‘Lyonesse’ da cui ha preso il via la ricerca sulla musica celtica cui i mitici ‘bardi’, tra nuovi compositori, musicisti, esecutori vocali ecc., hanno dedicato il loro lavoro e la loro creatività. La necessità di ancoraggio ad un evento ‘mitico’ si inserisce in quella che è poi all’occorrenza l’esigenza culturale/spirituale dell’essere umano all’interno di ogni popolazione, onde lasciarsi travolgere dal soprannaturale quale fonte di ispirazione e trascendenza. Soprattutto in presenza di qualcosa, oggettivamente esistente, che ne riveli la fondatezza, sulla quale edifica la propria ragione di esistere e possibilmente innestarvi le proprie radici. Quale occasione migliore quindi di rinverdire le tradizioni popolari e risvegliare gli animi su una ‘leggenda’ popolare come quella di Lyonesse?

L’occasione ci è offerta dall’archeologia subacquea e dalla scoperta, nelle profondità della Baia di Douarnenez, di alcuni resti attribuibili alla città sommersa di ‘Ker-Is’. Benché non esistano prove di un’alluvione di vaste dimensioni avvenuta in quei tempi in area celtica, può darsi che maree eccezionalmente alte, come quelle del 1953 nella costa orientale inglese, abbiano provocato un disastro locale. È possibile che, quando i monaci dell’Abbazia di Mont Saint-Michel, in Bretagna, fondarono in Cornovaglia la casa figlia di St Michael’s Mount, abbiano portato con sé la storia dell’inondazione. I discendenti dimenticarono il luogo esatto della catastrofe e lo collocarono dove esistevano le possibili prove della sua esistenza. Riguardo all’epoca dell’accadimento, si è scelta quella più verosimilmente vicina alla tradizione eroica dei Celti e, conseguentemente, quella epica di Re Artù ,ei quali si narravano gesta strabilianti.

“Il monopolio delle attività intellettuali era affidato principalmente al ‘druido’, consigliere del re, mago, sacerdote e spesso letterato e giurista, oltre che ai ‘filid’ poeti aristocratici, membri della classe sacerdotale e depositari dei cicli epici che costituiscono la memoria della razza celtica. Alla base di questa gerarchia intellettuale erano i ‘bardi’, poeti-cantori di estrazione popolare che sostituirono a poco a poco l’astro in declino dei ‘druidi’ e diventarono figure esemplari della vita irlandese, incarnazione vivente di una cultura orale arcaica e contadina. L’opera capillare dei bardi e dei monaci cristiani servì ben presto a trasformare l’ “isola verde” in una roccaforte della cultura (evangelizzata), dove studiosi in esilio provenienti da tutta Europa poterono trovare rifugio, e dove fu creata, intorno al 1300, una delle civiltà culturali e spirituali più fiorenti. (..) I monasteri, veri centri propulsori del sapere, patrimonio di tradizioni e di tecniche specifiche, miniando i Libri Sacri, riscoprivano l’avviluppata, rabescata e un po’ ebbra tradizione decorativa di un arte raffinata imperniata sulla riproduzione di manoscritti antichi, mentre ancora nel medioevo “i monaci irlandesi raggiungevano il continente e rischiavano di conferire una definitiva patina celtica al cristianesimo europeo” (P.Joannon in biblio).

A tal proposito - scrive Serafino Riva (in biblio) - “Non c’è nulla che eguagli la capacità di evasione dal reale nella loro arte quanto la loro forte presa nella realtà quando decidono di rimanervi aggrappati”. Questa, che potrebbe sembrare una contraddizioni in termini, di fatto, rappresenta l’ostinata volontà popolare celtica di mantenere una propria distinta individualità: “Tutta la spiritualità celtica è racchiusa in questa singolare convivenza di elementi assolutamente fantastici e crudamente realistici, e tutta la cultura celtica trae alimento da questa convivenza tra la trasfigurazione letteraria del quotidiano e l’immaginazione impregnata di realtà. Immaginazione e realtà sono i termini di una cultura nella quale i linguaggi specifici dell’arte e della vita, entrano in contatto senza creare fratture o dualismi”. (ibid.)

Del resto, se è vero che la cultura conserva il sapore dei luoghi fisici dove è stata prodotta, la cultura musicale e poetica irlandese non poteva che sapere di terra. In realtà luoghi specifici deputati alla cultura non sono mai esistiti in Irlanda, la poesia e l’estro musicali nascevano nel grande locale destinato alla cottura del pane, nelle aie e sui campi dove le canzoni scandivano il ritmo del lavoro e il tempo dello spirito.
Se vogliamo, è questa la conferma della fatale parabola che ha salvato lo ‘spirito celtico’ dallo schiacciamento della storia che in certo qual modo vede negare ogni valore ai vinti. Se i Celti sopravvivono ancora oggi è perché il loro ‘spirito’, la loro ‘cultura’ rimangono ad impregnare l’area che essi hanno dominato e, le cui tracce, sono riconoscibili in ogni manifestazione del loro pensiero, così come nei riti, nelle superstizioni e nella creativa fantasia delle loro favole e saghe, nelle ballate e nella musica che accompagnava e accompagna in ogni ‘pub’ che si rispetti, le loro sere e e le manifestazioni più autentiche dell’intrattenimento.

“Ciò che ci stimola a guardarci d’attorno, indicandoci i modi per riconoscerci fra di noi, nell’Occidente che fu celtico, la persistenza della nostra civiltà”, è una frase entrata di forza a far parte del credo celtico, a testimonianza non un semplice indirizzo culturale che bensì ha condizionato in modo costante, seppure discontinuo, l’insieme della civiltà occidentale e continua a farlo allo stesso modo che in passato, nella nostra civiltà contemporanea, industrializzata e tecnologizzata, orientata verso il futuro. Ed è qui, nell’ormai nota leggenda celtica riferita a ‘Ker Ys’ e alla buona strega Dahut, di cui ho narrato nel capitolo precedente, che pure si cela una determinata realtà attorno alla “terra perduta dove oggi si stende solo il burrascoso mare” di Lyonesse (Lethosow, Avalon ecc.), che vanno ricercate le origini del ‘revival’ che anni fa ha interessato la musica celtica.

In quanto fenomeno articolato e complesso che, partendo dall’Irlanda attraverso il la Bretagna e il Galles, su fino all’England e alla Scozia, ha interessato i pubblici di tutto il mondo con una vitalità che ha pochi precedenti nella storia della musica popolare, riconduce a leggende in parte dimenticate che pure narrano di altre storie, ed altre, tantissime ancora. Ma significherebbe qui capovolgere il nostro intento di ricerca di un contesto musicale di cui è profondamente impregnato il ‘sentimento celtico’, simbolicamente legato al mito pseudo - cristiano della resurrezione.

“Celtic Legend” by Alan Stivell

O Lyonesse, be stronger now
The Winds of Change have come for thee
To wander hence but still return
From darkest waters of the Sea
O Lyonesse
Although the waves have come for thee
You will return to wander hence
With tears of salt to fill the Sea
The Sea. The Sea
The waters came from the darkness (waters)
The waters came from the darkness (waters)
Through endless days that turn to night
O Lyonesse, I'll wait for thee
Though I may be asleep in dust
My spirit lives beneath the Sea
The Sea. The Sea
The waters came from the darkness (waters)
The waters came from the darkness (waters)
The Sea. The Sea

O Lyonesse, devi essere più forte ora / I venti del cambiamento sono venuti per te / A vagare da qui, e ancora tornare / Da più buie acque del tuo Mare.
O Lyonesse, / Anche se le onde sono venutieper te / Si tornerà a vagare da qui / Con le lacrime di sale per riempire il mare.
Il Mare. Il Mare
Le acque provenivano dalle tenebre (acque) / Le acque provenivano dalle tenebre (acque)
Attraverso interminabili giorni che volgono a notte.
O Lyonesse, aspetterò per te / Anche se dovessi addormentarmi nella polvere / Il mio spirito vivrà sotto il tuo mare
Il Mare. Il Mare
Le acque provenivano dalle tenebre (acque) / Le acque provenivano dalle tenebre (acque)
Il Mare. Il Mare.

“Se le religioni astrali per mezzo delle stelle e forse con il loro aiuto si aspettano una vita ultraterrena, i popoli delle steppe sperano di vedere dietro le nuvole un cielo splendente e infine un ritorno nel grembo della Grande Madre. (..) Il fatto che le ‘matres’ celtiche sempre appaiono in triplice aspetto, dimostra la loro forza. Non sono realmente tre, ma una sola; è sempre l’unica e sola Grande Madre (Morigan). Quasi tutte le religioni la chiamano così o in maniera simile, in ogni caso sempre con un’espressione che indica forza, (..) amministra sia la morte che la vita, anche per questo porta in grembo ceste di frutta, talvolta cornucopie, simbolo di fertilità e rinascenza”. (M. Riemschneider op.cit.). È così, che quasi per incanto, si rende possibile recuperare alla fantasia, le molte melodie ascritte ad alcune leggende come quella che abbiamo appreso di ‘Ker Ys’ e della ‘dama del lago’, di Dahut e Tristano e tante altre, narrate o meglio musicate e cantate dagli odierni ‘bardi’ della canzone celtica.

Ballate e canzoni intrise talvolta di un sapore aspro e incisivo che emerge dalla folta produzione letteraria dei crudi poemi guerreschi e dalle antichissime saghe, attestate alla prima produzione letteraria irlandese del ‘Craobh Ruadh’ (ramo rosso) e del ciclo detto di ‘Ulster’. A queste rudi produzioni si affiancano senza salti di livello capolavori di raffinata fantasia, come le numerose leggende su ‘Tir Na Nog’, la mitica terra della giovinezza le cui immortali delizie costituivano, al di là dal paradisiaco, una tentazione per gli uomini d’Irlanda. Per una cultura dell’‘utopia’ quale momento migliore per andare alla ricerca di un modo nuovo d’intendere una diversa immagine del passato? – mi chiedo. Forse, è proprio in ciò la risposta. Riscoprirne i contenuti, pur sull’onda dei tanti ‘revival’ che si susseguono al passo con le mode, nell’arte come in letteratura e in musica, significa rendere giustizia alla varietà delle scaturigini “da cui l’Europa ha succhiato il suo latte”.

