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Diario pendolare

Poesia

Rossella tempesta
Pietre Vive Editore

Recensione di Paolo Polvani
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Pubblicato il 07/02/2020 12:00:00

 

Un piccolo ordito di destino 

 

Il primo contatto con Diario pendolare, il nuovo libro di Rossella Tempesta edito da Pietrevive, è visivo e tattile. La carta, il formato, l’impaginazione, sono una dichiarazione di intenti, dicono la cura, l’attenzione, la creatività che l’editore Antonio Lillo mette nel proporre i suoi preziosi libriccini.

L’illustrazione di copertina, della bravissima Lucia Lodeserto, ci racconta di un compromesso tra fiaba e realtà, tra immaginazione e quotidiana necessità, che costituisce appunto la struttura di questo libro.

Rossella ha legato tutta la sua vita alla pendolarità, ha incrociato treni, partenze, arrivi, stazioni, viaggiatori, ritardi, scioperi, visioni di paesaggi, fin dall’infanzia, quando, bambina, da Terlizzi si recava a Bari per apprendere l’arte della danza, e poi ragazza per studiare all’università, e poi per lavoro nelle varie località cui è stata destinata.

Questo piccolo, delizioso librino è tutto dedicato alla poetica dello sguardo affettuoso, uno sguardo che comprende, avvolge, abbraccia. Esiste una simmetria nell’organizzazione dei testi: in versi sono il primo e l’ultimo, come fossero i manici di una corda, al cui movimento si alternano e saltano i pensieri, gli sguardi, le impressioni, al ritmo antico del ciuf ciuf; come esiste una simmetria tra immaginazione e dura realtà, evidenziata per esempio nelle considerazioni legate al lunedì, quando il treno scoppia di pendolari con le facce stralunate, gli occhi gonfi, e un’amara verità: ”sono quelli che sanno che anche la realtà peggiore contempla la speranza di essere vivi”. Eppure “solo pochi guardano fuori ma le campagne e il mare sembrano i sogni sognati da chi dorme accanto”

Nei testi affiorano in maniera prepotente due importanti esperienze: la prima è l’esperienza poetica, cioè quell’attitudine particolare a rizzare le antenne, aguzzare la vista e l’udito, captare le atmosfere, intercettare ciò che resta invisibile agli occhi di chi non è poeta, riuscire a vedere l’oltre, che costituisce in un certo modo l’armamentario dl poeta, riconoscere la babele che circola nei treni, prenderne atto, arrendersi a questa ninna nanna delle lingue, tradure in parole le sensazioni, le realtà, avere a che fare con i versi, e cimentarsi, provare, riprovare, correggere, limare, lucidare, nell’eterna lotta del poeta con le parole, nella lusinga e nella minaccia, che sono gli strumenti con cui chi scrive attira, seduce le parole, oppure le scarta, le allontana.

L’altra è l’esperienza del pendolare di lungo corso, quello che ha incrociato la viaggiatrice occasionale, ha attraversato le stagioni, è incorso nella malattia: “Perché gli amici del treno sono così amici, che il pendolare assente lo fanno viaggiare con loro anche quando non c’è. E non lo invidiano che è restato a letto, perché è malato e ha perso il treno”. Ha incontrato le Pasque, quando la primavera fa scoppiare le gemme in fiore e l’erba cresce di un palmo ogni notte, ha percepito il gusto esotico del fare il pendolare in piena estate, ha sperimentato i ritardi e gli scioperi.

Il pendolare realizza la sua vita nell’alternanza, è tutto compreso nelle partenze e negli arrivi, e in questo ritmo è bello ritrovare la metafora di tutta l’esistenza, compresa tra la vigilia e il sonno, la respirazione e l’espirazione, la nascita e la morte, in una parola nelle maree comuni a tutte le esistenze.

-         Le madri pendolari

Le madri pendolari partono sempre a strappi, arrivano trafelate e calde di baci dei loro figli, dati nel buio mentre ancora dormono. Sul treno si accrocchiano come intorno a un luogo domestico, una sala, una cucina, le più curate sembrano salottiere. E iniziano un mormorio sommesso e lento, mentre i paesaggi scorrono veloci dai finestrini che inquadrano una dopo l’altra le case di altre madri, di altri bambini. Parlano come pregassero, come facessero una confidenza lunghissima, si dicono delle vite, delle fatiche, di quei viaggi che rubano tempo ai figli e un poco ne restituiscono a loro stesse”. -

Più di un cenno meriterebbero le illustrazioni di Lucia Lodeserto, che fanno da controcanto alle veloci narrazioni, ai bisbigli in prosa che tanto ricordano quel monologo interiore che sempre ci accompagna, quelle interne riflessioni che la mente non smette mai di produrre. Le illustrazioni raccontano il suono del movimento, sono attraversate da un vento musicale, un brusio sommesso e ininterrotto, come la lunga chioma della ragazza che a cavallo dei vagoni governa il treno, “suo fidato destriero, un cavallo di ferro, che lo condurrà a destinazione, a tessere, - anche stamattina – un piccolo ordito di destino”.

 


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