La scena non è più la stessa.
Un tempo fummo folla comunità
cantori necessari di quella spaziosità concessa.
E mai mancava la sottolineatura
perché tutti capissero
quel che la vicenda narrasse
– fosse incesto tradimento o sepoltura.
Vedili ora: un manipolo attrezzati
d’improvvisati recitanti – fondali meccanizzati
microfoni altoparlanti –
sullo scenico palco smisuratamente
persi
nello spazio di quel perimetro. Li vedi
come cercare nel vuoto
le battute da bocca a bocca
saltellando come rospi di vetro.
Più non partecipiamo alla rappresentazione.
Non più preghiera. Appartenenza.
Non più il nostro intercalare
s’ode costante
quell’intermittenza nel dialogo
rassicurante
quell’intromissione…
breve
della coscienza.
(Da Vocianti – 2010)
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