Come altre volte mi è capitato di affermare parlando degli usi e costumi di alcuni popoli nomadi, a maggior ragione confermo che le testimonianze etniche riferibili ai Celti sono parte integrante della cultura europea. L’influenza celtica sull’architettura romanica (e non solo) è quanto di più evidente è possibile rinvenire nel cuore dell’Europa tutta, lì dove religione, civiltà, società, un tempo hanno rappresentato una medesima identità culturale. “Per restituire a questo popolo la collocazione che esso merita nella storia della civiltà occidentale, occorre indagare a fondo nelle tradizioni più lontane, sia antiche che medievali, senza perdere di vista la grande importanza dei miti fondamentali. Confrontando il mito e la storia, con l’ausilio anche degli strumenti messi a disposizione dall’analisi psicoanalitica, si giunge via via a riportare alla luce l’autentico aspetto di quell’élite guerriera e intellettuale che, prima dei Romani, seppe imporsi ai vari popoli occidentali e influì profondamente, nel Medioevo, sulle grandi scelte – religiose, filosofiche, morali, artistiche – dell’Occidente” – scrive ancora Jean Markale (op.cit.), straordinario studioso di ‘cose celtiche’.

Alan Stivell, di cui si tornerà a parlare, come un antico bardo medievale ci propone qui un’altra sua composizione in gaelico: “Ar Gelted Kozh” (I primi Celti) di cui esiste anche una traduzione in inglese comunque di difficile trasposizione in lingua italiana. Ciò mi permette di ribadire il fatto che ogni testo, sia esso cantato o recitato, ha un valore etico ed estetico a sé, quando è recepito nella lingua che lo ha concepito, vuoi per la musicalità intrinseca alla lingua, vuoi per la concettualità propria del pensiero del popolo che lo ha espresso.

“Ar Gelted Kozh” (Les Anciens Celtes) by Alan Stivell

Tril mil bloaz zo sur'walc'h, n'oa ket ur baradoz 'wid 'r Gelted kozh
Met tud aman oa 'heseo Demokrasiezh, araog an dud 'barzh Bro-Gres
'Wel barzh 'r'vro sen 'oa kentoc'h ur c'hlas o c'hoari 'n dra-se
Met tri mil bloaz 'zo dija, n'oa roue 'bet war hon douar
'Merc'hed oa par d'ar baotred, hag an douar 'oa d'an oll
Daou mil a pemp kant bloaz 'zo, Kultur ar Gelted kozh oa o fewa?
War lod brasa? an Europa, lorc'h 'bet hon eus o lar an dra-se
Met rheid eo gout 'oa ar Romaned tud gouez'n o c'hichen
War 'n dachenn filozofel, arzhel a' sokiel.
Hag 'wid 'lodenn diouzh 'skianto? ha diouzh an tekniko?
Skupet eo bet bed kozh ar Gelted ga' hin' ar Romaned
Kre?woc'h oa he, ya'hat, 'wid rhe?k ur stad a rhein un niverenn da bep den
'Brezel etre ar Gelted hag ar Romaned
'Zo bet ur brezel 'tre ar Stad o doue ha' gevredigezh tud
'Tre 'r bed karrezeg ha kaled leun a karrezed vihan
Hag ur bed ronn ha dourel leun a droellenno? hunvre ha follentez
Kollet eo bet ar brezel-se, 'wid ar mare.

(versione inglese)

Life was no paradise three thlousand years ago for the Celts of old
But before they spoke in Greece of democracy we had tried it out in practice,
Not just for those in the slave-owning class but for all men.
Three thousand years ago we bowed the knee to no king,
Women stood equal to their brothers and the land belonged to all.
Five hundred years went by, bloomed bright the free-sown flower of our culture
Across the boundaries of Europe, this no idle boast in our mouths :
When Romans ranged on the seven hills with packs of wolves
The Celts were known as philosophers, their arts and society
Blossomed around our ancient lore of science and craft.
Sweeping across the ancient Celtic world came the Romans,
Building their State on our bones, numbering each man as slaveowner or slave.
Not merely Roman and Celt were locked in struggle :
It was a battle of ideas between the supremacy of the State and the liberty of the individual,
On the one side a square cube of cube-shaped thoughts
Imprisoning a liquid world full of spiralling dreams and fantasy,
Which now has begun once more to break free.

Alan Stivell è indubbiamente colui che più di altri ha dato vita a questo fantastico revival, virtuoso a sua volta dell’arpa celtica (nome gaelico ‘cruit’), che di ‘uilleann pipe’ (cormanusa), dei quali fa uso in quasi tutte le sue composizioni con ingegno e maestria assoluta. Spesso questo recupero ‘nostalgico’ della tradizione e della lingua gaelica pecca di enfasi o di strumentalizzazione, ed anche a volte di un intellettualismo non certo populista, pur rimanendo uno dei più fertili e positivi metodi (romantici) dell’intera rinascenza letteraria irlandese ed europea cui abbiamo assistito: “La fantasia poetica – scrivono gli autori di ‘Musica Celtica’ (in biblo) da cui attingo la notifica – si focalizza come non mai intorno agli argomenti della vita sociale e nella storia irlandese: libertà, emigrazione, evoluzioni o involuzioni politiche, questi sono i temi della cultura sociale ottocentesca (ballata, musica strumentale ecc.); i toni vanno dall’asprezza delle canzoni che incitano alla rivolta, ad accenti d’ingenua speranza, come in questa ballata in voga a Dublino nei primi anni del secolo e che suona come una filastrocca infantile, citata da P. Joannon (op.cit.):

And will Ireland then be free?
Says the Shan Van Vocht:
Will Ireland then be free?
Say the Shan Van Vocht
Yes! Ireland shall be free,
from the centre to the sea;
Then hurrah for Liberty!
Says the Shan Van Vocht.

E l’Irlanda sarà poi libera?
Dice lo Shan Van Vocht:
L’Irlanda lo sarà poi?
Dice Shan Van Vocht
Sì! l’Irlandainfine sarà libera,
Dal centro al mare;
Allora hurrà per la Libertà!
Dice Shan Van Vocht.

D’altro canto le ballate possono assumere toni malinconici come questa bellissima canzone dedicata all'amore lontano.

“Lagan Love” tradizionale by Caroline Lavelle

Where Lagan streams sing lullabies
Through clouds of lilies fair
The half-light gleam is in his eyes
The night is on his hair
Like a love-sick lenashee
He has my heart to call
No life have I
No liberty
For his love is lord of all
And often when the late birdsong
Has lulled all the world to sleep
I will steal into my lover's arms
Our secrets there to keep
And on the cricket's singing stone
He'll make a drywood fire
And tell me then, sweet undertones
The song of my heart's desire.

Dove i ruscelli di Lagan cantano ninnananne / Attraverso nubi di gigli / Nel barlume acceso dei suoi occhi / E con la notte nei capelli / Come un usignolo ammalato d’amore / Lui userà il mio cuore per chiamare / Nessuna vita ho io / Nessuna libertà / Per il suo amore egli è signore di tutti / E spesso sul tardi quando con la sua canzone / Avrà cullato tutto il mondo per dormire / Io starò tra le braccia del mio innamorato / Tratterrò i nostri segreti / E sulla pietra dove solitamente il grillo canta / Lui farà un fuoco di legna secca / E mi canterà , con toni bassi dolci / La canzone che desidera il mio cuore.

È appurato che la lingua rimane uno degli strumenti più preziosi che un popolo ha a disposizione per conservare se stesso, e per l’Irlanda questo è doppiamente vero perché, se con la sua ‘rinascenza culturale’ da un lato ha avviato il recupero del proprio passato. È tuttavia proprio dell’aver conservata la sua lingua e la sua musica che ha potuto riappropriarsi di quello ‘spirito celtico’ che la distingue; per l’aver lasciata inalterata la grande varietà di sfumature fonetiche, toni e colori della musicalità, intrinseche del gaelico, ritenuta dai filologi (linguisti, lessicologi, glottologi) una delle lingue indoeuropee più antiche e complesse, talvolta avvicinata al sanscrito. Come si è constatato dalla lettura dei canti proposti, quella gaelica è una lingua estremamente complessa, ma d’altra parte proprio all’enorme quantità delle sue declinazioni e alla subordinazione della parola alla frase, essa deve una potenzialità poetica infinitamente superiore a quella di una lingua indeclinabile e invariabile come può essere l’inglese.

“In realtà a nessun irlandese verrebbe in mente di considerare il gaelico una lingua morta, da studio filologico, come per noi possono essere il greco antico o il latino. La cadenza stagionale ed impenetrabile, della vita contadina e la pratica costante della trasmissione orale della cultura hanno mantenuto vivo l’idioma gaelico sottraendolo all’inevitabile usura del tempo, seppure arricchendolo di sempre nuovi elementi; è per questo che oggi non è in fondo difficile rimuovere la patina del ‘disuso’ e restituire il gaelico ad una pratica pubblica e quotidiana che con lingue da museo, risulterebbe impossibile” (in ‘Musica Celtica’ op.cit.). I musicisti stessi dicono di trovare difficoltà a dare una definizione esatta di ciò che cantano in gaelico anche se esistono elementi di base molto importanti che riguardano una certa ‘melodia’ che essi seguono ad orecchio, quel certo ‘ritmo’ che suggerisce lo strumento, così come l’uso ripetitivo della frase, la struttura di un pezzo, messo in relazione al giro armonico e con lo ‘stile’ che pur varia di regione in regione e che li aiuta in questo senso.

I brani più recenti che si rifanno alla tradizione vengono accettati in quanto, come tali, devono risultare conformi alle caratteristiche sopra descritte che di diritto entrano a far parte del rinnovarsi della tradizione orale, permettendo in seguito di poter subire continui mutamenti, come del resto è capitato a quelli più antichi. I casi sono infiniti che quasi è impossibile fare degli esempi. Tant’è che molti ‘brani’ strumentali o cantati ripresi dalla tradizione sono oggi di dominio pubblico e ogni gruppo li interpreta a suo modo, con le variazioni che più gli aggradano, secondo le proprie capacità e volontà di interpreti, siano essi d’appartenenza al rock che al jazz, ed anche alle nuove tendenze strumentali analogiche o elettroniche. In ogni caso non va dimenticato che nel folklore vivo che si crea ogni sera nei pub, gli irlandesi suppliscono a questa apparente uniformità dei singoli pezzi con l’inventare sempre nuovi modi di accostarli l’uno all’altro, con salti armonici imprevedibili (talvolta virtuosistici), che finiscono per diventare una delle immagini più stupefacenti di una certa ‘creatività popolare’ che solo il ‘gruppo’ può realizzare, quando è in sintonia ovviamente, e lo è in ogni caso, quasi sempre.

Si è già parlato di strumentisti importanti nella trazione viva come l’‘arpa celtica’ (cruit), della ‘uilleann pipe’ (cornamusa), del violino, lo strumento ad arco per eccellenza usato d’accompagnamento alle danze che rappresentano di per sé un momento diversivo della tradizione celtica dal canto e dal fare musica insieme. L’occasione permette qui di introdurre solo alcuni dei gruppi e singoli interpreti che negli anni di maggior enfasi creativa hanno dato lustro alla ‘rinascenza’ della musica celtica con la riscoperta di antiche arie come romanze e ballate; nonché di canzoni ‘Carols’ e danze ‘Morris dance’ entrate a far parte del patrimonio musicale nazionale, che va oltre l’eco enfatica del revival. Inizio con l’introdurre una band storica di eccezionale bravura riconosciuta a livello mondiale, The Chieftains: un gruppo folk irlandese che deve il suo nome alla traduzione gaelica di Taoiseach, che significa Capo Clan, e in verità come band lo è stata a tutti gli effetti.

The Chieftains,
Paddy Moloney ‘uilleann piper’ che ha già suonato in diversi gruppi ed è alla ricerca di un nuovo approccio alla musica tradizionale irlandese che lo porti a suonare "una musica che non sia mai stata ascoltata", forma il gruppo The Chieftains nel 1963 insieme ad alcuni amici con cui già suonava nei Ceoltoiri Cualann di Seàn Ó Riada: ne fanno parte il violinista Martin Fay, il suonatore di tin whistles Seàn Potts, il flautista Mìcheàl Tubridy, e al bodhran David Fallon. Sempre in quell’anno pubblicano il loro primo disco omonimo; la copertina, come nei tre album successivi è disegnata da Edward Delaney. Paddy Moloney il leader del gruppo, è il principale compositore e arrangiatore dei brani in cui compaiono composizioni di grande levatura strumentale come ‘Turlough O'Carolan’, ‘Tristan and Isolde’, ‘Millenium Celtic Suite’, ‘He moved through the Fair’ ed altri. Negli anni successivi alcuni dei suoi componenti originari lasciarono il gruppo, sostituiti da nuovi ferventi esecutori che entrarono nella formazione, come il violinista Seàan Keane, l’arpista Derek Bell, il virtuoso flautista Matt Molloy, insieme al noto flautista classico James Galway che li ha affiancati in alcuni concerti e in occasione di registrazioni discografiche.
Nel 1970 il gruppo apre un concerto dei Fairport Convention al National Stadium di Dublino e, per la prima volta compaiono parti cantate, con la voce dell’allora diciassettenne Dolores Keane. Nel 1974 esce Chieftains 4, che presenta un tributo a Seàn Ó Riada (personaggio storico della musica irlandese) con il brano ‘Mneá na heÉreann’ una loro pietra miliare. Nel 1975 pubblicano Chieftains 5, disco che comporta alcune novità nell'uso di alcuni strumenti come il tiompan e l'approccio a musiche bretoni. È infatti l'anno della svolta, The Chieftains diventano un gruppo professionista, e il loro successo cresce grazie anche al contributo della colonna sonora del film ‘Barry Lyndon’ di Stanley Kubrick che vincerà un Oscar. Nel 1979 l'evento più importante dell'anno è la visita di papa Giovanni Paolo II in Irlanda, The Chieftains sono chiamati a suonare davanti a più di un milione di persone: suonano ‘Carolan's Welcome’ prima dell'arrivo del Papa e altri brani durante la messa. Nel 1983 aprono il concerto dei Rolling Stone allo Slane Castle di Dublino, suonano inoltre al Capitol Building a Washington e sulla Grande Muraglia cinese. Dello stesso anno è la colonna sonora del film canadese ‘The Grey Fox’ che viene premiata con un Genie. Nel 1986 sempre per il regista Philip Borsos incidono la colonna sonora del film ‘Ballad of the Irish Horse’, un documentario della National Geographic.
Nel 1987 pubblicano ‘Celtic Wedding’, un concept album che vuole ricreare le atmosfere e le musiche di un matrimonio bretone del XIV secolo: è il primo album che va alla ricerca delle radici della musica celtica nel mondo. Dello stesso anno è ‘In Ireland’, insieme al noto flautista classico James Galway. Nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino, The Chieftains partecipano al concerto di The Wall di Roger Waters, insieme ad altri ospiti come Sinead O'Connor, Van Morrison, Bryan Adams, Marianne Faithfull. Registrano inoltre la colonna sonora per il remake de ‘L'isola del tesoro’ con Charlton Heston e Oliver Reed. Nel 1991 escono ‘Over the Sea to the Skye’ tratto da alcuni concerti registrati a Brisbane con il flautista James Galway, ‘The Bells of Dublin’ e la raccolta di colonne sonore ‘Reel Music: the Film Scores’. Nel 1992 pubblicano ‘Another Country’ che esplora le connessioni tra la musica tradizionale irlandese e quella americana: folk, country e bluegras; e ‘An Irish Evening’, un live all'Opera House di Belfast con Roger Daltrey e Nanci Griffith, che vicerà un Grammy come miglior album folk.
Il 1993 è l’anno di ‘Celtic Harp’ con la Belfast Harp Orchestra, vincitore di un Grammy. Nel 1994 il gruppo partecipa al concerto per il venticinquesimo anniversario degli Who. Nel 1995 collaborano alla colonna sonora del film ‘Braveheart - Cuore impavido’ di Mel Gibson e pubblicano ‘The Long Black Veil’, uno dei loro maggiori successi, con guest stars come i Rolling Stones, Van Morrison, Marianne Faithfull, Mark Knopfler, Sinead O'Connor, Tom Jones, Sting e Ry Cooder. Nel 1996 esce ‘Santiago’, omaggio alla musica galiziana, album che vincerà un Grammy l'anno successivo. Nel 1999 pubblicano ‘Tears of Stone’ che immortala le migliori collaborazioni tra The Chieftans e voci femminili della portata di Joni Mitchell, Loreena McKennitt, Sinéad O'Connor. Nel 2000 esce ‘Water from the Well’, un ritorno ai brani tradizionali irlandesi che un critico ha definito: "un viaggio in lungo e in largo per l'isola d'Irlanda". Fino al 2002 i membri sono: Paddy Moloney (uilleann pipes, tin whistle, fisarmonica, bodhrán); Matt Molloy (flauto, tin whistle); Kevin Conneff (bodhrán, voce); Seán Keane (fiddle, tin whistle); Martin Fay (fiddle, bones & spoons); Derek Bell (arpa celtica, tastiere, oboe).

La ragione di questa singolare e pur breve biografia permette qui di individuare e raccogliere molti fra singoli interpreti e gruppi che con la loro personalità artistica, la loro esperienza e creatività hanno contribuito alla ‘rinascita’ musicale celtica e che, come si è detto, mescola esperienze inglesi, scozzesi e gallesi, nonché irlandesi di cui i Chieftains sono stati fautori indiscutibili e insuperati. Ma già altri si affacciano tra le righe appena lette ed hanno nomi altisonanti, alcuni dei quali non hanno neppure bisogno di una presentazione che sarebbe comunque riduttiva delle loro lunghe carriere fatte di ricerca, intenti, ripensamenti, successi e umane cadute, la cui storia comunque rimane straordinaria, è scritta ormai negli annali della musica o recuperabile nelle sue linee essenziali sul web. L’importanza di questa ricerca va però letta come indicativa per far conoscere i nomi da digitare sui motori di ricerca, i brani da ascoltare e/o visionare su Youtube, accrescere e intrattenere un ‘dialogo aperto’ con la musica, con quelli che sono stati i protagonisti di un’epoca d’oro della riscoperta, del revival, di quelle che in fondo sono le radici di tanta nostra conoscenza.

Alan Chochevelou Stivell,
figura mitica, a lui si deve tutto o quasi, di quanto avviene dell’apoteosi della musica celtica negli anni successivi. Come un antico ‘bardo’ Stivell è stato il portatore mondiale della tradizione della sua terra, la Bretagna, e del folklore celtico più in generale. Suona molti strumenti in modo virtuoso e spesso strabiliante, tra i quali arpa celtica, bag-pipe, flauto irlandese, bombarda. Facendo inoltre un uso del canto nella forma popolare medievale. Un’ampia apertura strumentale che permette a Stivell di creare accostamenti di forme arcaiche a canti medievali e ad altre decisamente moderne. Un modo di avvicinare la musica di ieri alla tecnologia di oggi in modo da ottenere un progressivo rapporto sonoro che rende la sua musica qualcosa di unica e irripetibile.
Durante l’intervista a me rilasciata in occasione del ‘Festival della musica celtica’ tenutosi a Roma nel 1980 a Villa Torlonia, si è così espresso: «Dopo aver contribuito ad accrescere l’interesse per la musica celtica, è mia volontà, senza andare troppo oltre quel tipo di musica, dirigere l’attenzione e di spingere un certo tipo di ricerca sulla musica bretone. Ma non soltanto sulla musica, quanto alla situazione storica passata e presente della mia terra d’origine.» E così è stato. Subito dopo, coerente con quanto detto, Stivell si è fatto promotore del movimento di solidarietà che vide irlandesi e bretoni insieme schierati a difesa della loro cultura autoctona, nel ricercare quelle che erano le radici etniche e musicologiche della sua musica, pur nel rispetto della tradizione popolare. È nella musica tradizionale che il ricercatore Stivell trova infatti negli anni successivi il suo pieno riscontro artistico.
Tuttavia la sua ‘Arte’ soprattutto, rimane legata al suono dello strumento che lo ha fatto conoscere fuori dei confini nazionali, l’arpa celtica cui egli ha dedicato la sua professionalità incontrastata con lo spirito del ricercatore di suoni e assonanze che quasi ‘celestiali’, tanto è riuscito a emettere dal suo strumento. Suoni che ancora oggi riempiono l’atmosfera di echi misteriosi e di suggestiva bellezza. Dopo alcuni album fortemente impregnati di ‘spirito celtico’ bretone e gallese: “Chemins de Terre” (1973); “E Langonnet” (1974), “Trema’n inis” (1976); “Journee a la Maison” (1978) e è con “Renaissance of the celtic arp” (1972) riproposto negli anni successivi e dedicato interamente a questo strumento, che include brani della tradizione irlandese e scozzese, che il successo di Stivell esplode in tutto il mondo in modo strabiliante: ‘YS’, ‘Marv Pontkalleg’, ‘Gaeltacht’ dedicato a Sean O’Riada, ‘Eliz Iza’ e alcuni estratti dal manoscritto per arpa ‘Penllyn’, che compongono l’album sono quanto di più rappresentativo esiste nella sua produzione. Il disco ottenne il Grand Prix International de l’Academie Charles Cros.
Successivamente sono apparsi “Synphonie Celtique” (1979), “The Mist of Avalon” (1991); “Brian Boru” (1995); “Terre de vivants” (1981); “Légende” (1983); “Explore” (2006); “Emerald” (2009). Un numero infinito di esecutori lo hanno accompagnato nelle sue avventurose sfide che Stivell ha lanciato alla musica con sue composizioni, arrangiamenti e svolte e scoperte musicali in giro per il mondo. Tanto da riempire le pagine di un’intera enciclopedia che arriva fino ai giorni nostri con rinnovato interesse del pubblico europeo e internazionale. L'anno 2002 segna il cinquantesimo anniversario di carriera di Alan Stivell. Per l'occasione, esce il nuovo album “Au-delà des mots” ("Oltre le parole"), un disco interamente strumentale dove il musicista suona sei tipi differenti di arpa. Il 15 marzo 2003, Alan Stivell chiude da par suo la seconda “Nuit Celtique” allo Stade de France di Parigi-St.Denis: lo ascoltano 68.000 persone. Suona due pezzi classici come ‘Tri Martolod’ ("Tre marinai") e il finale della ‘Symphonie Celtique’.

Tra gli esecutori che con lui hanno collaborato per molti anni, è certamente da celebrare, si tratta di Dan Ar Braz, all'anagrafe Daniel Le Bras, un cantautore e chitarrista francese, di origine e cultura bretone. La sua carriera ha inizio verso la fine degli anni sessanta collaborando prima con Alan Stivell e poi intraprendendo la carriera solista. Agli inizi degli anni novanta fonda l'Héritage des Celtes con il quale parteciperà all'Eurovision Song Contest 1996 rappresentando la Francia con una canzone in bretone, "Diwanit bugale". Nel panorama della musica celtica, e bretone in particolare, la sua esperienza è una di quelle, assai innovative, che maggiormente si caratterizzano per influenze rock accostate ad una forte base tradizionale, come in questa specifica ballata:

“Tour An Arvor” (La Tour D’Armor) by Alan Stivell

Piw ac'hanoc'h-c'hwi a welas - mordud,
E beg an tour, e ribl an traezh
E beg an tour e kastell Arvor
Daoulinet eo 'n itron Azenor
Eskob kêr-Is eured a lidas
Ha pemzeg teiz krenn a badas
Pemzeg teiz bannuwezh ha koroll
An delennourien en o roll
Ne oa ket eizh mis echu - me'gred
D'he lez-vab a so bet lavaret :
"Daw 'vez ganeoc'h c'hwi paotr a Vreizh
Diwall al loar demeus ar bleiz ?"
Ma e-leal am c'helennet
Bremaïk e vo hi bac 'het
E-barzh an tour krenn a vo lakaet
Hag a-benn tri dewezh e vo devet

(versione francese)

Qui d'entre vous a vu - gens de mer,
En haut de la tour, au bord de la plage
En haut de la tour au château d'Armor
Madame Azenor est agenouillée ?
L'évêque d'Ys célébra les noces
Et elles durèrent quinze jours pleins
Quinze jours de festtin et de danse,
Les harpeurs à la leur poste
Huit mois ne s'étaient pas écoulés - je crois
A son beau-fils, elle dit :
"Aimeriez-vous fils de Bretagne
Défendre la lune du loup ?" (être mis à la porte)
Si votre conseil est loyal
On va l'emprisonner sur l'heure
Dans la tour ronde on la mettra
Et dans trois jours elle sera brûlée.

Van Morrison,
George Ivan Morrison, cantante e paroliere nordirlandese, nonché musicista straordinario che suona diversi strumenti tra i quali chitarra, armonica a bocca, tastiere, sassofono e occasionalmente anche la batteria, la cui storia sarebbe qui da ripercorrere allo stesso modo di quanti lo hanno preceduto nello stretto legame con la musica tradizionale del suo paese d'origine (Sen O’Riada, un compositore e forse la figura più influente nel revival della musica tradizionale irlandese durante gli anni sessanta, attraverso la sua partecipazione in Ceoltóirí Chualann, composizioni, scritture e trasmissioni su temi celtici; padre ispiratore di tutti gli artisti irlandesi che a lui si rifanno). In essai, dopo gli esordi rock blues nel 1964 fonda i Them, del quale diviene subito leader. La band raccoglie numerosi successi, il maggiore dei quali è ‘Gloria’, che sarebbe divenuto uno degli standard del rock e che verrà incisa da numerosi altri artisti, avviandosi così a una ricca carriera solista in costante equilibrio tra la passione giovanile per il (celtic rock), e per la musica nera (blues rock, folk rock, soul bianco, fusion), che imprime alla sua musica una forte vena sperimentale che spesso lo porta a sconfinare in territori del jazz. A rendere unico il suo stile contribuiscono senz'altro la sua incredibile voce e i testi estremamente ricercati e poetici. L'album generato da quelle sessioni è Blowin' Your Mind!. Morrison ammise successivamente che non era soddisfatto del risultato, dicendo in un'intervista del 1969 a Rolling Stone che «It came out wrong and they released it without my consent» ("È venuto male e lo hanno pubblicato senza il mio consenso"). Registrazioni di quel periodo furono riedite occasionalmente dalla Bang e anche sotto forma di bootleg, sotto vari nomi. Le registrazioni complete furono messe insieme nel 1991 come Bang masters. Includono una versione alternativa di Brown-eyed Girl, così come una prima versione di Beside You e di Madame George, canzoni che compaiono con lievi variazioni di accordi, di arrangiamento e di parole nel secondo album di Morrison. Negli anni settanta Morrison si trasferisce in California dove pubblica ‘Moondance’, del quale cura anche la produzione. L'album raggiunge la 29ª posizione della classifica curata da Billboard. Lo stile di questo album è in netto contrasto con quello di Astral Weeks: se questo era un album intriso di sofferenza ed infinita dolcezza, ‘Moondance’ è invece ottimistico ed allegro, ricco di riferimenti alla black music e più vicino allo spirito degli esordi giovanili. La title track, sebbene mai pubblicata negli Stati Uniti come singolo, diviene un grande successo radiofonico. Anche Into the mystic (molto evocativa) e Caravan divengono molto popolari nel corso degli anni. La prima facciata verrà poi definita da Rolling Stone come il miglior lato A nella storia dei 33 giri.
Dopo un breve distacco dalla musica, inizia a esibirsi nei club e riguadagna la sua abilità istrionica, sebbene con un pubblico più ridotto. Forma poi un gruppo, The Caledonia Soul Orchestra, e con esso si avventura in un tour americano di tre mesi, riportato dall'album doppio It's Too Late to Stop Now, ampiamente riconosciuto dalla critica come uno dei migliori dischi dal vivo della storia del rock. Nel 1973, Morrison scioglie la Caledonia Soul Orchestra e divorzia dalla modella Janet Planet, che era sua moglie da sette anni e con la quale ha avuto una figlia. Realizza poi l'album introspettivo e triste Veedon Fleece (1974). Per quanto quest'album riceva poca attenzione al tempo della sua pubblicazione, la sua importanza è cresciuta attraverso gli anni ed è ora considerato uno dei migliori lavori di Morrison. La canzone You Don't Pull No Punches, but You Don't Push the River evidenzia il lato ipnotico e criptico di Morrison, con i suoi riferimenti al poeta visionario William Blake e al Sacro Graal.
Nel 1976, Morrison suona al concerto d'addio della Band, nel Giorno del Ringraziamento. È la prima esibizione dal vivo dopo un periodo di silenzio e Morrison considera più e più volte l'eventualità di saltare l'esibizione fino all'ultimo secondo, ma alla fine l'esibizione ha un successo travolgente. Suona due canzoni, una delle quali è Caravan (da Moondance). Il concerto viene filmato da Martin Scorsese che ne ricava un celebre film (L'ultimo valzer, del 1978). Nel 1977, Morrison scrive A Period of Transition, in collaborazione con Dr. John (anche lui presente in The Last Waltz). Dell'anno seguente è Wavelenght, che rappresenta una nuova rinascita commerciale. La canzone Kingdom Hall tratta dell'esperienza di Morrison con i testimoni di Geova e indica le tendenze religiose che diverranno evidenti nell'album successivo, Into the Music, del 1979. Dave Marsh descrive quest'album (in The Rolling Stone Album Guide - 2nd edition) come «un ciclo erotico/religioso di canzoni che culmina nella migliore musica che Morrison abbia creato fin dai tempi di Astral weeks».
Nel 1984 Van Morrison ritorna alla magica ispirazione astrale con il disco più convincente dai tempi di Into The Music , No Guru, No Method, No Teacher in cui spiccano musicisti presenti in “Moondance” come il pianista Jef Labes. Pezzo portante dell' album la straordinaria ed evocativa In The Garden dove il testo diventa un manifesto filosofico e spirituale dell' autore ma già da Got To Go Back , il pezzo di apertura, si capisce lo spessore di un disco che mostra Morrison nella sua piena maturità espressiva ed artistica. Poetic Champions Compose del 1987, molto apprezzato negli Stati Uniti, si sposta verso composizioni più accessibili e romantiche. Un unicum della sua produzione è rappresentato dall'album realizzato in collaborazione con i Chieftains. “Irish Heartbeat” racchiude brani della tradizione irlandese interpretati in brevi e spontanee session che catturano alla perfezione il mélange precario tra le ruvide e suggestive tessiture acustiche dei Chieftains e il cantato soulful di Morrison alle prese con alcune delle sue migliori interpretazioni di sempre (‘Raglan Road’, ‘She Moved Through the Fair’, ‘My Lagan Love’). L'album avrà grandissima influenza sui giovani musicisti interessati alla musica tradizionale o roots.
Con il nuovo contratto alla Polydor, Morrison conosce la definitiva rinascita commerciale a partire da “Avalon Sunset”, contenente almeno due classici come il duetto con Cliff Richards ‘Wherever God Shines His Light’ e la celeberrima ballata Have I Told You Lately. Viene in tal modo ufficialmente sancito il suo status di evergreen. Nel 1990, Morrison partecipa, insieme a molti altri artisti, allo spettacolo The Wall, organizzato da Roger Waters a Berlino, dove canta ‘Comfortably Numb’ con Roger Waters, Levon Helm, Garth Hudson e Rick Danko. Il 10 febbraio 2009 esce “Astral Weeks Live at Hollywood Bowl”, il risultato è una straordinaria performance e una nostalgica rivisitazione del capolavoro assoluto di Van Morrison. Dopo tre anni di silenzio, nel 2012 esce “Born To Sing: No Plan B”, un album per la prestigiosa label Blue Note, registrato dal vivo in studio. L' album riscuote grandi consensi, soprattutto per le qualità compositive e per gli arrangiamenti.
L'influenza di Morrison sulla totalità dei cantautori rock è davvero notevole e può essere paragonata, per vastità, a quella di Bob Dylan. Inoltre, può essere riconosciuta facilmente nella musica di molti artisti quali gli U2 (soprattutto The Unforgettable Fire), Bruce Springsteen (Spirit in the Night, Backstreets), Bob Seger, Rod Stewart, Patti Smith (responsabile di una versione poetica-proto-punk di ‘Gloria’), Graham Parker, Thin Lizzy, Dexys Midnight Runners e molti altri.[15] Tra questi Bob Seger, che in un'intervista a Creem ha affermato: «I know Springsteen was very much affected by Van Morrison, and so was I» ("è chiaro che Springsteen è stato molto influenzato da Van Morrison e la stessa cosa è accaduta a me").
Numerosi sono i Grammy Awards e i riconoscimenti:
Nel 1993 Inserito nella Rock and Roll Hall of Fame; 1996 Best Pop Collaboration with Vocals, ‘Have I told you lately’ (con i Chieftains); 1998 Best Pop Collaboration with Vocals, ‘Don't look back’ (con John Lee Hooker); 1999 Grammy Hall of Fame Award per “Astral weeks”; 1999 Grammy Hall of Fame Award per “Moondance”; nel 2003 risulta ancora una volta inserito nella Songwriters Hall of Fame. La rivista Rolling Stone lo inserisce al quarantaduesimo posto nella sua lista dei 100 più grandi artisti di sempre e al ventiquattresimo in quella dei migliori cantanti nel mondo. Inoltre, due suoi album ‘Astral Weeks’ e ‘Moondance’ compaiono costantemente nei top ten delle critics lists e nella lista dei 500 migliori album di sempre. Non ho altro da aggiungere perché Morrison è stato ed è tuttora un grande ‘mito’ al quale da allora guardano e si rifanno tutti gli artisti e le band che dopo di lui si susseguono al mondo.

Dubliners,
Vale qui citare questo storico gruppo che ha scaldato i cuori di milioni di frequentatori di pub con le loro ballate ‘caserecce’ strumentalmente valide e le voci che diremmo ‘abbirrazzate’ della migliore tradizione irlandese, formato da Ronnie Drew voce, chitarra; Luke Kelly voce, Banjo; Ciaran Bourke voce, chitarra, tin whistle, armonica; Barney McKenna Irish Tenor Banjo, mandolino, fisarmonica, voce; John Sheahan violino, mandolino, tin whistle; Bobby Lynch voce, chitarra; Jim McCann voce, chitarra; Sean Cannon voce, chitarra; Eamonn Campbell chitarra, mandolino; Paddy Reilly voce, chitarra; Patsy Watchorn voce, Banjo, bodhrán. Numerosi sono gli album pubblicati, tra i quali vale la pena citarne alcuni: “The Dubliners with Luke Kelly” (1964); “Finnegan Wakes” (1966); “At Home with The Dubliners” (1969); “30 Years A-Greying” (reassembling 1992); “40 Years” (half reassembling 2002); “A Time to Remember” (2009).

Clannad,
altro gruppo che ha fatto molto parlare di sé, originari della cittadina di Gweedore nel Donegal, il nome è la contrazione di an Clann as Dobhar, sono inizialmente i tre fratelli Brennan (due fratelli e una sorella) - Ciáran, Pól, Máire (Moya Brennan) - e i due fratelli Duggan - Noel e Padraig - loro zii. Una quarta sorella, Eithne Brennan, meglio nota come Enya, si unisce al gruppo nel 1979. Esordiscono con un repertorio folk col quale si fanno conoscere nella madrepatria; nei primi anni ottanta vengono notati dalla BBC che commissiona loro una colonna sonora per una serie di telefilm incentrata sul personaggio di Robin Hood. La loro canzone "Theme From Harry's Game" li fa conoscere oltre i confini irlandesi. Giungono alla popolarità internazionale grazie al brano ‘In a Lifetime’, interpretato insieme a Bono, voce degli U2, e pubblicato nel 1985 nel loro album “Macalla” ("eco", in irlandese). Da allora il loro repertorio si sposta verso il pop ed il country, non senza la realizzazione di altre colonne sonore per film, film d'animazione e documentari. Sempre di loro ricordiamo ‘I Will Find You’ presente nella colonna sonora del film “L'ultimo dei Mohicani” del 1992.

Sinéad O’Connor,
nata a Dublino da famiglia numerosa (suo fratello, Joseph O'Connor è uno scrittore di successo), è stata una tra le voci più affascinanti degli anni ottanta e novanta, artista dalla spiccata personalità, che deve la sua fama sia alla musica ma anche al suo essere anticonformista; è ricordata per il suo look fuori dal comune (spesso aveva i capelli rasati a zero) e le sue opinioni controverse. All'età di 14 anni si unisce al gruppo irlandese In Tua Nua col quale debutta come autrice nel brano ‘Take my hand’ che diventa un successo nel 1984 e in seguito collabora con il gruppo dei Ton Ton Macoute. Nel 1985 Sinéad si trasferisce a Londra per lavorare al suo primo album. “The Lion and the Cobra” scritto e prodotto dalla stessa Sinéad viene pubblicato nel 1987 ed è un immediato successo di pubblico e critica, nell'album appare anche una giovane Enya che nel brano ‘Never get old’ recita in gaelico alcuni passi della Bibbia. Sull'onda del successo del disco Sinéad intraprende un tour attraverso l'Europa e gli Stati Uniti. Il concerto tenuto al Dominion Theatre di Londra nel giugno 1988 viene ripreso dal regista John Maybury e l'anno seguente viene pubblicato col titolo “The Value of Ignorance”.
Il 1989 vede inoltre il debutto di Sinéad come attrice nel film “Hush-A-Bye-Baby”. In campo musicale il suo successo maggiore rimane legato al singolo ‘Nothing Compares 2U’, del 1990, e incluso nell'album “I Do Not Want What I Haven't Got”. Il brano è una struggente ballata romantica e raggiunse i vertici delle classifiche mondiali. Prince, nel 1985, l'aveva composta e affidata ai Family che la inclusero nel loro unico disco, rivelatosi un totale insuccesso. La O'Connor, dopo cinque anni, spinta dal suo manager, reinterpreta a suo modo il brano, altrimenti destinato a rimanere sconosciuto. Lo stesso album ottenne un ragguardevole successo, trainato anche dai singoli successivi ‘The Emperor's New Clothes’ e ‘Three Babies’. Sulla scia della popolarità, troverà posto nelle classifiche anche il terzo album, “Am I Not Your Girl?”, composto da una serie di omaggi a celebri standard jazz che abbracciano circa sessant'anni di storia della canzone, con un solo inedito, ‘Success has made a failure of our home’, di cui ha scritto il testo. Tra il 1990 e il 1991 ha una relazione con il cantante Anthony Kiedis, membro del gruppo Red Hot Chili Peppers, il quale le dedica la canzone ‘I Could Have Lied’ (contenuto nell'album “Blood Sugar Sex Magik”).

Enya,
Eithne Patricia Ní Bhraonáin, corrisponde all'inglese Enya O' Brennan, ovvero Figlia di Brennan, cantante e musicista irlandese che, lasciato il gruppo dei Clannad pubblica il suo primo album solista col nome di Enya. Ripercorrere qui la carriera musicale di Enya fatta di date, riconoscimenti e premi internazionali, è pressoché impossibile, dietro alla sua figura musicale, ruota in realtà un trio composto dalla cantante stessa, che compone le musiche, suona e canta, Nicky Ryan, produttore e arrangiatore, e Roma Ryan, che scrive i testi in diverse lingue. Nel corso della sua carriera, Enya ha venduto più di 75 milioni di album e risulta essere la cantante solista irlandese ad aver riscosso più successo nel mondo, riconosciuto come il fenomeno musicale più importante del suo paese dopo gli U2. Tra i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti spiccano quattro Grammy Awards, sei World Music Awards, due lauree honoris causa e una nomination al Premio Oscar. Il suo ‘stile’ molto particolare e alquanto originale, al punto che può essere definito ‘unico’, rivela una grande compositrice di temi musicali come non si era mai vista prima. Ciò anche a causa delle numerose sperimentazioni sulla voce cosiddetta Multivocals, che individua nel timbro lieve ma allo stesso tempo potente di Enya il mezzo più adatto per creare “i grandi muri sonori corali“ che l'hanno portata al successo in tutto il mondo.
L'altra grande innovazione da riconoscere ad Enya e al suo team tecnico sono senz'altro gli arrangiamenti: tutti gli strumenti da lei suonati, con una maestria tale che le permette di fondere in maniera unica la musica tradizionale irlandese con la musica classica e addirittura con la musica pop, rara nel suo genere. Alcune canzoni di Enya sono cantate interamente in irlandese o latino anche se l'inglese è spesso mescolato altre volte come in un’unica lingua sonora. Roma Ryan ha scritto i testi in gallese, irlandese, latino, spagnolo, e anche nelle lingue create da J.R.R. Tolkien per “Il Signore degli Anelli”, per il cui film Enya ha composto tre brani ispirati al libro: ‘Lothlórien’ (strumentale), ‘May It Be’ (cantata in inglese ed in Quenya) e ‘Aníron’ (in Sindarin), canzone che ha ottenuto una nomination all'Oscar nel 2002. Pur avendo partecipato a numerosi spettacoli dal vivo e in televisione, ad alcuni eventi e cerimonie (la più recente apparizione è stata ad un tributo alla famiglia Brennan a Letterkenny) e sebbene non abbia mai effettuato un concerto, Enya ha espresso il desiderio di effettuarlo un giorno, e considera l'eventualità come un'importante sfida nella propria carriera.

Battlefield Band,
è un gruppo di musica tradizionale scozzese fondato a Glasgow nel 1969, i cui membri sono: Alan Reid - tastiere/chitarra/voce (anche l'unico membro fondatore ancora presente); Alasdair White - violino, flauto, banjo, bouzouki, Highland e small pipes, bodhran; Mike Katz - Highland pipes, small pipes, vari flauti, basso; Sean O'Donnell – voce, chitarra, sostituì il fondatore irlandese Pat Kilbride alla voce e alla chitarra nel luglio del 2005. Molti dei membri, in particolare John McCusker, hanno intrapreso distinte carriere soliste. La band è famosa per le sue combinazioni di cornamuse con altri strumenti, e i suoi mix di musiche e motivi tradizionali con nuovo materiale. L' attuale marchio musicale della band fu sviluppato quando a Brian McNeill e Alan Reid si unì Jenny Clark (voce, chitarra, liuto, appalachian dulcimer e flauto) e Duncan McGillivray (cornamuse e flauto). Stand Easy, l' album che registrarono nel 1979, è ancora considerato uno dei migliori del gruppo. La successiva formazione includeva Dougie Pincock (cornamuse) e Jim e Sylvia Barnes, Alan Reid (voce e tastiera elettrica) e Brian McNeill (fiddle). Ogni formazione a partire dall'album “Stand Easy” ha avuto almeno un suonatore di cornamusa. Un aspetto inusuale per la formazione strumentale per un gruppo tradizionale include la presenza di tastiere elettriche e l' assenza di percussioni.
Ogni loro album mischia canzoni e motivi scozzesi con composizioni moderne (spesso originali). I motivi variano dalle bevute, all'amicizia e ai tempi difficili della storia, alla geografia e alla politica. L'album del 2006, “The Road of Tears”, affronta esplicitamente il tema dello spostamento. Molte canzoni affrontano l'immigrazione, sia volontaria che forzata. L' album “Dookin' “ del 2007, ha un'atmosfera più leggera, dopo il tono cupo del primo questo include un insieme di parti vocali , con le parti principali divise tra Alan Reid e Sean O'Donnell, e altre strumentali. Una discografia corposa dove non mancano momenti di eccezionale ‘forza’ compositiva e strumentale, dai toni accesi come del resto è tutta la musica scozzese: “Farewell to Nova Scotia” (album) (1976) (or Scottish Folk); “Battlefield Band” (1977); “Home is Where the Van Is” (1980); “The Story So Far” (1982); “Anthem for the Common Man” (1984); “Home Ground” - Live From Scotland (1989); “Farewell to Nova Scotia” (1996) (=Scottish Folk reissue on CD); “Live Celtic Folk Music” (1998); “Best of Battlefield 1976 – 2003”.

Fairport Convention,
altro gruppo folk rock inglese, fondato da Simon Nicol chitarrista, Richard Thompson chitarra solista, Ashley ‘Tyger’ Hutchings bassista e frontman, e Shaun Frater alla batteria. Iniziano come gruppo di cover di rock della West Coast ma presto sviluppano un loro stile che mescola il rock con la musica tradizionale folk inglese, contendendosi il titolo di più grande folk rock band inglese insieme con i Pentangle. Dopo numerosi cambi di formazione si sciolgono nel 1979 per riformarsi per un concerto nel 1985, da allora continuano a suonare e pubblicare dischi. In parte il continuo successo che ancora oggi hanno i Fairport Convention è dovuto all'annuale festival di Cropredy, nell'Oxfordshire, ora rinominato Fairport's Cropredy Convention e che riunisce ogni anno dal 1974 almeno 20.000 fan. Il gruppo suona per la prima volta dal vivo in una chiesa nel Nord di Londra nel 1967, da cui il nome del gruppo Fairport Convention (Convention in inglese vuol dire riunione, incontro) e che a partire da quel momento suonerà per 40 anni. Tuttavia questa prima formazione suona solo nel primo concerto, poi il giovane Martin Lamble, presente in quell'occasione come spettatore, prende il posto del batterista.
È solo il primo cambio di formazione di una lunga serie che caratterizzerà la storia dei Fairport Convention. Il grande momento della band sono indubbiamente gli anni Settanta, quando la band sostituisce Hutchings con Dave Pegg e decide di fare a meno della voce femminile. Il gruppo pubblica “Full House” e il live “Live at the L.A. Troubadour”, subito dopo anche Richard Thompson abbandona il progetto: Simon Nicol è l'ultimo membro fondatore della band quando nel 1971 escono i due LP “Babbacombe Lee” e “Angel Delight”, i primi due album dei Fairport Convention. Dopo numerosi cambiamenti sopravvenuti e incredibili ritorni, la band incide “Rosie” e, nell'anno successivo, “Nine” con Il violinista Ric Sanders. Nel 1974 anche Sandy Denny torna nei Fairport Convention, partecipando al primo disco live Fairport Convention Live e scrivendo quasi per intero il disco “Rising for the Moon”. Questa sarà la formazione più duratura, undici anni, dei Fairport Convention fino al 1998 Mattacks lascia il posto a Gerry Conway. Una discografia copiosa di contenuti e complessa in ragione dei molti cambiamenti e ritorni, tuttavia straordinaria, dalla quale ho scelto a caso alcuni titoli: “Fairport Convention” (1968); “Unhalfbricking” (1969); “Angel Delight” (1971); “Babbacombe Lee” (1971); “Rising for the Moon” (1975); “The Bonny Bunch of Roses” (1977); “Old New Borrowed Blue” (1996); “Who Knows Where the Time Goes” (1997); “Fairport Convention XXXV “ (2001); “Over the Next Hill” (2004).

Lyonesse,
è un gruppo di folklore anglo-celtico che, oltre a ripercorrere le origini del folk in Francia a partire dal canto e dalla ghironda, si spinse in seguito nella composizione di brani strumentali facendo leva sul folklore bretone e le leggende apprese in Cornovaglia. Il nome Lyonesse riprende l’ormai nota leggenda inglese narrata all’inizio: secondo cui tra le coste della Cornovaglia e le isole Scilly sarebbe esistita una terra emersa su cui si trovava il regno di Lyonesse, civilissimo e splendido. Al gruppo si devono infatti alcuni brani bellissimi, come ‘Waltz for Ker Is’; ‘Tristan de Lyonesse’, ‘Cantique’, ‘Tristan en Bretagne’ dedicati a quella prima esperienza di ricerca. Formatosi col nome di Lyonesse nel 1973 attorno alla cantante Mireille Benhaim, vocals, dulcimer, André Thomas (bombarde, bagpipe, bodhran; Trévor Crozier, vocals, harmonica, Gérard Lavigne, electric guitar, bass; Job Philippe, celtic harp, bombarde, bag pipe; Pietro Bianchi, keyboards, piano, fiddle, percussion, violin, vocals; Eoin O'Duignan, uillean pipes, tin whistle; Bernard Sever, keyboards, organ, piano; Lili Ben, vocals, violin, dulcimer, percussion; Armel Sorveyron, bombarde, bagpipe, tin whistle, bodhran.
Ad essi si aggiunse l’inglese Trevor Crozier che conosceva il repertorio britannico con cui il gruppo amava confrontarsi. Il loro primo concerto pubblico fu proprio del Novembre del 1973, sul palco salirono anche il fratello di Mireille Ben e Gabriel Yacoub con i Malicorne, anche questi ultimi alla loro prima uscita. Le difficoltà erano notevoli perché sia Lyonesse che Malicorne suonavano con strumenti elettrici e in quel periodo, un periodo di recupero della musica tradizionale, il fatto non era sempre ben visto. Ma Gérard Lavigne che pure suonava con loro era al di sopra di ogni contestazione, suonava con identica maestria basso e chitarra elettrica e proseguì nel suo intento a viaggiare in Inghilterra suonando in alcuni festival, Oxford e Cambridge per esempio, e stringendo amicizia con molti artisti britannici. Il repertorio inizialmente era misto: c’era chi faceva ricerche in Bretagna, come Job, e chi nel Berry, come Mireille. Insieme a Trevor Crozier e Pietro Bianchi svizzero.
L’incontro tra questi musicisti si deve dunque alle affinità musicali e alle circostanze che hanno dato loro la possibilità di suonare assieme. Un anno dopo: era l’anno della registrazione a Milano del primo disco del gruppo “Lyonesse” (1974), davvero molto innovativo e ancora oggi si può ascoltare la sua freschezza, quasi che il tempo non sia passato. Nel 1975 pubblicano un secondo album “Cantique” molto diverso rispetto dal precedente: il disco nasceva dalla collaborazione con diversi musicisti, ognuno dei quali proponeva brani del proprio repertorio che il gruppo avrebbe rielaborato. Tra queste collaborazioni spicca quella con Eoin O’ Duignan del gruppo Wild Geese, valentissimo suonatore di Uillean pipes. Nel 1976 il terzo album “Tristan de Lyonesse”. Tra il 1978 e il 1981, per quattro anni, il gruppo divenne direttore artistico del Festival Internazionale di Musica Popolare di Bra (Piemonte). A ogni gruppo partecipante sarebbe stato chiesto di fare un canto di “questua” delle uova, da qui il nome Cant’è j’euv”.
L’idea iniziale era quella di un’iniziativa per la gente del luogo non molto pubblicizzata all’esterno. Fu dunque una sorpresa, il primo anno, vedere mille persone a Bra, la notte della questua, senza neppure molta pubblicità. Alcuni addirittura provenivano da Palermo, altri perfino dall’Iran. Gli inglesi per l’occasione celebrarono, coi fiori nei capelli, nel teatro di strada, la festa di St-Gorge e altri rituali di fertilità antichissimi tratti dalla tradizione popolare anglo sassone, come l'"Obby Oss" (hobby horse) della Cornovaglia. È del 1979 un loro “Live in Milan” dove meglio si può ascoltare quale fosse l’impatto che essi intessevano col pubblico. Gli anni 80 segnarono il passo per il folk revival che sembrava avere perso quella carica di novità che aveva nel decennio precedente. I Lyonesse tuttavia continuarono a suonare in pubblico ma senza un progetto preciso, suonavano così, dove capitava. Mireille maturò una convinzione: pensò che fosse opportuno fermarsi almeno tre giorni nel luogo del concerto, non per riposarsi ma per passare più tempo con la gente, a contatto con le culture.
In occasione di queste esperienze erano stati anche ritrovati molti strumenti (organetti e violini soprattutto) e nacque così l’idea di creare una scuola di musica affinché i giovani ritornassero a suonare, recuperassero le loro radici musicali e riscoprissero il canto e la danza. Nel 1989 venne fondata la Scuola di Musica Popolare con l’ACP (Ass. Cultura Popolare) della Valle Verzasca dove Mireille insegnava la danza popolare francese. La scuola non ebbe vita lunga: dopo circa tre anni a una difficoltà di gestione della scuola si aggiunse la crisi dell’unione tra Pietro e Mireille. Tuttavia la carriera musicale di Pietro Bianchi e Mireille Ben non termina qui. Mireille ha partecipato a diversi progetti come Bandalpina, Magam, MusicAlpina e il Mireille Ben Ensemble. Con questo gruppo ha registrato il primo CD “Lazùr” nel 1998 e ne ha in preparazione un secondo che vedrà la luce nella primavera del 2006 col titolo “Miniatures” distribuito da Ethnosuoni. Questo nuovo lavoro è basato sulle ricerche di Mireille ma anche su alcune composizioni originali, tra le quali un valzer composto proprio da Gabriele Coltri. Del gruppo fanno oggi parte anche la violinista ticinese Claudia Klinzing, Oliviero Biella alla chitarra, Alfredo Savoldelli, un contrabbassista proveniente dal jazz, e Gianbattista Piantoni alla batteria.
Pietro Bianchi invece continua le sue trasmissioni musicali per la radio svizzera italiana (con il quale io stesso ho lavorato presso la RSI nella serie di trasmissioni radiofoniche dal titolo “Itinerari folkloristici”) e svolge ricerche, anche insieme a Roberto Maggini, sulle tradizioni popolari del Ticino: è da queste ricerche che è nato il CD “Cantà pai sass”. Sebbene oggi i dischi dei Lyonesse sono diventati una rarità per collezionisti, ciò rischia di confinare nella memoria di pochi appassionati il notevole contributo che questo gruppo ha dato al folk revival. Certamente, corrono tempi in cui le “reunions” vanno di gran moda e il nuovo live dei Planxty nel 2004 ha scatenato entusiasmi. Anche gli appassionati dei Malicorne battono sul chiodo, attraverso le pagine internet di Gabriel Yacoub, per poter rivedere il gruppo riunito. Ma va detto anche che è sempre poco edificante, se è solo per ricercare un passato che non c’è più, rivedere una band calcare il palcoscenico. A meno che, naturalmente, non vi sia qualcosa di nuovo da raccontare.

Steeleye Span,
è un gruppo folk-rock inglese formatosi nel 1970, il cui nome è tratto da una ballata del Lincolnshire dal titolo ‘Harkstow Grange’ propostp da Tim Hart alla formazione della band, quando il bassista Asheley Hutching abbandona i Fairport Convention e fonda il proprio gruppo di folk revival con alla testa lo stesso Tim Hart e la moglie vocalist Maddy Prior, allora un duo affermato che suonava nel folk club di Londra. “Hark! The Village Wait” (1970). Dopo un periodo di cambiamenti e di sostituzioni all’interno del gruppo e ben altri due album pubblicati “Please to See the King” (1971) e “Ten Man Mop o Mr. Reservoir Butler Rides Again” (1972), avviene la svolta dal folk puro al rock. Nel 1972 pubblicano il quarto Album “Below the Salt”, in cui brani tradizionali e medievali che vengono riletti con arrangiamenti rock. Fa parte di questo album la bellissima ‘Gaudete’ che diverrà un successo internazionale e che porterà gli Steeleye Span a suonare al Top of the Pops per la prima volta. Commoner's Crown è del 1975, e contiene, tra gli altri, la ballata epica Long Lankin, il lungo strumentale Bach Goes to Limerick e New York Girls in cui Peter Sellers suona l'ukulele.
Nell'ottobre del 1975 gli Steeleye Span pubblicano "All Around My Hat", il loro album di maggior successo commerciale, il quale raggiunge il n. 7 delle charts inglesi, mentre l'omonimo singolo raggiunge il quinto posto. Nonostante il successo, o forse proprio per questo, il gruppo viene aspramente criticato dai puristi del folk per il sound, che ormai comprende robuste iniezioni di rock, a volte addirittura hard. Nel 1995 tutti i membri passati e presenti del gruppo si ritrovano a suonare insieme per il concerto del 25º anniversario della band, unico assente Terry Woods. Maddy Prior inizia ad avere problemi alla voce e Gay Woods torna nella band, che torna nuovamente ad avere due voci femminili. Dopo sette anni, nel 1996 viene inciso un nuovo album, Time. Nel 1997 Maddy Prior abbandona definitivamente il gruppo, ma gli Steeleye Span continuano con una vena produttiva che non avevano da anni pubblicando “Horkstow Grange” (1998) e “Bedlam Born” (2000). Ma senza Maddy, la popolarità degli Steeleye Span tende a svanire, Horkstow Grange è troppo folk, mentre Bedlam Born è troppo rock. Ci sono anche dei disaccordi nella band tra Woods e Johnson riguardo ai brani da eseguire dal vivo, la prima favorisce i brani più vecchi, il secondo quelli del nuovo repertorio.

Malicorne,
gruppo musicale francese di musica folk, attivo negli anni settanta ed ottanta si caratterizza per l'impiego contemporaneo di strumenti folk (ghironda, nyckelharpa, dulcimer) ed elettroacustici (chitarra elettrica) o comunque moderni (batteria). Fondato da Gabriel Yacoub e Marie Sauvet conosciuta anche come Marie Yacoub o Marie de Malicorne: i due inizialmente pubblicarono “Pierre de Grenoble” (1973). Ad essi si aggiunsero poi Hughes de Courson e Laurent Vercambre. Gabriel Yacoub faceva parte del gruppo di Alan Stivell ma, secondo le sue asserzioni, preferì cantare canzoni tradizionali del patrimonio francofono piuttosto che di quello bretone e gaelico, e quindi lasciò quel gruppo per fondare i Malicorne. L'influenza del gruppo nel mondo folk degli anni settanta in Francia, insieme a gruppi più tradizionali come La Bamboche e il gruppo di Alan Stivell, fu importante. Gli arrangiamenti sono complessi e ricercati, nella ricerca di una sintesi tra sonorità antiche e moderne. Spiccano le voci di Gabriel e Marie Yacoub: i loro canti a cappella sono riuniti nel disco “Vox” (1996). Una discografia essenziale è quanto rivela i loro gusti artistici in fatto di musica tradizionale. Vanni ricordati soprattutto per alcuni album che hanno ottenuto una certa rilevanza di successo: “Malicorne” Uno (1974) e Due (1975); “Almanach” (1976); “Le Bestiaire” (1979) “Concert exceptionnel aux Francofolies de La Rochelle” (concerto del 15 luglio 2010 a La Rochelle; 1 CD e 1 DVD) del 2011. Inoltre ovviamente a “Vox” (1996) e a “Marie de Malicorne” (canzoni interpretate da Marie Sauvet-Yacoub) (2005) .

Caroline Lavelle,
cantautrice e violoncellista inglese cominciò a suonare in un gruppo di Musica neo-barocca, chiamato Humoresque dopo aver studiato al prestigioso Royal College of Music di Keningston (Londra), Successivamente incontrò Frankie Gavin, membro della band irlandese De Dannan, che la invitò a suonare col gruppo; Caroline rimase nella band fino ai primi anni novanta, al fianco di Mary Black e Dolores Keane. Nel 1992 ha contribuito al brano ‘Home Of The Wale’ dei Massive Attack e partecipò come violoncellista all'album ‘Us’ di Peter Gabriel. Il produttore William Orbit apprezzò il suo stile e la contattò per produrre il suo album di debutto, “Spirit”, la cui uscita è datata 1995. La sua versione della canzone ‘Moorlough Shore’ venne usata come sigla per l'acclamata fiction “EZ Streets” di Paul Haggis. Nello stesso anno partecipò come cantante e violoncellista nella canzone’ Come To Me’ di Vangelis, proveniente dal suo album “Voices” e cominciò il suo rapporto di collaborazione come violoncellista con l'artista canadese Loreena McKennitt. Nel 1997 contribuì come violoncellista all'album “The Bends” dei Radiohead.
Nel 2001 pubblicò il suo nuovo album “Brilliant Midnight”, del quale uscì un anno dopo anche una versione extra con 3 tracce inedite, tra le quali spicca ‘Home of the Wale’, il brano registrato 9 anni prima con i Massive Attack e utilizzato nella colonna sonora del film “The Eye” - Lo sguardo, di Ewan McGregor e Ashley Judd. Sempre nel 2001 la sua canzone Anxiety, contenuta nell'album “Brilliant Midnight”, fu usata come colonna sonora del film “Radio Killer” di John Dahl. Si nota sempre nel 2001 la collaborazione come violoncellista con il gruppo Alternative Rock inglese Muse, per l'album Origin of Symmetry. L'ultimo album uscito, “A Distant Bell”, è datato 2004.
Attualmente Caroline vive nel sud dell'Inghilterra e sta lavorando al suo quarto album. Contemporaneamente sta partecipando al Ancient Muse Tour di Loreena McKennitt, con la quale ha proseguito il rapporto di collaborazione cominciato nel 1995, partecipando agli album “A Winter Garden” e “Books Of Secrets” e a numerosi concerti. Ha finora contribuito a produzioni di album di numerosi artisti e ad altre collaborazioni importanti con Hector Zazou, come cantante oltre che violoncellista, e con la band irlandese The Chieftains. Breve e concisa la sua discografia vede solo quattro album “Spirit” (1995), “Brilliant Midnight” (2001), “Brilliant Midnight 2.0” (2002), “A Distant Bell” (2004)

“Moorlough Shore” by Caroline Lavelle

I have waited long for you to come back home
to hear you call my name again
in my heart's deep soul you've not changed at all
and the years have passed you by
your sweet lips that lingered on my skin
i can feel their heat again
and your eyes that thrilled with passion's fire
they watch my every whim
some say my love, sweet love was lost
while crossing the raging main
or perhaps he has gone with some other girl
I might never see his face again
but if my irish love is lost he's the one I do adore
and for seven long years i'll wait for him
on the banks of the moorlough shore
he said farewell to castles grand
farewell to the foggy hills
where the linen waves like bleaching silk
and the falling stream runs still
near there we spent our joyful days but alas they are all gone
for cruelty has banished him
far away from the Moorlough shore

Ho aspettato a lungo per voi di tornare a casa
per sentire si chiama di nuovo il mio nome
nel profondo l'anima di mio cuore che non sei cambiato per niente
e gli anni sono passati da voi
le tue labbra dolci che indugiavano sulla mia pelle
Sento di nuovo il loro calore
e gli occhi che entusiasti con il fuoco della passione
guardano ogni mio capriccio
alcuni dicono che il mio amore, dolce amore è stato perso
mentre attraversava la infuria principale
o forse è andato con un'altra ragazza
Potrei mai più rivisto il suo volto
ma se il mio amore irlandese si perde è lui io adoro
e per sette lunghi anni ti aspetto per lui
sulle sponde della riva Moorlough
ha detto addio ai castelli grande
addio alle colline nebbiose
dove le onde di lino come sbiancante seta
e il torrente che cade corre ancora
vicino ci abbiamo trascorso i nostri giorni felici ma ahimè sono andati tutti
per crudeltà lo ha bandito
lontano dalla riva di Moorlough.

Bagad Kadaudal De La Rennes,
è un insieme tradizionale di musica bretone di base a Vern-su-Seicher, che prende il nome dal vecchio ‘bagadoù’ campionato nazionale creato nel mezzo degli anni 1950, di cui è stata parecchie volte Campione della Bretagna in 1a categoria, in tutto 5 titoli dal 1967 al 1969. Etimologicamente Kadoudal significa ‘il guerriero che torna al combattimento’ e letteralmente ‘il guerriero cieco’. Il nome Kadoudal ha segnato la storia della Bretagna con Joseph e Giorgio Cadoudal. Formatosi nel 1975, il gruppo contava allora una decina di musicisti composto da bombarde, ‘binious’ piccole cornamuse, e ‘casse claires’ percussioni, per il sostegno ritmico. Il loro repertorio, di assidua ricerca sul territorio, era volto alla continuità del patrimonio artistico tradizionale bandistico per le parate ma che, in occasione delle festività, si spingeva anche alla musica folk e pop. Il bagad si evolve dal 1991 promuovendo la cultura bretone in Germania, Spagna, Irlanda,orno vaglia e ovviamente, le isole Ebridi, andando ad occupare di fatto, un ruolo di primo piano che pone l’ensemble all’avanguardia del movimento di rinascita della tradizione popolare di tutta l’area e che avrebbe in seguito contagiato la cultura europea fino alle più rissose avventure del rock: da Jethro Tull a Jon Lord, a Mike Oldfiend, oltre, quindi del semplice ‘revival’.
Al di là quindi del semplice ‘ritorno alle origini’ l’ensemble Bagad tenta di svelare i valori intrinseci di questa musica genuina, far conoscere i suoni originali, le assonanze sconosciute, al tempo stesso ravvivandola, tralasciando quanto di essa può avere la sola funzione di reperto e restituirla alla primaria ispirazione campestre e contadina con rinnovata creatività, con motivi ‘a-ballo’ e canti tradizionali. Per impossessarsi del ballo non come futile esibizione, bensì di intima comunicazione con la comunità, mezzo per perpetuare in modo ‘vivo’ insieme al patrimonio musicale, le antiche usanze, i costumi e le azioni del quotidiano. Fin dalla sua creazione, almeno fino al 2012 la Bagad assicura la formazione musicale dei suoi musicisti nella sua scuola affiliata alla confederazione dei Cerchi Celtici War 'l leur.
È pressoché impossibile spiegare a parole l’incredibile prestigio con cui i componenti della Bagad usano i loro strumenti, ogni aria è suonata nel modo preciso in cui qualsiasi strumentista vorrebbe sentirla suonare. Anche per questo la Bagad de Rennes rappresenta qualcosa di più che l’ensemble di semplici virtuosi per assurgere alla qualità di autentici detentori della cultura musicale bretone, capace tuttavia di rinnovarsi in modo creativo pur restando ancorata ai suoi principi fondamentali. La discografia comprende la ‘conoscenza’ della musica tradizionale della Bretagna e della musica ‘celtica’ più in generale: “Ensemble de musique et danse (33T Barclay-Bel Air : Le bagad Kadoudal sonne pour Herri Léon, Le cercle celtique de Rennes (33T Barclay-Bel Air) (1965) ; « Bombardes et binious de Bretagne Vol. 1/2/3/4» (Collection Arion 1970 / 1976 / 1980 / 1982 / 1994 (CD); inoltre a «Xème Festival International des Cornemuses de Brest», avec Kevrenn de Rennes, Bagad Kemper, Bagad Lann-Bihoué, Pipe Band d'Écosse (33T Mouez Breiz) e «Le meilleur des musiques celtiques : Bretagne, Irlande, Écosse ». avec Jean-François Quemener, Les Sœurs Goadec, Scottish Bagpipes, The Blacksmiths, Ailoach (CD Arion).

Mi fermo qui, perché anche volendo non potrei mai elencare tutti quanti sono i ‘protagonisti’ del folklore celtico/irlandese che ogni sera si esibiscono ‘moto proprio’ nei ‘pub’ che numerosi affollano le strade delle regioni che più spesso ho nominate, e che rientrano nella folta schiera degli anonimi che, non perché di una mancata visibilità di successo, vuol dire che non siano più o meno virtuosi di questo o quello strumento, o cantino in modo imperfetto le ballate e le canzoni tradizionali, anzi semmai è spesso vero il contrario. Del resto noi tutti, in veste di lettori, uditori, ascoltatori di musica, arrivati a un certo punto, sentiamo di essere stati spinti a volare, come in un volo di uccello, in un vortice astrale che lo ‘spirito celtico’ riporta alle verdi distese, alle scogliere e fino al mare di questi luoghi incantati, alla presenza di antiche deità agricole e pastorali, ctonie e marine che in quanto narrate, abbiamo altresì visitate. Accompagnati da tanti esecutori, strumenti, canti e danze che, solo a pensare che esistono e hanno dato luogo a una siffatta ‘renaissance’ hanno già dello straordinario. Fino a quando l’arrivo della primavera o il calare del sole a mezz’agosto, le festività annuali dell’inverno, tutto questo forse ritroverà come in passato il suo significato, tutto il ‘senso’ che avremo voluto dare a questa nostra esistenza.

Note:
Molto del testo qui utilizzato è ripreso dalla trasmissione radiofonica “Folk Concerto” andato in onda su RAI 3 a cura di Giorgio Mancinelli per la regia di Pierluigi Tabasso.
Altri testi sono apparsi su ‘Audio Review’, ‘Musica & Dischi’, mentre l’intervista rilasciata da Alan Stivell all’autore in occasione del Festival della Musica Celtica tenutosi a Roma nel 1980 a Villa Torlonia, è apparsa sull’ ‘Avanti!’ del 25 Ottobre 1980.

Bibliografia essenziale di riferimento:

Catalogo Mostra “I Celti” – Venezia Palazzo Grassi – Bompiani 1991
Jean Markale, “I Celti” – Rusconi 1980
Gerhard Herm, “Il mistero dei Celti” – Garzanti 1975
Margarete Riemschneider, “La religione dei Celti” – Società Editrice Il Falco
Pierre Joannon, ‘Histoire de l’Irlande’ – Edition Plom Paris 1973)
Serafino Riva, ‘La tradizione celtica e la moderna letteratura irlandese’- Religio 1937
AA.VV. “Musica Celtica” – Savelli Editore 1980

Altra Discografia:

Collana ‘Fotografie sonore raccolte e registrate da Gérard Kremer’:
Dir ha tan, “Canti Celtici della Bretagna” vol. 1 -2 Lp ARION Farn 1053/4
Vari Interpreti, “Ballata Irlandese” – Lp ARION Farn 1008
Denise Mégevand, “L’arpa celtica delle isole Ebridi” – Lp ARION Farn 1070
The Edinburgh Military Tatoo, “La cornamusa scozzese” – Lp ARION Farn 1032
Bagad Kadoudal de La Kevrenn De Rennes, “ Bombarde e binious della Bretagna” – Vol. 1 | 2 Lp Arion Farn 1038/1069
AA.VV. "L'Isola dei canti" - Meridiani Musicali - Editoriale Domus 2001


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